Mi fa bene sentire le mancanze

Sono una persona a cui fa bene sentire le mancanze. E di mancanze ne sento tante: del passato, di casa mia a Milano quando mi ci allontano per troppo tempo, delle mie abitudini, della tavola da surf, del mare. Per esempio.
Mi fa bene sentire le mancanze perché è come constatare uno dei livelli della mia sensibilità: se mi manca il mare significa che mi ha dato qualcosa, ha lasciato una fogliolina nella mia anima, pronta a riprendere il suo volo predestinato appena i miei occhi rincontrano quel blu sbaffato di bianco della schiuma.

Ieri ho sentito davvero la mancanza del mare, più di ogni altro giorno. Non dell’estate, non delle vacanze, ma del mare d’inverno, quello che bagna le coste italiane più polverose e le spiagge europee deserte.
Non è stata una bella mancanza, ma una specie di necessità. Ho voglia di surfare senza saper surfare, di usare i miei sensi come bacinella vuota da riempire davanti ad un orizzonte agitato che sa di sale, di farmi premiare per il mio amore e punire per la mia lunga assenza da lui, il mare, cullandomi e travolgendomi.

Quel giorno a Recco era dicembre, ma mi sembrano passati quattro mesi. Faceva freddo e pioveva, quel fare respingente e del tutto non accogliente mi ha fatto amare ancora di più il posto dove ero, mi ha fatto ridere anche sott’acqua.
In mare eravamo in pochi, io e “quei quattro scemi” che come me, appunto, ridevano sotto e gioivano sopra l’acqua, fingendo di essere circondati da un contorno fatto di cartapesta, una torre con l’orologio e una collinetta con sopra disegnate delle case colorate. Cartapesta, che una volta usciti dall’acqua s’è trasformata in spugna esausta di acqua piovana. Anche il negozio di focacce si è trasformato da negozio di focacce a miele per api assatanate. Anche quell’insegna  lì s’è trasformata in una meravigliosa insegna della Gelateria.
Ecco, tutto questo mi manca, anzi, ne sento la necessità.