Maledetta Toscana

Maledetta Toscana

Esattamente come quelle righe che tiravo grazie ad un gioco di prestigiazione tra mani e una batteria schierata di righelli trasparenti nell’ora di educazione tecnica. Anche se non ci crede nessuno, quelle righe lì erano precisissime, lunghe e metodicamente attorcigliate, piene e vuote grazie al loro intreccio, ma nette. Ho lo stesso ricordo, preciso e nitido, delle prove di teatro di Seconda Media: eravamo in quell’aula in cui quelle poche volte all’anno ci facevano vedere i film (gli insegnanti credevano che vedere film o documentari fosse una perdita di tempo), al primo piano sulla sinistra, poco più in là c’era la Presidenza.
A dodici anni provavamo a mettere in scena una reinterpretazione di “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, di Italo Calvino. E io mi ricordo tutto. Mi ricordo la stanza piena di libri, ed ognuno di noi che doveva mostrare di non avere pace con alcun libro in mano, mi ricordo la scena della stazione, mi ricordo che io avrei tanto voluto essere Ludmilla, anche se poi forse mi sarei vergognata, e poi non avevo i capelli biondi e lunghi, né gli occhi azzurri come Germana, la protagonista. Che palle questa cosa che le ragazzine bionde e con gli occhi azzurri devono sempre avere ruoli di rilievo. Solo per un paio d’anni scucì il ruolo della Madonna nelle recite del Catechismo, dove infatti mi misero un velo (confezionato dalla nonna), che nascondeva i capelli. Con me lo Shultz schiarente non ha mai funzionato.
Mi ricordo che la recita andò bene, la replicammo in diverse scuole di Arezzo, mi ricordo l’ansietta mista ad eccitazione ogni volta che prima dello spettacolo sbirciavo fuori dalle quinte.

Mi capita certe volte, quando sono in Toscana, di sentirmi ancora come in quella recita delle Medie. Nel senso che cerco di leggere un romanzo, ma alla fine sono sempre “costretta” ad interrompermi. La Toscana, in effetti, non è un romanzo facile da leggere: quando sei concentrata sulle rotoballe e ti sforzi di capirne la logica della loro logistica, poi arriva un animale, che ne so, una mucca, a guardarti stranita, a spezzarti il filo (ana)logico del discorso. E quando tu cominci a cimentarti nel gioco del “se mi sposto, mi guarda”, o a chiederti di chi sia e da dove venga, arriva un umano, vestito da toscano, ovvero in canottiera, camicia aperta e maniche corte, scarpe slip-on in tela, a camminare con le mani giunte dietro la schiena, alla ricerca disperata di una seggiolina di paglia. E poi ci sono le botteghe e le storie delle meta-botteghe, le bocciofile 1.0, ovvero i baretti con accanto un campetto che in realtà non è un campetto, l’odore di verde, perché ogni colore ha un odore, le Api guidate dagli omini con il cappello, i fiaschi di vino, magari con del cotone in cima, nel collo della bottiglia, per togliere l’aceto, le nonne e i nonni, le borse portate sotto l’ascella, le ciabatte, una schiera infinita di ciabatte, il fieno, la sagra della polenta, quella del cinghiale e delle pappardelle al sugo d’ocio, i luoghi comuni.

E allora ti arrendi alla bulimia d’immagini che non ti porta mai ad una conclusione ovvia, bensì ad un’interpretazione, alzi le mani davanti al caos calmo d’una terra dove il turbo lo lasciano in garage a marcire assieme all’alberello smunto del Natale con tanto di stella attaccata, ma che nonostante questo è veloce nel movimento di fotografie che ti fa scorrere davanti, senza manco chiederti il permesso. Eh figurarsi se un toscano ti chiede il permesso, fa e basta. Ti arrendi senza manco chiedere un armistizio, anche perché sarebbe impossibile, per poi capire che è proprio grazie alla resa che tu capisci tutto di lei, della Toscana: è lì che comprendi che va lasciata fare, e che tu non devi fare altro che comportarti come un pezzettino di legno in mare, farti trasportare fin quanto lei vuole, che tanto, prima o poi a riva ci torni, il filo del discorso, un senso, in un modo o nell’altro, lo trovi. È questo mistero, questo non senso nel senso, questo cominciare cento romanzi, non finirne realmente mezzo, ma finirne personalmente e idealmente ottantotto, che rende la mia terra maledettamente attraente. Non a caso, è un’artista, lei.

Abito: Pepa Loves via Amazon Fashion
Location: Locanda in Tuscany

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  1. giulia

    20 July 2016 at 9:03

    La Toscana è splendida, questa storia delle bionde non mi è mai andata giù nonostante madre natura mi abbia dotato di occhi verdi e almeno so che non sono l’unica al mondo a cui lo Shultz schiarente non è servito a niente…:D Abito giallo bellissimissimo!!!

  2. Daasy

    4 August 2016 at 9:12

    Bellissimo l’abito Pepa Loves, ti sta molto bene, e bellissime anche le scarpe, le adoro.