Trenta cose che amo della Romagna

Trenta cose che amo della Romagna

La prima volta che misi piede a Rimini in realtà appena camminavo. Partimmo con la Jetta rossa, una cassetta che conteneva “Una rotonda sul mare”, e una miriade di bagagli che pareva dovessimo stare in Romagna tre mesi. In realtà era la “prima quindicina di luglio”, così diceva la mamma quando l’anno prima chiamava l’hotel per prenotare. Mica c’era Booking.

Ho continuato ad andare tutte le estati in Riviera fino ai 18 anni ininterrottamente – lì mi sono fatta il piercing di nascosto e il giro di tutte le discoteche – poi a pause, ma ogni volta che ci torno trovo una mamma, “mamma Romagna”, sempre pronta ad accogliermi con il suo costume a fiori, i seni enormi e i bomboloni alla crema delle 11,30.

Ho deciso dunque di scrivere le 30 cose che amo della Romagna, o meglio, le 30 cose che per me sono la Romagna. So che ce ne sarebbero di più, lo so eccome.

  • Le cartoline. Quelle troppo saturate, discutibili graficamente, ma eterne. Quei pezzi di cartoncini là con i culi di fuori, le tette che spuntano magicamente da dietro le montagne al tramonto, e gli ombrelloni fitti che paiono disegnati a puntini da Paul Signac, sono e saranno certezze che sì, si può scrivere che gli vuoi bene in pochi centimetri.
  • I balli di gruppo in spiaggia. Mettono d’accordo tutti, grandi e piccini, frotte di umanità scevra da vergogna, anche perché non c’è giudizio altrui. In Romagna si vuole stare bene, le uniche dietrologie sono di carne e avviluppate da stoffe più o meno generose.
  • I prezzi scritti a mano dei negozi di tovaglie e lenzuola. Sono sempre appoggiati in maniera rocambolesca su cascate di tessuti bianchi, ricamati, intersecati tra loro come se fossero poesie futuriste.
  • Le sale giochi. Purtroppo ora sono vuote, ma resistono. Dio solo sa quanti canestri non ho fatto, quante macchinine ho rotto e quanti gettoni mi sono trovata in tasca al ritorno delle vacanze.
  • Gli adolescenti. La Riviera è quel posto in cui al bar, a giocare a ping pong o a pallavolo, trovi ragazzine staccate dai genitori che si prendono le prime cotte, che si mettono gonne troppo corte e ragazzini che si mettono troppo gel sui capelli. Troppo.
  • Gli hotel che furono e che sono. Non importa quante stelle abbiano, ma gli hotel della Riviera sono e saranno sempre fulcri di gentilezza, odore di pasta al pomodoro e mazzi di carte lasciati per far giocare grandi e piccini.
  • Il calcio balilla. Dopo il bombolone delle 11,30 o l’Estathé delle 17,00, vuoi non farti una partita con la compagnia seduta nel tavolo a fianco?
  • Gli slip. Indossati a piedi nudi o con le scarpe da ginnastica, con o senza pancia, rossi o blu come quelli annunciati dal megafono per identificare i bambini smarriti.
  • Il dondolo. In tutte le case e alberghi, è quello strumento sempre occupato perché agognato da tutti. Rappresentazione di un’intimità pura, culla l’anima facendola staccare dal suolo.
  • Le sale da pranzo visibili da fuori. Quelle che si riempiono alle 13,00 e alle 20,00 dopo il suono della campanella. Quelle dove vedi o pasta al pomodoro o pasta alle vongole. O sogliola o scaloppina. Perché ci sono sempre 2 scelte.
  • La mani sui fianchi. Una presa di posizione netta contro la frenesia, una rappresentazione geometrica dell’ozio più proficuo, questo sono. L’attimo più significativo del restare.
  • Le vestagliette. Spesso a fiori, così come i costumi, acquistate sovente da quelle signore con dei felliniani seni e la pelle squamata. Chissà quale sceglierò io.
  • Le ciabatte portate a mano per la passeggiata. Tante volte le rubassero da sotto l’ombrellone, dove, tra l’altro si lasciavano teli e tanacchi vari all’ora di pranzo poco accuratamente chiusi a panino nello sdraio. Ho sempre ritrovato tutto.
  • Il pedalò. Aggeggio apparentemente non faticoso, è un veicolo magico per immaginarsi una felice Isola delle Rose.
  • Le reti. Per delimitare, per la pallavolo, per il basket, per le bocce, per contenere. Sono reti aperte, come l’animo romagnolo: una volta che vieni qui ci verrai sempre per respirare bene.
  • Le borse giganti. Una volta regali di profumerie, per conto di marchi come Bilboa o Lancome, o tessili frutti di trasformazioni da sacche sportive anni Ottanta a recipienti di almeno tre asciugamani e due cambi – le creme no, in realtà sono ingressi ad altre dimensioni ancora sconosciute.
  • Il materassino. Trovato nel giornalino, o comprato dopo aver tentato di gonfiarlo a fiato, è un mezzo per i piccini per baloccare, per i grandi per prendere sempre più sole.
  • Le piste. Da pattinaggio o delle macchinine. Qui trovi sempre dei perimetri colorati, isole sicure dove approdare se si vuole avere a che fare con un divertimento puro
  • Castelli di sabbia. Fortezze che i bimbi costruiscono a riva picchiando su plastica e strizzando sabbia bagnata nella speranza che non verranno mai espugnate. Un fulmineo capitalismo che lascia spazio a pensieri di comunità poi.
  • Le ville abbandonate. Muri scrostati, statue e resti della vita che fu. Trovi tutto ciò sempre all’improvviso, come il ricordo di un regno che ora è del popolo.
  • Le camminate sul bagnasciuga “perché fanno bene”. Le facevi anche a 6 anni perché la mamma ti lavava il cervello con i discorsi sulla circolazione. Voce che dura tutta la vita.
  • I “local” camminano scalzi. Al mattino presto dopo il bagno o dopo aver lasciato la bici fuori dal bagno, gli autoctoni non sentono caldo sotto i piedi, e non si fanno male. Hanno delle ciabatte invisibili.
  • I negozi di souvenir. Vendono magliette tipo “Dalla non è un cantante, ma un consiglio”, tazze con gli idoli del momento e Super Tele. Incredibile, ma ti serve sempre qualcosa da lì dentro. Tutti gli anni.
  • I ferma-tovaglie in metallo. Ti rinfrescano una parte scoperta del corpo mentre sorseggi una granita alla menta, o ci giochi a spostarli mentre ti gusti un piadina. Divertente quando non riescono a fermare un bel niente.
  • Gli asciugamani fuori dai balconi degli hotel. Con il nome dell’albergo o l’ultimo cartone animato dell’epoca in cui sono stati acquistati, alla fine odorano sempre di cane bagnato e Bilboa al cocco.
  • I quotidiani al mattino. Recuperati rigorosamente dai mariti in quei luoghi preziosi in cui si comprano anche gli abbronzanti Nivea, le pistole che sparano l’acqua e i francobolli, finiscono per diventare strumenti musicali suonati dal vento.
  • Il ping pong. Ci si gioca a mezzogiorno, a tutto sole, o la sera prima del tramonto, l’importante è far finire la pallina in un punto difficile da recuperare.
  • L’odore del lettino. Non importa se ti alzi da lì a righe, l’odore di plastica mista ad abbronzante, fibre di spugna e alla tua pelle vale tutti i tatuaggi dell’estate se piazzi l’asciugamano in modo da lasciar fuori dei pezzi di pelle.
  • Le infradito. Il loro rumore strascicato e dei talloni che sbattono veloce e violenti sulla gomma è un marchio di fabbrica. Si dovrebbe chiedere il copyright.
  • La piadina. Un solo morso e ti senti come il bagnino Mario col cappellino da marinaio che tifa Valentino Rossi e passa le sue giornate a sorridere alla gente strozzando la “z” perché non vuole che sia sempre l’ultima. GraSSie Romagna.
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