Breve sviolinata a Rimini

Breve sviolinata a Rimini

Salgo in taxi e piango. Piango di gioia e nostalgia. Taxi che tra parentesi mi ha accettato il bancomat pure con gaudio. Ero a Rimini, nella mia Rimini. La mia Rimini dall’odore di sogliola ai ferri e pasta al pomodoro delle ore 12 pronto a lasciare il campo a quello di cocco delle creme solari, o dell’olio per le pazze che vogliono friggere, e poi ancora a quello del New Dimension, lo shampoo del mare.
La mia Rimini degli hotel tutti in fila che conosco a memoria, nome per nome, con quelle insegne lì che contavo dal lungomare, nelle pause dell’altoparlante che mi distraeva. La mia Rimini che è rimasta così come è, grazie a dio; perfino il proprietario del bar del bagno 51 è sempre lo stesso. “Tè – accento aperto – eri quella che mangiava il bombolone alla crema”. Beccata. E quella che spendeva più lire nel juke box che nei Calippo con la caramella gommosa sotto. Sono vintage da un’epoca io.

La mia Rimini con le signore in ghingheri in spiaggia, costumi a fiori e pelle fieramente raggrinzita dal sole spietato che a loro “non deve chiedere mai”, che si stendono il rossetto per farti una foto con te. Io sarò così, quella con le tette più piccole, ma con il rossetto più rosso di tutte le mie amiche.
La mia Rimini dei sorrisi e della notte, delle spiagge che non finiscono più e dove ogni tanto si smarrisce qualche bambino dal costumino rosso o blu, del non imparare mai che se cammini senza ciabatte la sabbia ti brucia, delle luci al neon che spuntano da ogni dove.
La mia Rimini delle carte e delle bocce, degli orari che non si sgarrano, mica è Ibiza, dei giovani che si vogliono scatenate, degli anziani che si vogliono scatenare anche loro. E dei genitori che non si vogliono scatenare per nulla, ma riposare mollando i bambini all’animatore con il segno bianco egli occhiali sulla faccia.

A Rimini le persone rimangono sempre le stesse, solo i capelli cambiano. Rimini è per i vacanzieri abitudinari come me, quelli che amano salutare il barista e farci due chiacchiere in quasi confidenza, per poi condividere le parole crociate con il vicino di ombrellone e sentirsi felicemente “uno di loro” quando il bagnino con quella pelle nera che Nino Ferrer avrebbe voluto avere, ti chiede se va tutto bene. E lo chiede a te che lo vedi da anni ma anche a chi non l’aveva mai visto. E ovvio che va sempre tutto benissimo.

Dopo Arezzo e Ortona, e dopo due estati di fila, Rimini è stata la città prescelta per imbastire il mio terzo e ormai fisso appuntamento con Crocs per far esplodere il verbo del “Come as you are”, la sua filosofia dell’essere se stessi, intervistando personaggi interessanti, “normali”, con cui ho parlato dell’importanza di essere esattamente così come si è.
Dunque è stato qui nella Riviera Romagnola, terra di piadine e ombrelloni colorati, che ho infilato Crocs ai piedi delle persone come strumenti magici per aprire i loro cuori.

Così Renato mi ha raccontato la storia del suo babbo, che cominciò a fare il bagnino nel 1922 – era anche marinaio perché allora i bagnini dovevano anche essere tali, e che rubava le lenzuola alla sua mamma per fare le tende per ripararsi dal sole. Pensare che era pure raccomandato per lavorare in banca, ma lui voleva stare in spiaggia, e suo figlio uguale. “In montagna manco se mi sparano”. Ricevuto Renatone.

Ho parlato poi con Marina, sua nipote, una bagnina donna, cosa rara, che lei invece non avrebbe mai voluto fare quella vita lì, bensì viaggiare e non dover seguire le orme familiari, mentre poi ha avuto l’illuminazione e adesso manco Brad Pitt la farebbe andare altrove.
“No, no, io qui ci resto”.
Poi ci sono Gianni, bagnino dal 1982, con le Crocs del colore di quello stesso sole da cui non lo smuovi nemmeno per sogno, anche perché la sua missione è quella di salvare vite umane, e Peppo, una specie di garanzia locale dal 1952, quando sua zia da Sestino (Arezzo), lo portò qui e da qui non s’è ancora smosso.

La leggenda che mi piace inventare è la seguente: sotto la sabbia di Rimini c’è un tesoro segreto; chi lo trova per intero deve restare, mentre chi lo trova in parte ogni tanto deve tornare. Evidentemente l’hanno trovato in tanti. Io ho scoperto solo mezzo lingotto, quello che basta per farmi andare là una volta ogni tanto e apprezzare la lentezza del tempo e l’importanza del sorriso.

Ph: Mauro Serra

Comments are closed.
  1. GIULIA

    18 June 2019 at 10:18

    qUELLE METE CLASSICHE CHE PERò RIMANGONO SEMPRE BELLE DA (RI)VISITARE, FOTO SPLENDIDE!!!

    • Lucia

      5 July 2019 at 17:00

      grazie!