Cantabria una e trina

Cantabria una e trina

Cantabria [pattern]
Credo di aver visto solo qui la guerra e la pace tra tutti quanti gli elementi naturali. La Terra beve e brucia, partorisce e fa perire. Cerca di intrecciarsi come le mani a riposo con lo scapestrato ed esagitato per eccellenza, il Mare. Questo, lunatico, a sua volta, accoglie e repelle, ama i pazienti, odia gli arroganti. Parla costantemente con chi sta più in alto, cercando di sfoggiare il mantello di un tono sempre diverso, perché lui e il Cielo sono destinati ad avere sempre un vestito di un colore simile ma di un tessuto diverso. Cielo e Mare. Peccato che entrambi vorrebbero giustamente essere unici ed inimitabili. Per noi lo sono, per loro un po’ meno, infatti quando litigano uno diventa grigio, l’altro pure. Una maledizione di similitudine nel male e nel bene. Ma una benedizione per noi.
Il Cielo poi dà da bere a tutti, Terra, Sabbia, Rocce, e sí, anche al Mare, nonostante dica di non averne assolutamente bisogno.
La Terra fornisce la pista da ballo a tutti. La Sabbia e le Rocce il letto su cui saltare per gli uni e gli altri. Dico così perché chi ama la Sabbia non tanto le Rocce. Quando si dice che la Cantabria è infinita è perché tutti questi elementi comunicano all’infinito, e non finiscono mai. E all’infinito ci torni.

Cantabria [mare]
Le spiagge qui sono così grandi, che non solo c’è spazio per tutti, ma ognuno vi agisce in maniera assai libera, perché convinto di essere un puntino poco visibile e distante dal puntino successivo. Quindi tu, con l’occhio tuo o di una fotocamera, accompagnata dai sospiri del vento, ti godi una specie di meravigliosa commedia umana.
Al mattino ci sono quei “puntini” con cani impazziti di gioia che si buttano in mare, per poi uscire appesantiti ed entrare nuovamente leggeri, signori con scarponcini da cammino serio e bastoni alla mano, e surfisti.
Verso l’ora di pranzo per noi, le 13.00, per gli spagnoli sono le 15.00, la spiaggia si popola di calmi e silenziosi soldatini che con la propria seggiolina a righe portata da casa – ma si trova pure in tutte le ferramenta – cerca il proprio posto più lontano da qualsiasi altra cosa, e poi ci sono i surfisti.
Al pomeriggio i bambini corrono, le signore leggono sulle proprie seggioline, gli uomini guardano il mare, e poi ci sono i surfisti.
Al tramonto c’è come una Messa: tutti guardano quella palla infuocata che sbuca dall’oceano come se fosse un prete con un coro di sirene attorno che ammalia tutti.
Lì tutti si fermano: le signore smettono di leggere, gli adolescenti alzano la testa dal cellulare, i surfisti prendono l’onda dopo, gli uomini arricciano i pugni come rotolini di burro sui fianchi e aspettano. Io osservo il ritmo del mondo che gira, che ha una sua armonia precisa che comincia con il “do” al mattino e finisce con la stessa nota quando il sole s’addormenta. 

Penso che guardare le persone, mischiandomi tra i puntini, leggerle e ascoltarle sia un po’ come quando mangi il pane con il burro e le acciughe. Come il pane aspetto di venire assorbita da qualcosa di squisitamente grasso, come l’olio, o il burro appunto, le persone che scivolano davanti ai miei occhi regalandomi delle pellicole uniche dirette da decine di registi che vanno tutti d’accordo perché nessuno conosce l’altro. E poi ci sono le acciughe: mi vengono addosso ulteriore olio per far entrare meglio le storie più o meno immaginate delle persone, e una botta di sale che mi fa venire ancora più sete di umanità.
Fateci caso alle persone.

Cantabria [cittá]
Santander è la nonna che varca la porta del bagno dove tiene il borotalco e una boccetta di profumo color ambra dall’odore dolcemente nauseabondo, lasciandosi dietro scie chimiche di lacca e davanti almeno 3 cm di volume in più sulla chioma vaporosa. Che compra al marito le Rossana o le Gelo affinché sia lui a darle alla nipote, e che dà alla nipote 5 euro per il gelato e 50 per andare dalla parrucchiera il sabato, meglio se con lei.
Santander è quella nonna per cui il sabato può cadere il mondo, ma lei deve necessariamente udire quel click delle scatoline di velluto dove riposano gli ori di famiglia e le zip delle cerniere dove abitano i vestiti che sanno di lavanda per la manciata di sacchettini che gli stanno accanto, acquistati nel negozio bello.
L’amicizia a Santander credo abbia proprio quell’odore lì, di lavanda, o borotalco. Ma anche di burro, uova e farina. E non ha mica età. Rimane ben conservata per anni come tailleur bianchi di ottima qualità o vestiti a fiori ben stirati, in una rivincita totale della forma che va a braccetto con il contenuto.
A Santander c’è un’eleganza che piglia immediatamente un metro e ti mette almeno due metri di distanza, che tuttavia unisce chi di bello vive. E lì il bello c’è eccome. È nelle mani intrecciate dietro la schiena e intrufolate sotto il braccio di chi ami. Nei bastoni di bambù che sostengono la vita. Nei bar per l’appuntamento obbligatorio in ghingheri del sabato. Nei pasticcini comprati il sabato o nell’abito nuovo. Nel riuscire a stare, amare, quella gente che è così diversa da te.
A Santander c’è quel godimento puro senza doversi leccare le dita, manco a metà.
E comunque io ci farei una fashion week “evergreen”, quella moda che non passa mai di moda perché non deve passare. Avrei già trovato decine di modelle e modelli.

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