Quindi i nanoinfluencer sono quelli che non si pagano?

Quindi i nanoinfluencer sono quelli che non si pagano?

 (progetto realizzato per Hendrick’s gin)

Punto primo: avete rotto i coglioni di fare le battute sugli influencer che hanno l’influenza o che voi siete più influenti perché avete l’influenza. Ve lo dico: non fa ridere. O per lo meno a me fa ridere quanto Mister Bean: sotto zero. Faceva sor-ridere un anno fa, ora no.
Quanti di voi invece insultano in maniera banale gli influencer perché in realtà vi piacerebbe eccome? Non vedo nessuna mano alzata.
Insomma ne abbiamo tutti le palle piene perché più voi rompete i coglioni, più se ne parla guardando solo un lato della medaglia.
Punto secondo: ancora mi trovo qui a discorrere del solito argomento. Mi sento patetica. E lasciatemelo dire, lo sono.
Punto terzo: d’altra parte un po’ di questo argomento ne so, un po’ scrivo di getto, e poi il blog è il mio e ci faccio quello che mi pare, quindi dichiaro quanto seguirà uno “sfogo ragionato”.

Leggo ne Il Post un articolo firmato dal Fantasmino Formaggino (non vedo la firma, ma magari sono semplicemente stata accecata dal nervoso) dove si parla di nanoinfluencer.
In realtà è un post praticamente tradotto da niente meno che il New York Times.
D’accordo, interessante, vediamo che dice.

Analizzo con voi, punto per punto:

“Ai nanoinfluencer, invece, spesso può bastare ricevere un prodotto in omaggio, senza pagare, in cambio di un post sponsorizzato. […]
Rendono molto meno dei personaggi famosi, certo; ma costano anche molto meno. […]
nanoinfluencer non hanno grandi pretese, e in cambio di prodotti gratis o piccoli compensi dicono qualsiasi cosa le aziende vogliano

Boia, mi trasmetti una credibilità così che ciao.
Secondo Il Post i nanoinfluencer sono persone con meno di 10.000 fan su Instagram (io credo invece tra i 1.000 e i 5.000 fan). Fino a questo punto l’articolo fa intuire che gli influencer siano ormai inutili, troppo cari (invece investire su una testata chissà perché non pare mai troppo caro, eh? O sugli influencer assoldati dalle varie testate, dato che ormai ci sono case editrici con agenzie di influencer, chiamati però “talent” perché fa meno “brutto”), e che invece c’è chi sarebbe disposto a tutto pur di ricevere prodotti gratis. Quest’ultimi sarebbero da una parte più credibili perché non smarchetterebbero a destra e a manca come fanno invece i colleghi micro e big influencer (cito un pezzetto: “ma anche per questo hanno un rapporto spontaneo e non artificioso con i propri followers”), però poi sarebbero disposti a tutto e a fare da marionetta dell’azienda pur di scroccare prodotti, e parlarne bene nonostante, magari, facciano cagare.
Non mi torna qualcosa. A voi sì?

Non mi torna nemmeno il fatto che ci sia una grossa lacuna: gli influencer veri, quelli seri, professionali, che non hanno comprato tutta l’India e lo Sri Lanka, quelli che sono diventati “famosi” per X motivi funzionano. E costano. Non poco, ma costano. Il giusto.
Occhio che Instagram ha promesso l’ennesima pulizia ai danni di chi fino ad ora s’è beccato dei gran bei soldoni a suon di bot e operazioni non troppo lecite.
Tranquille voi dei 340,000 fan, Instagram non farà un cazzo, potete tranquillamente continuare a truffare aziende e quei due gatti reali che vi seguono, mamma e papà (abbiate pietà, anche loro!), e a scroccare viaggi in Polinesia o California, mentre noi gente onesta ci paghiamo il biglietto della metro per Abbiategrasso.
Mi torna invece che ci siano profili da 4.000 fan che funzionino molto bene perché sono molto ben targettizzati, sono d’accordo, ma far passare chi li gestisce per morti di fame di creme e capsule del caffè, oddio, non lo so. Magari c’è chi è contento di ricevere uno shampoo di merda e di parlarne bene solo per il gusto di avere cose gratis, ma allora lì affrontiamo altri tipi di problemi, no?
Pensare che a me quando vogliono farmi guidare macchine per la visibilità in cambio, o affibbiare orologi pazzeschi per andare ad arricchire il mio già ampio guardaroba di accessori mi fa così tanto incazzare che voi non potete immaginare.
Non me ne faccio di nulla degli oggetti. Non amo il minimal ma odio l’accumulo inutile.

(progetto realizzato in collaborazione con Collistar)

Ho iniziato praticamente dieci anni fa, allora funzionava che ti regalavano creme e abitini in cambio di recensioni o foto, ma perché non esisteva la “pubblicità” tramite influencer. Era un hobby, ma soprattutto erano davvero gli inizi.
Baricco sarebbe fiero di me a sentirmi dire questo: gente, le cose sono cambiate, cercate di farvene una ragione. Non siamo più nell’era del flipper, e manco in quella dello Space Invaders, ma dell’iPhone e della rivoluzione tecnologica.
Mi piacerebbe molto fosse l’era del “Carosello digitale”, ovvero con le pubblicità che ti raccontino una storia, con il prodotto alla fine o comunque in secondo piano, perché le advertising con il profumo Benefit in mezzo alle tette ha anche sfracassato i maroni (io le chiamo #advsensate). Chissà.
Dicevo, le cose sono cambiate. Ma sapete perché prima di tutto? Perché se siamo ancora al livello di marchetta dammi-il-prodotto-e-te-lo-fotografo-con-scritto-sotto–amazing, allora Maria, io esco e vado a giocare al flipper.
Nel senso: ma di cosa stiamo parlando? Del fatto che per risparmiare soldi un brand debba dare i suoi prodotti a persone che li fotografino, magari dal cesso di casa con le piastrelle color limone, e/o con una didascalia con settanta errori ortografici in una parola e mezzo? Oppure che facciano un lavoro egregio ma senza retribuzione? Oppure che postino tutto, ma che i like siano trenta?

Il punto qui sta a priori. Non tanto nei nanoinfluencer che funzionerebbero alla grande, essendo spontanei da una parte e dall’altra smarchettando la qualsiasi (!), ma sulla qualità della comunicazione.
Nel 2018 nel canale di un influencer ci devono essere contenuti superbi, di qualità. Punto. I contenuti di merda se li possono permettere le star della tv o quelle che davvero hanno tanti, tantissimi fan, perché hanno già il loro seguito reale.
Ne 2018 se vuoi fare l’influencer devi essere credibile. E qui lo ammetto. Ci sono poche persone credibili. I soldi fanno gola a tutti.
Nel 2018 conta il contenuto, ma anche i numeri. Le due cose possono anche non andare a braccetto.

Ma a proposito di soldi, analizzo un altro pezzo:

“Circolano stime molto diverse, ma considerate che una persona con 100mila followers può essere pagata da un’azienda 1.000 dollari (circa 900 euro) per sponsorizzare un prodotto”

A parte che io, azienda, se mi fai un contenuto figo e crei interazioni, ti do pure il triplo.
A questo proposito, faccio una piccola parentesi che spiega, finalmente, cosa c’è dietro una foto Instagram, almeno nel mio caso: ci sono i brainstorming, ovvero ore spese tra libri, giornali, semplicemente osservando persone, in piscina, su Pinterest per cercare ispirazione. Ah, sì eh, la creatività si paga. E per quelli che si stanno chiedendo “oh, lo voglio fare anche io il tuo lavoro”, non sarò certo io a fermarvi. Dico solo che come tutti non possono fare i fisici, allo stesso modo non tutti possono essere creativi.
Insomma, dopo la fase creativa ci sono la scelta location, i giri per gli showroom a trovare gli abiti giusti (se servono abiti) o per mercatini o negozi per reperire i props (oggetti che servono ad arricchire il set) più adatti se servono, la ricerca delle persone da fotografare se c’è da fotografare qualcuno, nel mio caso i vecchietti spesso e volentieri, e la produzione, ovvero l’organizzazione del lavoro con tutti i personaggi coinvolti. Servono poi ovviamente un fotografo, un eventuale grafico; segue la parte di redazione di copy per corredare la foto.
Ovviamente i props no, non me li regala nessuno, né Tiger, né i vari mercatini che frequento; anche il fotografo va pagato. Idem il mio tempo.

Ah naturale, se al sabato tu con il tuo boccolo incatramato della parrucchiera Marisa costringi il tuo fidanzato a scattarti una foto con il cellulare  tra una puntata da Yamamay e un’altra da Kiko, per poi postarla e fartela commentare in maniera del tutto non spontanea dai duecento contatti del gruppo “Scambio commenti Instagram”, non sei un’influencer solo per aver totalizzato duecento commenti, ma una poveretta.
E sono d’accordo con voi, il mondo è pieno di poverette in questo senso.
Se non lo sapete comunque, esistono dei gruppi su Telegram di sedicenti influencer dove c’è la regola base secondo la quale al postare di qualsiasi puttanata sul proprio account Instagram, tutti i partecipanti devono commentare, a comando e dopo un avvertimento, la foto. Che significa conversione 0, credibilità -1 , livello di sfiga 120. Come riconoscere chi usa questo trucchetto? Quasi tutti i commenti sono così cretini al punto che ti fanno sorridere dal nervoso (“mmm, ma che buono il caffè”) e provengono da altri sedicenti e soprattutto autoproclamati influencer o personaggi pubblici (sono quelli che mettono “the real” o “official” perché credo debbano auto-convincersi loro in primis d’essere qualcuno).

Vado avanti con l’analisi:

“Per un nanoinfluencer pubblicizzare un prodotto non è un lavoro, ma il solo fatto di poter dire ai propri seguaci di essere stati contattati da un’azienda li gratifica e li fa sentire importanti”

Punto 1. Provate a dire ad un direttore creativo di immaginarsi una pubblicità per Barilla, per non essere poi pagato, perché cazzo, è per la Barilla. Ti sputa addosso. E farebbe bene.
Punto 2. Anche se fosse vero, non è da sfigati ammettere “ti faccio pubblicità gratis perché tu sei più figo di me e io sono onorato di regalarti un servizio?”.
Non la vedo tanto lontana da una che si prostituisce pur di fare un film. Anzi.
#metoo lavoro per la gloria (suka).

È vero quando Il New York Times, con le parole di Mae Karwowski, una che gestisce nanoinfluencer, ovvero che prende soldi dalle aziende grazie a gente che lei non paga, parla di saturazione:

“There is such a saturation at the top”

È verissimo. Ma il reale problema è il top dall’altra parte, ovvero l’azienda che vuole chiamare solo influencer da un milione di fan magari finti e di contenuti magari “sexy”. Praticamente Instagram ormai è tutto così: anche la mia portinaia tra poco avrà più fan di me, non costano nulla, e si metterà in costume a lavare macchine perché il voyeurismo va un sacco di moda.
Vallo a spiegare a quei top manager sarcazzi che lassù, nell’Olimpo dei numeri è tutto finto. O non è di qualità.
Si è fighi se si hanno un sacco di zeri. Similitudine degli uomini quando fanno a gara ad avercelo più lungo.

Ho 18,500 fan. Lavoro sul digital da anni, il mio primo blog l’ho aperto a 22 anni. Ne ho 34. Ho iniziato senza strategie e ho continuato senza strategie, semplicemente essendo me stessa, anche perché le strategie che mi avevano proposto esulavano dalla mia morale e soprattutto dal mio modo di essere sempre e comunque trasparente.
Un po’ ho avuto culo, un po’ sono stata tra le prime, e un po’ sono anche bravina (e che cazzo).

Tempo fa scrissi un post autoproclamando il mio fallimento ad essere da così tanto online e ad avere così “pochi” fan. Era ironico, non l’hanno capito tutti, anzi c’è chi c’ha marciato sopra e m’ha trattato da sfigata. Sono fiera di me. Fiera. Se vi dico tutte le cose che ho avuto la fortuna di fare e le persone con cui ho avuto la fortuna di lavorare non ci credereste manco voi. Eppure ho “solo” 18,500 fan. Così pochi che quando faccio delle domande i miei fan, quei fighi dei miei fan, mi rispondono sempre con risposte articolate, pensate, da persone con un cervello così. E mi rispondono in tanti. Incredibile eh?
E adesso devo sentir parlare di nanoinfluncer, persone che si devono sfruttare per fare loro promuovere a gratis dei prodotti, quando però delle agenzie ci guadagnano.
Un’azienda, un’agenzia, dovrebbe fare delle strategie ragionate. Io stessa che a volte lavoro dietro le quinte come consulente, anche se c’è chi ha da ridire anche su questo perché non sarei in grado (vabè sukate), le faccio, e devono comprendere persone che abbiano una credibilità, delle capacità di storytelling, e anche dei numeri, piccoli ma ben targettizzati, o grandi (veri) e meno targettizzati.
Onestamente dire “io lavoro solo con i nanoinfluencer” mi sembra una mossa paracula che mi fa non poco incazzare perché prende in giro loro, e gente come me che non smarchetta cose a caso per coerenza e che quando pubblicizza un prodotto lo fa pensando e producendo un concetto.

Ce ne dobbiamo fare tutti una ragione: il modo di fare “pubblicità” attraverso persone che lavorano sul web esiste, e se ci sono dietro onestà e professionalità, i risultati ci sono.
Provate a pensare alle mie amiche Federica, che ha un engagement diddio, e Veronica, con una community di donne belle e “scatenate”. Loro sono due esempi molto diversi di come “l’online funzioni”.
Vi ricordo che Veronica ha portato 900 persone dall’online in un teatro vero, offline. Quel giorno c’eravamo anche io e Federica. E a me e a Federica ci hanno fermato un sacco di persone che tutte le mattine si svegliavano con le nostre storie.
Nel mio caso spesso sono uscite fuori le frasi “racconti”, “la donna del caffè”, o “quel negozio spettacolare a Milano”, che sono collegate ad alcuni progetti che ho fatto e sto facendo. Questo è un bingo, non un’auto celebrazione. Semmai un minuscolo frutto di un lavoro lungo e costante.

Firmato me e i miei 18,500 fan.

(progetto realizzato in collaborazione con Crodino Twist)

 

 

 

 

 

Comments are closed.
  1. GIULIA

    23 November 2018 at 9:34

    e perchè quelli che ti seguono e poi ti tolgono il follow sperando che ci caschi? Lo ammetto non mi farebbe schifo ricevere prodotti AGGRATIS ma in realtà non me ne frega neanche una beneamata minchia, il web è un hobby e cerco di mantenerlo tale ma ti od ragione su tutta la linea, ma te continua così che sulla lunga distanza la sincerità paga sempre

    • Lucia

      23 November 2018 at 13:56

      grazie mille! Sì, il follow/defollow è assurdo.

  2. Maria

    23 November 2018 at 14:21

    Ti scrive una formichina che a 56 anni (ne ho 58 ora, per giunta nonna) ha deciso di “buttarsi” nel web perché voleva ancora imparare ed essere al passo. Praticamente è stato come entrare in una lavatrice che dopo avermi sbattuto, sciacquata e strizzata mi ha lasciato come una pezza. Insomma non mi sono ancora ripresa da questo vertiginoso mondo delle influencer/blogger. Ne sento di tutti i colori e alla fine ancora non so chi ha ragione. Ah, per intenderci, io non sono nemmeno 10 alla meno 100000000000 influencer. E ho detto tutto ? Ps. Mi chiamo Maria ??

    • Lucia

      7 December 2018 at 11:08

      ciao formichina Maria 🙂 vedrai che piano piano avrai tutto molto chiaro 🙂