Le curve fanno le snob, ma tanto poi tanto vanno dalle linee dritte

Le curve fanno le snob, ma tanto poi tanto vanno dalle linee dritte

Già il fatto che il nome “calligrafia” abbia in sé l’idea di bello è bello.
E ci sono le curve che fanno le snob per poi andare a cozzare in baci e bracci su linee abbastanza dritte. La metafora della donna e dell’uomo, lei che ci gira intorno e alla fine cede, lui che tanto è lì che aspetta.
Ci sono l’armonia e l’equilibrio di un’arte basata su pesi e misure.
Ci sono la tradizione e la nostalgia.
Per questo quando Elena mi ha proposto un workshop di calligrafia con Yvat & Klerb ho detto stra-sì.
Mi è sempre piaciuto scrivere (a mano), quando si facevano i bigliettini d’auguri per le feste di compleanno ero quella che doveva scriverli (perché lo pretendeva), come anche quando lavoravo in agenzia ero quella che doveva adoperarsi per scarabocchiare nomi e cognomi di centinaia di giornalisti (allora non c’erano ancora gli influencer) su inviti bianchi.
Da qui a scrivere bene c’è un mondo intero, tuttavia provare a scrivere bene, oltre che faticoso, è cosa interamente bella, anche se fra quello che scribacchi tu e quelli o quelle brave c’è il ponte di Brooklyn nel mezzo.
Questione di esercizio, di ritmo, di costanza e pazienza. Tutte questioni che paiono non appartenere più al mondo moderno, per questo io invece tento di affrontarle.

Quel sabato lì è stato uno dei miei tipici sabati perfetti, perché è stato nostalgico: dopo il workshop di calligrafia ho pranzato da U Barba con una zuppa di verdure, che fa molto casa (non mia, ma dei miei genitori), con vista bocce e vecchi elettrodomestici, per poi passare duemila ore nella Cartoleria e Tipografia Fratelli Bonvini, una bottega che dal 1909 odora di carta, inchiostro e di persone con qualcosa da raccontare.
Appena ci sono entrata ho adocchiato delle gomme da (s)cancellare, quella a rotella come le liquirizie, con le quali ci si cancellavano gli errori delle Bic, spesso bucando il foglio, e racimolando una quantità tale di trucioli blu che pareva che giù dal banco ci fossero passati i Puffi.
Poi i quaderni con la tabella pitagorica sull’ultimo foglio, su quelli non ho mai scritto, ma mi ricordo nella casa di Castiglione del Lago di averli sniffati e trovati già scritti.
Le macchine per stampare con la carta appesa come lenzuola a Catania.
Le persone con storie, leggende e novelle da raccontarti, tutti degli universi paralleli, che però ad un certo punto s’incontrano perché non hanno nessuna intenzione di far sparpagliare le tradizioni come stelline nel brodo.
I libri illustrati, con le insegne (prima o poi ne farò uno anche io con le mie insegne che fotografo da anni), con i disegni e le fotografie, quelli che puzzano di nuovo, ma sanno comunque di vecchio.
Le storie di quartiere.

Ecco, datemi un sabato così e mi avete subito in versione “brodo di giuggiole”.

Total look P.A.R.O.S.H.
Foto: un po’ mie, un po’ di Elena Braghieri, un po’ di Giacomo Berardi

 

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  1. giulia

    25 November 2016 at 9:25

    La calligrafia che bella, io adoro ancora allegare bigliettini scritti a mano ai regali, scrivere le care vecchie lettere ma ammetto che un corso di calligrafia mi piacerebbe tanto frequentarlo spero che prima o poi qualcuno si decida a farlo anche nella mia piccola città:D