Le cartoline sono come la cioccolata calda

Le cartoline sono come la cioccolata calda

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Più volte ho dimostrato la mia insofferenza nei confronti delle chat, di Whatsapp, dell’abuso di Facebook, facendo pure un mea culpa. Una volta ho scritto: “Vorrei che qualcuno mi scrivesse una cartolina”. Dopo cinque minuti circa Barbara mi chiede l’indirizzo di casa. Qualche giorno più tardi vedo un pezzo di mare dal vetrino della mia casella postale.
“Qualche ufficio stampa con uno dei suoi inviti avrà pensato ad una presentazione a tema marittimo”, m’era subito balenato in mente. Non tiro manco fuori le chiavi, l’invito può aspettare.
Il giorno successivo rientro a casa e c’era lì ancora il mare, ed era un peccato lasciare che facesse felice solo il loculo della cassetta delle poste.
Una cartolina. Per me. Non capitava da tempi immemori.

Rimini, anni Novanta. “Quando andiamo nel negozio?” Dovevo comprare pallone Super Tele e cartoline, ogni anno era una tradizione, ed anche un dramma perché avevo sempre il terrore di dimenticarmi di qualcuno, che poi si sarebbe certamente offeso. Arrivavo al mare con il mio taccuino alla mano, che era prima passato strusciando su tutti i banchi di scuola, quasi tutti, per chiedere ai fortunati mittenti l’indirizzo di casa.
Non vedevo l’ora di appoggiarlo su quelle tovagliette colorate dell’Albergo Leopardi, per poter copiare uno ad uno tutti gli indirizzi su pezzi di cartoncino accuratamente selezionati uno ad uno. Mi lamentavo sempre fossero troppi, ma la verità è che tutto il meccanismo mi piaceva un sacco.

“Non trascinare la sedia, alzala”, odiavo quel rumore delle sedie sfregate sul pavimento del cortile dell’hotel.

Per i nonni e zii c’era quasi sempre lo stesso format: “Tanti saluti da Rimini”, e le varie firme. Ognuno firmava per conto suo. Per gli amici c’erano diversi format, per alcuni si aggiungevano pure disegnini come stelline e cuoricini.
Il bello delle cartoline era che quando tu le scrivevi era come se fossi convinta che nessuno le avrebbe viste, invece le avrebbero viste tutti, prima i genitori dei mittenti e poi i mittenti, nel caso delle tue amiche del cuore.
Poi non erano immediate, le dovevi aspettare, erano tutto ciò che c’era di più personale.
Ultimamente ho cominciato ad andare in giro a comprare vecchie cartoline, a patto che siano scritte, sono comunque dei pezzi di storia.

Quando ho preso in mano quella cartolina di Barbara mi sono apparsi la sabbia e il suo inconfondibile odore adriatico, il bombolone alla crema, il juke box, il sale negli occhi, la maledizione della crema prima solare e poi per le bruciature, perché tanto mi bruciavo sempre, il maxi pennone colorato, la cipolla sul dito medio che avevo perché scrivevo troppo, la lingua al sapore di francobollo, quella felicità precisa, esatta, particolare nell’imbucare una cartolina, in quel momento in cui infili le dita dentro quelle cassettone rosse ti chiedi sempre “chissà se arriverà” o “chissà se gli piacerà” o ancora: “Cavolo avrei dovuto scrivergli anche quest’altra cosa”.
Barbara mi ha fatto un regalo immenso, un regalo fatto con il cuore.
Ed è curioso, strano, ma estremamente piacevole vedere come ci sia qualcuno, in un’altra città, che non conosci, che ad un certo punto ha deciso di farti un regalo così bello, e di prometterti pure che lo avrebbe fatto. Fa lo stesso effetto del percorso di una cioccolata calda dalla bocca all’esofago fino allo stomaco, ti punge perché è calda, e poi ti fa volare dal piacere.

Questo post lo dedico prima a Barbara.
E poi anche agli uffici stampa, i brand, e alle persone speciali che per San Valentino, o per i giorni “limitrofi” si sono ricordati di me: Lush, Chloé, Kiehl’s, Elizabeth Arden, Dolce & Gabbana, Pernigotti, Durex, Pas de Rouge, Pierre Mantoux, e il resto, mi spiace, ma è personale.
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