Il colon s’è rotto le palle di fare il retto

Il colon s’è rotto le palle di fare il retto

Racconti dalla mia quarantena.

“Prima o poi tocca a tutti”. Le mani si riposano l’una dentro l’altra, anzi a dire il vero è sempre la stessa che deve fare il lavoro duro; dicevo, le mani che si semi-riposano dietro la schiena, il mento indietro, gli occhi socchiusi, il retro odore di lavanda. O è brillantina Linetti? Aveva letto l’annuncio funebre appeso a quella maestosa porta che dio solo sa quanto sia costata a quei condomini. Però, niente da dire, il suo effetto lo fa. “O no, signorina? Che prima o poi tocca a tutti?” La signorina mise il turbo per mantenere le distanze e si limitò a rispondere solo con un mezzo sorriso, che però l’uomo non vide. La mascherina, aveva la mascherina. “È arrivata la primavera!”. Il mento stavolta se ne era andato in alto, e il dito dinoccolato, l’indice, ad indicare un cielo straordinariamente pulito e azzurro. “Certo che si canta Azzurro, guardi che cielo c’è”. “E come sta il figlio? È giù a Firenze?”, s’era sporto con il petto, verso destra. Il signor Milano era uscito con la giubba verde, la lucentezza nei capelli e un sorriso di chi finalmente se la gode. “Ho corso tutta la vita, adesso l’unica corsa che devo fare è quella al supermercato. E devo pure aspettare. Gli ultimi anni li ho passati rincorrere quelle dannate app per saltare le file, alla mia età! Ma lo sa che in fila si incontra gente? Ci si può parlare. Lo si può fare anche a distanza. Si chiede perché non indosso la mascherina vero? Perché non ho paura. Non ho paura di sentire fino al midollo quel superiore senso di affetto. Che appiattisce ogni curva, che stira qualunque grinza, che fa stendere le braccia suonando invisibili corde di uno strumento impopolare che si chiama Theramin. Pare una medicina, e forse in un certo senso lo è. Funziona a frequenze, così come la comprensione. Quel senso di coralità che ti rende attore o attrice di quel teatro dell’Assurdo che credevi fino a ieri fosse un barattolo chiuso di bastoncini neri con il collo alto a sbattere l’uno contro l’altro in uno scaffale lontano. Scommetto lei sia stremata eh? A pensare, pensare, pensare… a storcere il suo bel visino da destra a sinistra verso quel palcoscenico di personaggi che paiono dire cose senza senso. Io invece adesso sto imparando a suonare il Theramin. È difficile, si suona senza toccarlo, perfetto di questi tempi, risparmio di amuchina! Smusso angoli invisibili, gli stessi che ho sempre visto acuti. Ogni tanto ci sbatto, ma fa meno male, vuoi mettere sbatacchiarsi rovinosamente su errori mai capiti. Signorina, questo stop è come i Mondiali Novanta senza Roberto Baggio: un’addizione alla potenza sottraendo curva e pallone. Forse oggi non troverò il lievito, o la pasta, ma ho trovato la fila, l’attesa, la pazienza. Lo so che non basta una manciata di sale e spezie per rendere saporita la sosta, cavolo dovrebbe essere il contro-sponsor di Autogrill, ma mi creda, è lei, la sosta, a rendere più appetibile la staffetta che voilatri vi state già preparando a correre perché c’avete la frenesia in corpo. Il duodeno che s’azzuffa con la colecisti. Il colon che s’è rotto le palle di fare tanto il retto. L’intestino che non riesce a trovare un’appendice a tutta questa storia.
Quel che resterà ad alcuni di voi, non a me, sarò già a far baldoria con San Pietro, sarà una croce che avrete sul collo. Mica una collana, una specie di etichetta come c’è sulle banane buone. Ve la potrete vedere solo riflessa sull’altra persona. E capirete che siete uniti. Ci sarà voluta una tracheotomia per sancire l’unione nel nome del Corona, del Virus e di quel Tubo Santo, amen.
Ora capisce perché non ho paura? Perché avevo paura più delle maratone da bendati, dei carrarmati dell’esercito sociale. Perché sono lieto del fatto che le distanze di adesso siano la potenza di abbracci più consapevoli di domani.
Dunque, non è che mi baratta un pacco di pasta con una scatola di fagioli?

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