Il tempo è dopato, ma noi non siamo Usain Bolt

Il tempo è dopato, ma noi non siamo Usain Bolt

“Il tempo ha cominciato a correre un po’ troppo velocemente, facendoci perdere così la bellezza dei contatti umani”.
“Signora Rita, quando posso venire a fare due chiacchiere con lei? Parleremo del concetto di tempo
“Allora fammi capire quando parto per la Liguria… giovedì no, meglio venerdì, ma tarda mattina che ho delle commissioni da fare, e poi eh, è Natale.”

Appunto, il tempo è esattamente come la pizza con la mozzarella di bufala: prezioso, non è mai abbastanza, e va incastrato in una dieta equilibrata di impegni personali e professionali.
Prima di andare avanti faccio una premessa. Tempo, orologi, Philip Watch: ecco, insieme abbiamo pensato di unire l’heritage del marchio e la sua creatività italiana al concetto di tempo visto da due generazioni (italiane) diverse, la mia e quella di una splendida settantenne che “si veste ed è più giovanile di te” (parole del fotografo), attraverso la sua storia.

Testa rasata con striscia di capelli più lunga dietro, occhietti a mezzaluna a cartone animato giapponese, look total black di cui Marcelo Burlon potrebbe provare invidia, sneakers ovviamente nere con calzini glitter in vista e dimensione Polly Pocket: ecco la signora Rita.
Testa calda, quattrocchi con lenti od occhiali, look sempre a caso, sneakers cammello con calzini a pois ocra: eccomi.

“Prima non era così, il tempo è cambiato con i tempi e le tecnologie, come l’interferenza dei cellulari che ha dato un colpo abbastanza negativo ai rapporti umani; al ristorante vedo sempre più spesso fidanzati col telefonino, aggeggio che toglie il tempo del racconto e della conoscenza verbale, a discapito di quella telematica”.
Come darle torto. È bastato un rettangolino con dentro un mondo molte volte poco reale per fagocitare gran parte del nostro tempo. Tuttavia Rita è molto social, infatti le persone che conosce tramite Facebook poi le traferisce nella vita vera.
“Settimana scorsa sono venuti a trovare me e mio marito degli amici di Facebook dalla Sicilia”.

“Rita, come sono adesso i tuoi ritmi, come passi le tue giornate?”
Scoperchio il vaso di Pandora. Rita infatti non è la classica pensionata che aspetta che le giornate passino, anzi, le trascorre in maniera molto allegra e anche molto creativa.
Lei infatti sa fare più o meno tutto: imbastisce meravigliose spille e collane con materiali di recupero raccattati nei mercatini o dalle sue amiche, porta-occhiali, vestiti (era lei che confezionava i vestiti da Drag Queen per Chiara, la figlia). Ve lo dico già: sono creazioni bellissime, ma non sono in vendita.
Figlia di un’astrologa e soldata di Mussolini, lei è anche l’unica signora settantenne che ho conosciuto che allo scoccare delle ore 13,00 non è andata in ansia per il pranzo; sono uscita da casa sua alle 15,30 che ancora chiacchierava, fino a che poi: “Ah, ma non ho niente in casa da mangiare, andiamo fuori a mangiarci un panino?”.
È anche l’unica che è andata a convivere prima di sposarsi in degli anni in cui ciò era considerata follia.



“E quando eri piccola invece?”
Quando era piccola il tempo passava regolare e rilassato perché al Collegio la vita doveva essere regolare. Con le suore non poteva essere diversamente. E per la creatività e la fantasia, qualsiasi tipo di fantasia, non c’era ovviamente spazio.
L’unico tempo della trasgressione era la notte, quando lei e la sua amichetta imbastivano il “pranzetto”: si legavano per i polsi con un laccetto per svegliarsi nel mezzo della notte per consumare un pochino di pane e formaggio giallo americano, lo stesso con cui ci faceva il pongo, rubato nel Refettorio a pranzo. La ribellione stava nel non farsi scoprire dalla suora che dormiva nella stessa stanza.
“Sennò c’era il cinema, ci portavano a vedere film che raccontavano la vita di Gesù, o ci facevano vedere persino la tv, ma c’era sempre una suora vicino all’apparecchio, perché se per caso passava una presentatrice un po’ troppo scollata, lei copriva lo schermo”.
La sua giornata era: sveglia prestissimo, lavarsi con acqua gelida, letto da rifare, preghiera, messa, colazione, scuola e poi attività fisiche o manuali.
La mia alla sua età era: colazione, doccia, scuola, ginnastica o teatro, compiti e amiche, televisione, giochi.

Quando è arrivata Chiara all’epoca lavorava, mollò tutto per dedicarsi alla figlia, allora lì il concetto del tempo divenne giocoso: aveva una station wagon, quindi andava a prendere i bambini a scuola e li portava al Bosco in città, in via Novara.

E io? Io sono una millennial, free lance, a partita IVA e che sta a Milano, quindi non vivo il tempo in maniera allegra come Rita. Durante la settimana ci combatto sempre contro per fare tornare i conti e trovare spazi per me stessa, nel fine settimana faccio praticamente lo stesso.
Più che corro, rincorro. Sogni, utopie, persone, un’idea concreta di normalità, quella un po’ che racconta Fabio Genovesi, quella con cui sono cresciuta, a suon di mangiarini a base di terra e fango, di sfoglie tirate e di ginocchia sbucciate e basta, senza drammi alcuni.
E più rincorro più mi chiedo come si faccia a non rincorrere.

Trovo il tempo di fare sport per scappare dal pensiero di averne sempre troppo poco, a volte ci riesco e a volte no; scrivo per respirare, la scrittura è il mio yoga, praticamente l’unico modo di concedermi il lusso di andare adagio senza sentirmi in colpa è scrivere.
Perdo tanto ore della mia vita sui social network, troppe, e lo sottraggo alla lettura, alla vita vera.
Mi piacerebbe molto dirvi che vivo il io tempo in maniera del tutto serena, ma no, non è così.
Sono cresciuta, ho delle responsabilità, vivo nel 2018 e non negli anni Ottanta, ho Internet.


Credo fermamente che io, come tutti, avremmo bisogno di una rieducazione del prezioso valore del tempo; una rieducazione che consisterebbe nel respirare con consapevolezza, nel dire di no, nel non voler essere super eroi, perché i super eroi non esistono e la normalità è meravigliosa, nel cucinare torte di mele con il proprio fidanzato, nel chiacchierare con le amiche davanti ad una fumante cioccolata calda e non uno schermo, nel ringraziare, nel regalare fiori e non cuori alla propria mamma, nel fare una gita con il babbo.
E sì, indosso l’orologio come Gianni Agnelli, rigorosamente sul polsino della camicia, è un Philip Watch.

Foto di Mauro Matti Serra

 

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