Il Cirillo

Il Cirillo

Non era né un santo né un diavolo, era un uomo particolare, che ha fatto la storia di un piccolo borgo di Arezzo. Tutti lo ricordano con il suo soprannome, Cirillo, datogli dai fratelli, tutti più grandi; a dire il vero la moglie, la Cecchina, che in realtà si chiamava Francesca, non lo ha chiamato mai per il suo vero nome di battesimo.

Il Cirillo era un bell’uomo, e da come mi dicevano faceva girare la testa alle donne del Castelluccio, tuttavia lui preferì la bella e alta Cecchina. Fisicamente asciutto, forte, muscoloso, dagli occhi celesti, era uno di poche parole, e quelle che gli scappavano dalla bocca erano misurate e un tantino orgogliose; essendo il fratello piccolo era sempre comandato a fare quello che gli altri non volevano fare, tipo portare un carretto con alcuni maiali al mattatoio, o caricare il fieno per venderlo, ma lui non aveva il potere di ribellarsi, era il più piccolo, e doveva incassare.
Anche durante la guerra, fece parte del corpo dei Bersaglieri e come sempre gli facevano svolgere cose che altri cercavano di non farsele assegnare, come quella di seppellire in una fossa comune i morti di un bombardamento a Grosseto. Era un vero Bersagliere! Sapeva sparare e colpire benissimo, tant’è vero che tutti lo cercavano per farlo entrare nella loro squadra di caccia.
Da lui ho imparato il canto dei Bersaglieri, quando lo snocciolava a Lucia da piccola, che non aveva alcuna intenzione di addormentarsi.

Nel borgo era diventato un eroe per avere sciolto e salvato alcuni vitelli nell’alluvione del novembre del ’66; lui in realtà non se n’è mai vantato, come non si è mai vantato di essere un bravissimo giocatore di briscola, scopa e tre sette.
Il bar di Ansano la sera si riempiva di giocatori incalliti nel gioco e nel fumo, e quelle volte che vi andavo per comprare le sigarette sentivo spesso la sua tipica espressione: “ lu vu di’ a me?”. Vinceva sempre lui, si ricordava di tutte le carte che erano uscite. Era un buon lavoratore, ma il suo campo di battaglia era disfare le mezzene dei maiali e fare gli insaccati, che erano una vera leccornia. La sua fama si sparse in tanti paesi dell’aretino, e il suo nome, “il Cirillo”, me lo ricordavano perfino i miei clienti: ne ero orgoglioso!

Non è stato mai un grande mangiatore, anzi era parco, semmai amava bere un bicchiere di buon vino in più con gli amici. Aveva un amore sviscerato per la bicicletta, sarà stato un retaggio dei Bersaglieri; da quanto l’amava e la usava l’avrebbe portata a letto al posto della sua “amata” Cecchina.
Aveva un vizio però: quello di non dare precedenze, di fregarsene dei cartelli stradali, tanto è vero che una volta, tornando da una visita, quasi, quasi lo “inforcavo”.
Guai poi a toccare la sua Cecchina, anche se durante le domestiche partite a carte non era tutto rose e fiori: la Cecchina non voleva perdere, dava al Cirillo “ del baro”, e il Cirillo, borbottando non si sa cosa, arrabbiato, saliva nella sua rossa “bicighetta” farfugliando: “Vado al Ponte”, e se ne andava.
Una sera sul tardi tornò a casa tutto soddisfatto con una carpa pescata nell’Arno, pescata a suo modo o in qualche modo, e la Cecchina brontolandolo, gli strappò la carpa che fece rotolare per le scale.

Lei era fatta così, impulsiva, pensava sempre che qualcuno dicesse male della sua famiglia; credo che il suo brontolare fosse una forma d’amore, un po’ strana però.
Il Cirillo aveva tanto rispetto di me che mi chiamava “Dottore”, e non Maurizio e mi chiedeva se Tizio aveva ancora i vitelli, le pecore, e se Caio ancora lavorasse come Veterinario, un collega dei suoi tempi.
I suoi occhi celesti hanno sempre brillato, parlavano prima che uscissero le parole; è stato sempre un uomo forte, non si è mai lamentato per un dolore, anzi riusciva a sopportarlo e a superarlo per il timore di essere portato all’Ospedale e di lasciare casa e il suo amato Ponte Buriano. Quando lo vidi l’ultima volta, per rinfrancarlo gli dissi: Cirillo!
A novembre in genere si fa la soprassata e lui, non potendo, parlò con gli occhi e il sorriso, e mi salutò come sapeva fare.

Lo ricordo così! Ciao Cirillo!

Il Dottor Del Pasqua

 

 

 

 

 

 

 

 

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