Perché ORA il Coronavirus è social-mente un incubo

Perché ORA il Coronavirus è social-mente un incubo

Il Coronavirus social-mente parlando è ora un incubo. Lo si è trasformato.


1. I social hanno delle tempistiche e quindi delle dinamiche precise. Oggi dopo un mese di reclusione mi ritrovo ancora con challenge a cui partecipare, inviti che in realtà celano imperativi (e se non li accetti sei una stronza), richieste, domande.
Ecco, non credo sia più il momento di pressare, ma di rallentare. Tutto ciò è più stressante di una giornata in Borsa. Lo immagino, ovviamente non ci sono mi stata.
Questo è il momento di scrivere “se vuoi”.
Vorrei dire a tutti: “basta” senza “per favore”. Smettetela di farmi sentire in obbligo di fare cose che non voglio fare.
Anche le aziende: si sono tutte adoperate per fornirci trilioni di spunti. Bellissimo. Ora, a mio modesto parere, dovrebbero o tacere o aiutarci a darci una calmata.


2. Niente imperativi, per l’appunto, se non lo “stai a casa”.
Fai, disfa, scrivi e inventa. Abbiamo cercato tutti e tutte di trovare il modo di occupare il tempo, ci hanno suggerito mille modi possibili, e noi ne abbiamo consigliati altrettanti, giusto; ora è il momento di uscire dal tunnel della bulimia e di comprendere che il tempo non andrebbe occupato ma vissuto. Ma certamente stare nel “qui e nell’ora” non è facile. In più c’è chi lavora – credete sia facile lavorare chiusi in casa magari con partner, figli, senza una valvola di sfogo se non la passeggiatina verso il frigorifero, che nel mio caso è esattamente dietro di me? C’è chi non lavora, o chi non ha la concentrazione per farlo. Presente. Non fare nulla, stare con se stessi, non è una vergogna. Dopo il fat shaming pare ci sia il boring shaming.


3. Il silenzio. Con le ottantamila attività proposte al secondo, che per carità, possiamo scegliere di imbastire o no, ci dimentichiamo del silenzio, che non è il lupo cattivo, ma è una curva necessaria che arriva dopo il chiasso. È la mamma che ti mette la mano sulla fronte quando ti vede stremata e ti rassicura che puoi dormire. Basterebbe spegnere il telefono, no? Tu resisti alla “tentazione”?
Ci hanno abituatati al fatto che il tacere sia sinonimo di imbarazzo, di non avere niente da dire. Si sta zitti solo alla Messa per ascoltare qualcuno o che non senti o che ti sforzi di sentire. Ascoltare noi stessi è troppo complicato, meglio parlarci sopra. 


4. Pensi: tutti fanno mille attività, o così pare, io sono proprio una merda che ne faccio settecento. Ieri l’altro ho avuto un attacco di panico. “Quando mi ricapita di essere ‘libera’ per fare queste cose? La gente muore. Devo organizzare la call. Cazzo gli scatoloni per il trasloco. Domattina devo uscire con la mia rassegna. Devo trovare l’idea geniale per il prossimo contenuto. Ma questa casa è più piccola? Ho già prenotato le vacanze, ci andrò mai?
Boom.


5. Bisogna aver paura per fare “tribù” e usare questo “Game”, come direbbe Baricco, come arma di difesa a nostro favore. Ma quell’arma ha troppe pallottole di zucchero da tirare. Bisogna che qualcuno ci dica che no, non dobbiamo avere più la frenesia di sparare, ma l’intelligenza di comprendere che quella fionda ce l’abbiamo da un po’ nel taschino, e che no, non andrebbe usata a sproposito. Lo zucchero poi fa venire le carie. I social sono un mezzo pazzesco per la costruzione di un esercito compatto che abbia un’opinione quasi corale, ma l’esercito dei social deve necessariamente muoversi con dei tempi diversi di quello reale. Non c’è una strategia preconfezionata da seguire, ma una strategia che muta sempre, da modificare più e più volte.

6. Corsi gratis online ovunque. E anche qui mi ritrovo a fare la parte della stronza. L’economia non va alla grande, ce ne lamentiamo, non sappiamo che fare. Ma se nel nostro piccolo alimentiamo il proliferare di corsi professionali gratuiti facciamo solo peggio. Scontati, a prezzi ridicoli, ma a zero no. Questa non è la shut-in economy con cui avremo a che fare sempre di più, e non è manco baratto. In guerra trovo opportunità, non il divano che ora è più comodo ma domani si trasformerà in sabbia mobile.

7. Allo scoppio della pandemia, sempre social-mente parlando, il Covid19 ha fatto uscire talmente tanta di quella creatività che ne ero commossa. Poi lo stress, la ricerca del sensazionale ad ogni costo perché bisogna essere i più bravi, ed infine la noia, ovvero nel momento in cui trovo quel sensazionale sono già in ritardo. Ciò che propongo non interessa più a nessuno. A nessuno. E a me? Stavamo facendo tutto in funzione degli altri? Per apparire bravi/creativi/utili/positivi/ nei confronti degli altri? È questo il momento di focalizzarci veramente sul sentire le nostre sensazioni, le nostre esigenze, i nostri bisogni, e se necessario, trascorrere la giornata a piangere.

8. Il fenomeno del cantare fuori dai balconi -vita vera, reale – è andato (giustamente) a scemare. Era bellissimo, mi sono commossa ogni volta che vedevo cantare e ballare persone fuori dalla finestra, poi un giorno è finito tutto. Perché quell’appuntamento era diventato un obbligo, un timbrare il cartellino.
Perché allora sui social non si smette? Perché il buonismo è troppo più forte della potenza dell’ascolto del proprio cervello che è combattuto tra il cuore proprio e il cervello degli altri.

9. Andrà tutto bene. Anche in questo caso, non è più il momento. C’è il momento della speranza, c’è il momento del realismo, dell’oggettività. Resistere a casa con ottomila fattori psicologici che vengono alla mente come mille pop-up è un casino. Ma nella mente non ci sono le ad block facili. Adesso è solo resistere, le illusioni ci fanno ancora più incazzare. I miei voli per la Grecia, già pagati, me li ficcherò probabilmente nel di dietro.

10. Vorrei sentire più podcast. Hanno una sorta di potere calmante. Non vedere immagini, ma solo ascoltare farebbe bene a placare questa frenesia di attività, mettendoci in una condizione più passiva, rilassata.

Foto: Mauro Serra

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