Il sud del Marocco: per chi vuole surfare, ma anche no

Il sud del Marocco: per chi vuole surfare, ma anche no

L’altra volta che ero tornata dal Marocco ero infastidita, nauseata, delusa. Marrakesh aveva rappresentato un fallimento, l’avevo dipinta come un ammasso di persone che non vedevano l’ora di toccarti, attaccarti, spillarti dei soldi, investirti con il motorino. Anche per questo giurai che se fossi tornata in Marocco non sarei più passata da Marrakesh.
Che diavolo ci trovano tutti in quella città così caotica e zeppa di troppe cose?
Così questa volta per raggiungere il “mio” paesino berbero vicino ad Agadir ho preferito fare uno scalo a Casablanca, che atterrare nella più economica Marrakesh.
Già, da Milano è molto più conveniente volare fino a codesta città con Ryanair che imbarcarsi fino ad Agadir, ma ho preferito. Spezzo per altro non una lancia ma dodici in favore di Royal Air Maroc, compagnia seria e puntuale. Unica pecca? Per i vegetariani non c’è modo di mangiare a bordo, dato che i pasti si dividono tra manzo e pollo, forti del fatto che il pollo non sia carne. Così funzionava anche da mia nonna.
All’andata ho persino conosciuto un tizio che ha fatto il vu cumprà a Milano appena era arrivato in Italia, e che mi ha poi svelato i centri di spaccio principali della città e la provenienza della merce di contrabbando. Evidentemente ho una faccia da balorda, dato che una volta scesa mi hanno anche fatto il test anti-droga e rovistato persino nei capelli.
Gli aeroporti marocchini sono comunque tra i più puliti che io abbia mai visto, e per qualche ragione sono tutti più carini con le donne che con gli uomini.

La mia destinazione è stata Tamraght, un paese berbero a 13 chilometri da Agadir dove sono tornata per “motivi di surf”.

È ormai pieno di surf house e school, ma è comunque meno popolare di Tagazhout Bay, un villaggio anch’esso popolato da berberi, turisti e sempre più ricco di hotel a cinque stelle.
Questa parte del Marocco è conosciuta per le onde lunghe e gentili, perfette per chi ama il longboard, per questo ho scelto ancora una volta He’e Nalu, surf house sui generis che offre pacchetti surf, soggiorno e pensione completa. Oltre la pulizia estrema, le camere grandi, la vista mozzafiato sull’oceano, questa villa gode di una cucina ai livelli di ristoranti con chef stellati. Fatima prepara colazioni prelibate, panini per la spiaggia che sfidano persino la mia creatività e cene paragonabili a quelle delle nostre nonne, ricche ma leggere. Io sono molto difficile sul cibo, ma una volta data a Fatima, la cuoca, la lunga lista delle cose che non mangio, mi ha regalato delle pietanze indimenticabili, fatte con il cuore.
Ciò che contraddistingue He’e Nalu è proprio il cuore: a differenza della “normali” surf house si mangia sempre tutti insieme, perché la condivisione è uno dei suoi valori principali, e Kareem, l’insegnante, segue tutti in maniera mirata, non limitandosi ad un training fisico, ma anche psicologico, perché il surf è molta testa e perché lui è anche psicologo. Con lui si sta in spiaggia dalla mattina al pomeriggio, quando una volta tornati a casa, c’è tempo per una passeggiata prima di cena, dopo la quale si parla tutti insieme. Dico questo non perché mi abbiamo pagata, le vacanze me le pago da sola, no adv (ahimè!).
La prima cosa “strana” che ho notato è che si passeggia ovunque, per la strada o per sentieri che non sembrano sentieri, e che ci sono persone sedute, da sole o in compagnia, in qualsiasi luogo che per noi potrebbe essere davvero casuale. Quando dico “casuale” intendo in posti che per noi sarebbero impensabili: sul ciglio di una strada trafficata o nel mezzo di un sentiero in salita, o sotto una centralina elettrica

Da Tamraght le passeggiate possibili sono “a destra” o “a sinistra”, ovvero verso il villaggio delle banane, Aourir, o Tagazhout, altrimenti serve la macchina.
Il mercoledì ad Aourir è il giorno del mercato, il che significa che c’è ancora più casino del casino che già c’è.
Sono andata con Kareem, che si è dovuto coprire i rasta per evitare di essere guardato da tutti, e che ha guidato, non so come, fino a dentro il suq.

Kareem mi ha detto che “suq” vuol dire casino. Mercato senza regole. Qua la polizia manco entra, è una sorta di zona auto-regolata piena di traffico di umani, macchine e mandarini. C’è un omino che fa il tè per tutti gli ambulanti, sta sotto un ombrellone in cima alla collina, e ci sono altri omini che provano a regolare i parcheggi, poi ci sono montagne di… cose. Finalmente ho capito come sono costruite le montagne di spezie: sotto di esse ci sono dei secchi rovesciati per dare stabilità alla base della quantità di spezie.

Il mercato di Aourir è comunque tutta un’altra storia rispetto a quello di Marrakech: niente animali morti ammazzati, niente odori super forti (qui è tutto aperto, i profumi si sparpagliano), non c’è marocchino che ti mette in mano le cose per poi chiederti i soldi. I turisti qui sono per di più gli anziani del campeggio vicino con i pinocchietti e i sandali da tedeschi che fanno un po’ incazzare la gente locale perché chiedono una patata e due pomodori invece che un chilo di cipolle e mezzo chilo di arance. È tutto un casino, ma è un casino vivibile, dato invece di urlare gli uomini si mimetizzano nei prodotti che espongono, scomparendo così tra buste, baccelli o erbe da cucina.

Non ho comprato nulla un po’ perché ero stordita dalle placche, inevitabili ad un certo punto in vacanza, e un po’ perché avrei dovuto fare tre giri per entrare meglio nello spirito del mercato: uno per leggere i visi degli ambulanti, il secondo degli avventori locali e non, il terzo per apprezzare meglio la merce.

 

Uscita dal mercato sono stata in quello che credevo fosse un altro mercato, invece è semplicemente il villaggio con i suoi tanti negozietti, dove ho comprato l’olio di argan e il caffè con le spezie. Data la mia ormai rinomata passione per la bevanda nera ho rotto le scatole così tanto a Kareem che ha trovato un negozietto di spezie con un signore che mi ha fatto vedere in diretta come faceva il caffè.
Mi ha spiegato che prima di macinarlo ci mettono un sacco di spezie, dalla noce moscata all’anice fino allo zenzero, perché la loro qualità di arabica è scadente. Viva la sincerità. E comunque non l’ho ancora assaggiato.
Ho assistito a due inevitabili incidenti per strada e ad un’incredibile calma nell’affrontarli, che descrivo così: l’omino esce dalla macchina, guarda l’altro, lo saluta, e poi aggiusta a mano la parte ammaccata della macchina.

Nel villaggio delle banane ho anche potuto constatare che gli uomini stanno con gli uomini e le donne con le donne, e che tutti possono vendere tutto, a prescindere dalle licenze.

Se si ha la macchina, la benzina costa davvero poco, da Aourir si può guidare fino ad Anza, dove c’è un altro spot per surfare (ma ci sono vicine le fabbriche, quindi non consiglio), ma soprattutto dove si crede ci siano le orme di dinosauro. Nel posto c’è anche un ragazzo che per pochi spiccioli ti spiega tutto. Io non sono appassionata di preistoria, quindi ho ascoltato ben poco (lol).

Dalla parte opposta, invece, come ho detto, c’è Tagazhout Bay. Ecco, vi confesso che è stato singolare provare un caffè (pessimo) in un barrino a caso ad Aourir, tra marocchini a ridere su video di Youtube ascoltato a tutto volume e bambini scorrazzare tra i tavoli e poi a Tazegzout Golf a Tagazhout Bay, tra lusso e turisti, dove però il caffè espresso era molto buono.

Kareem mi ha detto che due anni fa il re, per riqualificare il sud, ha ordinato la costruzione di un’area dove ci sarebbero state una scuola di surf, una di golf (io mi sono presa un caffè all’interno), un’accademia del tennis, un’altra del football, un museo dell’argan, un resort.
Il progetto è praticamente quasi terminato, grazie ai controlli massicci del re, che ogni tanto viene a controllare con il suo elicottero.
Per certe cose ci vorrebbe un re anche in Italia.
Dato che c’è un gran parlare di vino marocchino, e dato che nell’Accademia di golf l’ho trovato, ne ho assaggiato un bicchiere. Delusione. Tuttavia in aeroporto ho comprato un’altra bottiglia, vi farò sapere.

Nonostante avessi voluto fare surf dalla mattina alla sera, le condizioni della settimana non sono state ottime, quindi Kareem mi ha fatto vedere cosa succede quando il mare è calmo, qualcosa di eccezionale: i pescatori si “scatenano” e le donne vanno al mare a raccogliere le vongole. Le prendono a mano o con l’aiuto di un coltello, le sradicano dalle rocce e le mettono in delle buste. Stanno tutte piegate e saltano da una parte della roccia all’altra senza mai scivolare, nonostante le tante alghe. Nel Nord questa cosa accade solo due volte perché il mare è sempre mosso, infatti è una vera e propria festa.
“Ma le donne nuotano mai?”, ho chiesto. Le donne di una certa età no, perché non lo hanno mai fatto, quelle più giovani sì, ma dall’adolescenza devono nuotare coperte. Niente bikini.
“Sennò che succede?”. Sennò il marito chiede il divorzio, mi è stato risposto.
“Gli arabi sono molto gelosi”.
Su una parte di quella roccia c’era un fuoco dove altre donne cuocevano il pesce; una di loro mi ha offerto una vongola, e io l’ho accettata solo perché aveva un sorriso splendido (alle 10,00 non ero così pronta per il pesce). Ho chiesto sia a lei che al signore con il cappello di poter fare una foto, ma non hanno voluto per timidezza. Il signore anziano con la beretta mi ha detto che vive come se avesse vent’anni: prende sua moglie e la porta in giro per il Marocco, destinazioni random, ha a Tamraght la sua casetta vista oceano, pesca, e chi sta meglio di lui?
Quel giorno ne sono tornata a casa con un guscio di un pesce e una pinna da surf regalati da Kareem, tanto colore negli occhi, il sorriso di quella donna, e lo ammetto, un po’ d’incazzatura nel vedere quel posto meraviglioso coperto, a tratti, da immondizia (i cestini in Marocco sono rari come gli albini).

La cosa entusiasmante di questo viaggio è che ho avuto l’opportunità di vivermelo con una persona del posto, che mi ha fatto mettere nei panni di chi ha una cultura totalmente diversa dalla mia, che non comprendo, non condivido, ma rispetto e ne sono affascinata. La cosa bella è che ho ascoltato un sacco e fatto milioni di domande.

Scrivo dunque, non in ordine, le cose che mi sono state dette e che mi hanno colpita di più. Il Marocco sarebbe uno dei paesi più sicuri al mondo per queste ragioni: non si possono avere pistole, se fai anche una cagata vai in prigione e ci stai parecchio, se ti beccano a spacciare cocaina sei, appunto, spacciato, le pene sono severe. L’anno scorso è passata una legge contro gli stupratori: se stupri ti tagliano le palle. Se la polizia non fa “bene” il suo lavoro, il popolo le insorge contro. Se si ha bisogno di informazioni “sensibili” basta andare in strada e chiedere, tutti devono sapere tutto di tutti. I marocchini sono nati per stare in guardia. Una donna non può essere leader, perché essendo più sensibile, non potrebbe prendere decisioni anche drastiche. Tra la mamma e il papà per un figlio è più importante la madre. Le donne devono essere protette. Il governo marocchino sa che ci sono molti venditori senza licenza, ma li lascia stare perché il Marocco è povero. Non è “carino” tenersi per mano o baciarsi in pubblico, se non in spiaggia. Quando ho chiesto che colore venga indossato ai funerali, perché nel nostro villaggio è morta un’anziana signora, mi hanno detto che non è questione di colori, ma di azioni: alla famiglia del defunto si devono portare soldi e cibo. E dopo il primo giorno non si deve piangere, perché al morto non piacerebbe. Per tradizione, quando il formaggio locale, che è fresco, comincia a puzzare, si butta anche se è buono. In Arabia Saudita se tradisci, finisci lapidato nella piazza comune dai cittadini. Si dice che se hai paura di una cosa verrai ucciso da essa. E ti si dà la scopa sul sedere non ti sposi. Pare che la prima università sia nata in Marocco, l’Università al-Qarawiyyin, per opera di una donna, Fatima Al-Fihriya, nell’859.

Il Marocco, quello vero, non è bello nel senso estetico comune, ma di incredibilmente bello. Non avrei creduto di apprezzare così tanto dei fiori viola, fino a non averli visti stagliarsi tra detriti e case abbandonate. O di non detestare il vociare infinito anche quando non necessario. O di dover ascoltare credenze per me assurde senza arrabbiarmi.
Questo Marocco è bello perché mi ha fatto comprendere il diverso e quanto ad essere grandiose siano in realtà le piccole cose.

 

 

 

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