Quando le calze non ce le infilavamo, ma ce le dipingevamo

Quando le calze non ce le infilavamo, ma ce le dipingevamo

Conosco gente, diversa, che non le sopporta, perché “tirano” e/o perché sono brutte, dicono.
Conosco altrettanta gente che se le mette perfino sotto i pantaloni (come fanno?).
Io invece ho cominciato ad amarle da grande, dopo una loro perdita di vista nell’adolescenza, momento in cui più andavo in giro ignuda meglio stavo, e poi nemmeno mi ammalavo.
Le calze o garbano o non garbano, quelle color carne fanno rabbrividire le più, tranne me, i gambaletti sono considerati invece da nonna Pina. Ask Prada.


Tempo fa feci una ricerca sulle calze lunghe, quelle che si mettono d’inverno sotto le gonne per non bubbolare di freddo o per bubbolare di meno, tanto per intenderci, con la precisione su quelle con il rigo dietro, che io compro e rompo, rompo e compro, rompo e mi metto rotte perché non sono mica la Banca Intesa io. Al momento ne ho tre paia rotte che non posso indossare perché sono rotte nei punti sbagliati, quindi non ne ho.
Oh, con tutte le invenzioni pazzesche possibile non abbiano ancora fatto le calze che si bucano non dico per niente ma poco? Vabè.

La prima scoperta per me sensazionale è stata che le calze lunghe da donna erano in seta. Capito che chic. E capito come scivolavano giù (e capito anche che nervoso).
A partire dal decennio successivo cominciarono a diventare merce rara perché gli Stati Uniti ruppero i rapporti commerciali con il Giappone, da dove veniva la seta.
Quando poi l’America entrò in guerra, si cominciarono a rispolverare calze di seta usate per trasformale in beni che sarebbero potuti servire per la guerra, come materiali per il paracadutismo, corde e cavi.
Le donne dunque, grande segno di patriottismo (!) donavano le loro calze danneggiate; quelle invece intatte erano conservate per grandi occasioni, come il Natale.
Si provò a produrle di cotone o di rayon, ma non era la stessa cosa,; alla fine si preferì il nylon, che però nel 1942 non fu più disponibile perché la DuPont dovette dedicarsi alla fornitura di nylon per la guerra.
Comunque le calze di nylon vennero mostrate per la prima volta alla New York World’s Fair nel 1939, e quando l’anno dopo fecero il loro ingresso nel mercato furono vendute 750.000 paia solo il primo giorno al prezzo di $1.25 ciascuno. Vorrei anche vedere, non si restringevano, non attiravano tarme e stavano sù!

C’è una storia a cui mi piace credere, che afferma che NYLON sia l’acronimo di Now You Lose Old Nippon. Ovvero: “Giappone, non ci fornisci più la seta? Hai comunque perso”.

Le calze avevano il rigo dietro perché non esistevano le macchine per la produzione di tessuti tubolari, quindi il segno riconosciuto come sexy non era un vezzo, ma una necessità produttiva, per lo meno all’inizio.
Quando le calze sparirono a causa della guerra una soluzione popolare divenne quella di dipingersi la parte posteriore della gamba con un olio fatto con del trucco liquido, che si applicava come un eye-liner. Le calze duravano così fino a quando ci si lavava.

Nelle immagini sotto è ritratta una rappresentante della Max Factor mentre disegnava linee sulle gambe delle donne (1940), perché nonostante i tempi difficili il canone di bellezza femminile non doveva cambiare.
“Make do and Mend” era il motto, ma se l’oggetto in questione non si poteva rammendare, si reinventava senza la materia prima. Geniale.
Esistevano inoltre dei Leg Bar, che se ci pensate era una soluzione iper moderna, mentre le più grandi case cosmetiche proponevano le calze liquide, da Ann Barton a Helena Rubinstein.

In Inghilterra pare si facesse la stessa cosa ma con il sugo di carne. Pare. Preferisco il trucco liquido.

E adesso? Adesso io non esco senza calze con il rigo dietro, e se le trovo rotte nel cassetto metto i pantaloni. Ma ti pare.

 

 

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