9 muse: donne che (non) odiano le donne

9 muse: donne che (non) odiano le donne

Ad una settimana di digestione di quel vortice chiamato 9 muse, e otto giorni a raccogliere pareri, commenti e complimenti (manco fossi Lorella Cuccarini, in realtà ero un po’ più Sandra Marchegiano), le dita sono qui che fremono.
Me lo ricordo, il giorno dopo avevo in corpo quella sensazione di felicità non urlata fuori ma esplosiva dentro, di calma con fermenti non lattici più che vivi, di shavasana, “la più difficile delle posizioni yoga”, come dice la mia insegnante, quella del rilassamento. La giornata dell’evento invece mi sono immaginata più volte d’essere Adriana che ascolta Rocky quando lui le dice a ruota: “ho detto boia, dé, dé gli ho detto, boia capito?”. Ovvero: non capivo un cazzo.

Alcune persone non addette ai lavori mi hanno detto: “figata, spettacolo, ma di cosa s’è trattato nello specifico?”.
Ora faccio la mini spiega: sulla carta è un evento di empowerment femminile ideato dalla mia amica “gegna” Veronica Benini e diretto dalla Jane Fonda italiana Marilli.
Ci sono nove muse e nove donne che le presentano. Le muse sono “galline” che hanno cose da dire, che si mettono a nudo raccontando della loro vita personale e professionale in un continuo incrociarsi, di come ce la stanno facendo o ce l’hanno fatta, di come se si vuole una cosa si può ottenere eccome, superando qualsiasi tipo di barriere, economiche, fisiche, ed emotive. E dando un calcio in culo anche alla sfiga, pure lei è un ostacolo eh.

Quella di sabato scorso è stata la seconda edizione, in cui novecento donne hanno riempito il Teatro Manzoni, hanno applaudito, pianto, riso insieme, hanno ascoltato le storie di muse come Valentina Tomirotti e Rachele Somaschini, e condiviso dei valori.
La musa che ho dovuto presentare è Eleonora, praticamente me se fossi una designer, una che non aveva capito quanto fosse figa e che spero dopo l’evento l’abbia invece ampiamente compreso, perché lo è sul serio.

Da sinistra le muse: Iaia De Rose, Chiara Marcozzi, Rachele Somaschini, Veronica Benini, Cristina Fogazzi, Lilla Lipari, Eleonora Cruciani, Violeta Benini e Valentina Tomirotti

Adesso che vi ho spiegato in breve cosa sia il 9 muse, vi dico la mia. Nella descrizione della pagina Instagram dedicata c’è scritto che è un evento d’ispirazione per le donne che vogliono ricominciarsi, io credo invece che sia qualcosa di più. Quel “più” non voglio chiamarlo community solo perché comunico tramite l’online, ma AMICIZIA.
In quel teatro ci conoscevamo tutte; con alcune siamo state connesse da un fil non ruoge ma viola per alcune ore, con altre siamo amiche da un sacco.
Personalmente sono stata fermata da tantissime persone, mi sono state regalate cose, le più preziose sono stati abbracci, mi sono sentita dire frasi pazzesche, e le parole “grazie per le tue storie” sono state le più frequenti.
“È come se ti conoscessi da una vita, come se fossimo amiche”. Ma lo siamo. Condivido online la mia quotidianità offline, la mia creatività e la mia penna, ed in cambio ricevo pensieri e pareri. È su Instagram, ma è comunque #vitavera perché tutte le “galline” che mi seguono ci mettono il cuore e il cervello, e sono così fottutamente vere da essere a volte definite stronze, esattamente come me.

Insomma, l’avete capito che Veronica ha riunito 900 e passa donne, ha dato la possibilità a tutte di condividere bellezza, compassione, tristezza, gioia? Ci ha fatto rimanere 12 ore sedute tra lacrime di gioia e di empatia e in piedi a parlare con sconosciute o meno.
“Mi raccomando parlatevi”, ci ha detto all’inizio. E così ho fatto (tanto mi garba poco chiacchierare e ascoltare).

Io la Vero la conosco da un bel po’, e lei è la prima di tutte le muse che nella sua vita ha avuto il coraggio di cambiare cento volte, che ha sempre avuto l’onestà di dire sempre la verità e nient’altro che la verità, il cuore di costruire una rete di tette tutte belle, la testa di creare un mondo e farlo scoprire a certe che ancora non ne conoscevano l’esistenza.
Lo so benissimo, e lo sa anche lei, che lei o la ami o la odi, perché non è una da mezze misure, perché è una che dice “cacca” e non “pupù”, perché truccata o struccata è uguale, perché al cesso oltre che a pettinarcisi, lei ci fa le Stories.

Pensare che prima di accettare l’invito di Veronica mi sono detta: “non so se dire sì, non vorrei fosse un po’ un’americanata”.
Avevo paura fosse una roba da invasate, da quelle che vogliono sentirsi dire: “say yes”, e tutte, euforiche avrebbero risposto: “yesssss”.
Poi c’ho pensato: ho pensato a com’è la Spora, alla nobiltà d’intenti di una roba del genere, alla meraviglia di donne che fanno rete, alla splendida opportunità di conoscere dal vivo tutte quelle persone con cui chiacchiero online, i pen friend che diventano friend e basta, e allora detto: “boia dé, io ci sto”.
E dissi bene.

“Stay strana, stay figa”
Spora

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