Palermo, la dannata seduttrice che se ne frega di sedurre

Palermo, la dannata seduttrice che se ne frega di sedurre

I Monti di Palermo non minacciano, includono. Quando sono arrivata in Sicilia nella mia mente c’è stata una sorta di corto circuito. Lanzarote, sono piombata lì, nel taxi dell’estate scorsa, dove maledicevo il fatto di aver scelto quella meta, amena e inquieta, mentre mi inghiottiva dentro senza manco lasciarmi la possibilità di respirare. Era colpa di quelle montagne che solo poi m’abbracciarono, e mi piacquero per questo, perché mi misero alla prova. Quelle rocce che cullavano Palermo in maniera quasi innaturale m’hanno invece subito accolta. Il paesaggio m’è parso subito come quelle persone che non vorresti fissare per il loro aspetto bizzarro, fuori dal comune, ma alla fine le guardi e riguardi perché nel loro essere differenti sono uniche, e bellissime.

Casa numero uno, spazio, casa numero due abbandonata, poco spazio, officina, tanto spazio, palazzone che pare una scatola di fiammiferi piantata sul terreno con la faccia più piccola come base, e quella più grande bucata tre volte in orizzontale moltiplicato per quattro in verticale sulla superficie per ricavare delle finestre a primo acchito finte. Mi sono spiegata?
“Ma dove diavolo sono finita? Se questa è Palermo, credo ne sarò dipendente”, mi sono domandata nella navetta dall’aeroporto a casa.
“E meno male ci sono finita” è stata la frase che mi sono ripetuta ininterrottamente per tre giorni.

A Palermo sei a volte in Africa, a volte in Italia, nel Sud Italia, a volte in Spagna e poi ancora in un mondo ben definito ma inspiegabile perché non esiste altrove, perché Palermo è un affascinante mondo a parte. Una donna elegante, con un turbante in testa e i fianchi fasciati da un vestito a fiori, e che all’occorrenza si scompiglia i capelli e mangia con le mani.
È una donna intelligente che sa campare come una signora benestante e anche non. È una che tutta la vita va a Scuola di Vita e per un pezzo studia sui banchi quella che è stata e come è diventata quella che è, non curandosi di quella che sarà. È una dannata seduttrice pur fregandosene di sedurre. È bella perché ha le rughe, è attraente perché è sicura di sé pur non essendo passata dal chirurgo.
Palermo è una città da vedere. Assolutamente.

Ho preso l’appartamento nella zona di Ballarò perché volevo godere della meraviglia di scendere di casa per comprarmi della frutta fresca e fare colazione con mele e banane a pezzi e il sole in fronte. Mai scelta fu più giusta. Ballarò non è solo un mercato, ma un incrocio di culture più o meno accettato, ma palese, una strana forma di presente come frullato di un passato tradizionale e di un futuro volutamente non moderno, ma ancora più multi razziale. Mi sono sentita in Africa quando al calar del sole persone di colore grigliavano in piazza la carne, mentre altre giravano con dei motorini con attaccati dei poco sofisticati ma geniali impianti stereo con musica non poco alta. O quando passando per la stretta via Porta di Castro ho rischiato la vita almeno dodici volte perché né moto, né auto si curano né di te, né dei sensi unici. A Palermo i sensi unici sono anche doppi. È stato come tornare a Marrakesh.

Mi hanno detto: “sei nella casba”. In realtà non mi sono mi sentita in pericolo, anzi. Sotto casa mia c’erano un omino che apriva la sua cantina e vendeva le uova disposte su delle scatole adagiate su una di quelle tovaglie che piacciono tanto alle mamme del Sud, plastificate, una merceria, forse la più piccola che abbia mai visto, e a due passi un organizzatissimo ristorante/bar/co-working siculo-etnico che si chiama Moltivolti e dove ho cenato. Se cercate un posto con gente sorridente, inclusiva, e dove le porzioni sono davvero abbondanti, oltre che buone, questo è il posto giusto per voi (anche i calici di vino paiono delle taniche).

La prima cosa che ho fatto a Palermo è stata ovvia: visitare la chiesa dai “mille stili”, la Cattedrale, l’unica dove ho visto così tanti religiosi celebrare la Messa tutti assieme (premetto che non sono “pratica” di religione, ma mi ha colpita molto vedere così tanti uomini di Chiesa sfilare e andare sull’altare). Da lì la passeggiata per via Vittorio Emanuele è stata naturale, così come scattare decine di foto alle bellissime insegne di negozi.

Oltre alle insegne, al civico 154 ho trovato una perla per i nostalgici, una bottega che si chiama A caccia di tesori vintage, dove i proprietari non è che fabbrichino sogni, ma ricordano a quelli come me di sognare. Hanno aperto questo negozio perché non trovando un lavoro, se lo sono inventato: collezionare giocattoli del passato e venderli sia online che offline. Una cosa molto americana, insomma.
Inutile dire questo sia uno di quei posti in cui l’interrogativa-affermativa: “Nooo, non ci credo, te lo ricordi?!” sia automatica.
E se siete appassionati di giochi “antichi”, da He-Man a Barbie, dalle Tartarughe Ninja agli Sbullonati, vi consiglio anche una serie su Netflix, “The Toys That Made Us”.

Pochi passi dopo, in Piazza Marina, quartiere Kalsa, la nostalgia continua con un mercato dell’antiquariato, tutte le domeniche mattina, dove i vecchietti con l’immancabile coppola e le mani dietro la schiena si mescolano a dei giovanotti super stilosi che manco a Milano hanno dei risvoltini così curati.

Rimanendo sempre in zona via Vittorio Emanuele vi consiglio un meraviglioso negozio vintage, suggeritomi da Elena, con una selezione che merita di essere vista, sia per uomo che da donna, Magazzini Anita. “Non tutti i palermitani capiscono il valore dell’usato – mi dice la signora in negozio – non è come Milano”. Invece sono sicura che sia impossibile non apprezzare certe chicche uniche. Questo posticino è in via Maqueda 263.

Nella stessa strada, ma al civico 172, c’è Bisso Bistrot, un ristorante che ha tre punti di forza: si mangia bene e tanto (ho preso un ottimo cous-cous), si spende incredibilmente molto poco e grazie a dio ha mantenuto l’insegna di una vecchia libreria, la Libreria Dante.

Per uno spuntino dopo pranzo (io in Sicilia mangio e basta praticamente), o colazione, nella Discesa dei Giudici 46 c’è Casa Stagnitta, dove si può degustare un ottimo caffè, gelato e anche cornetti alla crema di caffè. Al civico 42 invece c’è la Torrefazione Ideal Caffè Stagnitta, che resiste con successo da 1928, e che vende online persino il caffè crudo.

Sempre nel quartiere Kalsa è d’obbligo la visita alla Chiesa Santa Maria dello Spasimo, la cui storia inizia nel 1500 circa e praticamente non è mai finita, dato che non è mai stata completata. Non fu mai una chiesa, ma fu un teatro, poi un ospizio, un magazzino di opere d’arte proveniente da case e chiese delle città danneggiate dai bombardamenti nella Seconda Guerra Mondiale, fino ad ora che è un meraviglioso scenario per manifestazioni open air teatrali e musicali.

Per raggiungere la Chiesa di Santa Maria dello Spasimo mi sono imbattuta per caso, prima in un gruppo di pescatori che stavano aggiustando le proprie reti, e con i quali ho scambiato quattro chiacchiere, e poi nell’Associazione Culturale Accademia La Bottega delle Percussioni, dove mi ha accolta Luca, che mi ha spiegato che lì ci sono un mucchio di corsi, dal djembè e le percussioni africane, alle percussioni afro-cubane, fino ai corsi di danza mediorientale. Magari non sarà una meta turistica, ma se c’è qualche palermitano che mi legge si potrà incuriosire. Io sono rimasta positivamente stupita dalla “nicchia di mercato” a cui si rivolge l’associazione e la sua professionalità. Sopra il link al sito.

Non lontano da Piazza Marina, quindi trattoria perfetta dopo il giro della domenica tra le bancarelle, c’è la Zia Pina. Questo non è solo un ottimo ristorante di pesce a conduzione familiare, ma un affare, appunto, molto familiare. Dal lato della strada opposto ai tavoli c’è la zia Pina seduta su una seggiolina di plastica verde, che impartisce ordini urlandoli ai figli, dei signori sulla cinquantina.
“Lei è senza piatto”, oppure “Vai e piglia le posate, oh!”. Con somma gioia dei figli. Capita che al tavolo venga qualche bimbo a salutarti o di attaccare bottone con i tuoi vicini. Insomma l’atmosfera è molto calorosa.
Per quanto riguarda i prezzi, che ho avuto l’impressione fossero fatti a caso dalla signora Pina da “remoto” sulla sua seggiolina, io ho speso venti euro per un antipasto e un secondo.

Dalla trattoria si può facilmente raggiungere il quartiere della Vucciria, a quanto pare non più apprezzato dai più, perché “non è più come una volta”, con il mercato e lo street food. Decadente ma vissuto anche di notte (Palermo di notte è davvero un ribollire di energie ovunque), ha indubbiamente il fascino popolare, ma è uno dei quartieri dove ho forse visto più spazzatura. Peccato.

Arrivare a visitare le Catacombe dei Cappuccini è stata davvero una bella passeggiata, passando dal quartiere Monte di Pietà al Palazzo dei Normanni. Il Convento dei Cappuccini è nel quartiere Cuba, ed è appunto conosciuto per il cimitero presente nei suoi sotterranei, gremito di salme mummificate suddivise per sesso o categoria sociale, vestite di tutto punto, e alcune delle quali in perfette condizioni, come quella della bambina Rosalia Lombardo, morta a due anni e conservatasi così bene da sembrare viva. L’ingresso a cimitero è a pagamento.

Un altro quartiere che merita di essere visitato è il Borgovecchio: tra donne che tagliano i capelli ad altre donne sedute su seggiole di plastica per strada, a minuscole botteghe dove si vende qualsiasi cosa, fino a case con una mole di panni stesi mai vista, è facile infatuarsi di una vita che spesso si apprezza solo nei film. Il paradosso è però dietro l’angolo, dato che il Giardino Inglese di via della Libertà e le borghesi palazzine Liberty sono dirimpettaie. Il Giardino Inglese è pazzesco: contiene delle suggestive specie esotiche di piante, e si divide in un Bosco, progettato da Basile e in un Parterre, area verde oggi dedicata alla memoria dei giudici Falcone e Morvillo.

Tante le volte vi venga fame, vicino al giardino c’è l’Antico Caffè Spinnato, in via Principe di Belmonte 107/15, un posto super caotico, specie all’ora di pranzo, ma dove ho assaggiato delle arancine coi fiocchi, sia fritte che al forno, con tanto di cannolo siciliano come dessert.

Una gita fuori porta? Cefalù, ma me ve parlo nella prossima puntata.

Infine, vorrei ringraziarvi, perché a Palermo sono andata senza un’idea precisa; la mia guida siete stati solo voi con i vostri preziosi suggerimenti che ho seguito alla lettera, quindi questo post non è altro che un collage di vostri consigli.
Dio quanto vi voglio bene.

 

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  1. vanessa

    3 April 2018 at 19:13