Di quando LaCimbali mi permise di raccontare storie

Di quando LaCimbali mi permise di raccontare storie

Non sapendo sinceramente da dove iniziare, inizio dalla prima sensazione che mi passa per la testa, anzi per tutto il corpo: felicità.
Quel momento in cui incontrai le persone che facevano parte dell’azienda LaCimbali fu un lieto dì; è stato come quando scatta la scintilla dell’amore, non capita mica tutti i giorni, ma quando capita ti senti semplicemente tanto bene. Quel tipo di bene che ancora nessun umano è riuscito a spiegare, o meglio ognuno a parole sue, ma resta sempre coperto da un velo di affascinante incomprensione. D’altra parte siamo tutti innamorati dell’amore anche perché non lo si capisce appieno. Così come il cielo, il mare, e ci metto anche i gatti.

Quel giorno in cui feci la visita guidata al MUMAC, il Museo della Macchina del Caffè, ripercorrendo sala dopo sala, la storia che andava avanti e cambiava, il design che s’irrigidiva e poi si raddolciva, l’azzardo e il rigore, piansi.
Piansi davanti a delle macchine del caffè. Roba da matti, eh? Vi giuro che in vita mia non avevo mai visto così tante macchine splendide tutte assieme, e che non le avevo lette come se fossero state pagine di un libro di storia, la stessa che la famiglia Cimbali ha contribuito a farla per l’Italia e non solo.

Mi commossi davanti a quella pallottola gigante con degli arzigogoli neoclassici in cima, La Pavoni Ideale, rividi la mini me sul divano di casa grigio di Arezzo a guardare le pellicole dell’Istituto Luce ammirando la severità della Rapida, la prima macchina modello a colonna LaCimbali, mi divertì a cantare assieme ad Elvis “Jailhouse Rock” con a fianco la “sua” macchina del caffè.
E sapete allora come si fa con il ragazzo che ti piace e non vuoi fartelo scappare? Mandi a quel paese stupidi piani e strategie, timidezza o eccessiva sfrontatezza, e ti fai avanti con coraggio, perché la lezione è sempre la stessa: non si ha mai nulla da perdere, tutto da guadagnare.

Come sempre puntando sulla simpatia, sono riuscita nel mio non-piano di conquista, che poi, lo ammetto, ha scatenato anche molte altre conquiste, come in una sorta di “circuito emotivo aperto”.
Mi spiego meglio: quello che io e LaCimbali abbiamo fatto assieme è arrivato al cuore di molte persone. Facile puntare su atrio destro o sinistro se si parte proprio da lì, direte voi; i muscoli cardiaci delle persone sono collegati tramite certe frequenze, come le radio.

Ho fatto un mini corso sul caffè, ho studiato, ho permesso all’empatia di prendere il sopravvento e ho collegato il cuore ad una certa frequenza.
“Andiamo nei bar a intervistare le persone sul loro rapporto con il caffè. Gente presa casualmente. Molti mi manderanno sicuro a quel paese, ma proviamoci”, ho proposto.
Li ho convinti.

Sarà stato il caso o la fortuna, ma la cosa incredibile è che con chiunque io abbia parlato s’è istaurata sintonia. Una volta abbiamo come suonato il jazz, un’altra abbiamo rappato, un’altra ancora abbiamo ascoltato il silenzio prima di romperlo. E a quel paese non mi c’ha gentilmente o meno mandato nessuno.
“Incredibile che tutte queste persone abbiano trovato tempo di raccontarsi a me. A Milano poi, dove vanno tutti di corsa”, riflessi.

Grazie a quest’esperienza ho conosciuto la signora Maria, una settantenne che non ha esitato a darmi della paracula, e che ha imparato il francese parlando con i clochard a Parigi, lei senza caffè muore, rigorosamente al bar, Crysell, una mini Pocahontas nipote di, rullo di tamburi, un proprietario di piantagioni di caffè nelle Filippine, Stella, la mamma che al figlio da il caffè bianco, del latte dentro una tazzina (trovate tutte le storie sul mio canale Instagram).
Mi sono arricchita, ho avuto il privilegio di trovare dei gioielli umani d’inestimabile valore.

“Ma ti posso offrire un caffè?”, mi chiese Maria Cristina tenendo d’occhio Dante, il nipotino, nel frattempo tutto sbrodolato di cioccolata. Dio solo sa quanto abbia apprezzato il fatto che non gli abbia pulito la bocca 106 volte.
È finita in questo modo l’esperienza di “bar style”, l’ho chiamata così inizialmente, davanti ad un caffè non accettato perché sarebbe stato il settimo della giornata.
Però il cuore ha continuato a collegarsi a certe frequenze: “mi saluti la signora Maria?”, “mi devi far conoscere Salvatore”, “quando ho letto quella storia, te lo giuro, mi sono commossa”. Figuratevi io. L’empatia è faticosa, ma credo sia l’ottava meraviglia del mondo.

Parallelamente abbiamo lavorato su altre storie, quelle “più moderne”, le Stories di Instagram. Forse ancora un po’ sottovalutate, secondo me avranno un potere eccezionale. Quindi abbiamo creato dieci pillole video con dieci spunti interessanti sul mondo del caffè. Informazione e divertimento, “in onda” tutti i lunedì sulle mie IG Stories (adesso le trovate sui contenuti in evidenza), appuntamento fisso come se fosse un vero e proprio programma tv da quindici secondi.
Morale della favola: alla fine mi sono appassionata al mondo del caffè a trecentosessanta gradi, capisco ciò che bevo, uso i miei sensi per degustarne uno, e il MUMAC è diventata una sorta di tempio dal quale attingere gioia e anche nostalgia, di cui io ho necessità di nutrirmi.

Ho sempre detto che ogni persona che lavora sul web si merita l’azienda con cui collaborare, direi che me ne sono meritata una da Oscar.

Post scriptum: qualora vogliate fare un gruppetto e venire a visitare il museo in quel di Binasco, vi faccio da guida io. Adesso l’esterno è pure ricoperto da degli splendidi murales disegnati da quattro writers.

 

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