Perché ho deciso di far morire Barbie

Perché ho deciso di far morire Barbie

Ho deciso di far morire Barbie perché mi serviva.
Ero stufa di vedere il cibo fotografato fondamentalmente sempre alla stessa maniera: su tavoli di legno con qualche fiore accanto e un ingrediente sparpagliato fintamente per caso qua e là.
E anche se so che questo tipo di foto su Instagram fa tendenza e soprattutto porta tanti like, sono stufa lo stesso.
Quindi all’inizio ho deciso di far morire Barbie sotto un uovo fritto gigante, mentre poi con Mauro ci siamo inventati altre storie del crimine con altrettanti prodotti su cui far affogare, asfissiare, seppellire la bambola.

“Creepy”, mi avete detto e mi direte ancora.
Poi uccidere Barbie è come annientare la mamma del Buondì Motta: qualcosa di assolutamente non morale, e di cui vergognarsi.
Così tutti i sabati, sul mio profilo Instagram, la bambola più amata del mondo muore. Esattamente come il mio stesso profilo, dato che gli scatti #FoodPolitanStories (li ho chiamati così) sono quelli che vanno peggio.
La cosa più “bella”? Che non ne capisco il perché.

Perché l’idea fa schifo? Perché è troppo visionaria? Perché tanto vanno di moda tovaglie, avocado toast e tovaglioli di lino cinti da spaghi che stringono foglie d’alloro? Perché è un cattivo esempio? Perché?
Qualsiasi sia la ragione, continuerò a mostrare il cibo in maniera non convenzionale, a coniare una mia versione di food porn, che sia o meno compresa da fan e/o aziende, perché io ci credo.
Credo fermamente nella nicchia che sputa in faccia all’omologazione.
Sicuramente questi scatti faranno venire voglia a nessuno di abbuffarsi di olive o di spararsi un delizioso pinzimonio, ma incuriosiscono, forse stimoleranno qualcuno a leggere il giallo che c’è nel copy sotto la foto (già, io sono quella che scrive).

Perché un’azienda dovrebbe investire su questa mia idea? Il cibo non è invitante, in più viene ammazzata un’icona delle bambine di oggi e di ieri. Perché spero nel 2018 le sponsorizzazioni a suon di “quant’è buono quello yogurt” o della foto dello yogurt così perfettamente bianco e compatto da sembrare più Vinavil che un prodotto caseario giungano al termine.
Tanto, diciamocelo, è tutto finto, e i consumatori non sono per niente scemi.
Questa riflessione mi fa pensare alla pubblicità dei body di American Apparel indossati da una signora in là con gli anni: benché il target della maison americana fosse molto giovane, la pubblicità ebbe un enorme successo. Perché? Perché era inaspettata e provocatoria.

Insomma, la mia battaglia contro quelle bellissime foto con perfette torte alle carote e buonissimi centrifugati dentro maxi bicchieri colorati continua.

 

 

 

 

 

 

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