Esselunga: quando il supermercato è davvero super

Esselunga: quando il supermercato è davvero super

Chi va all’Esselunga, è fiero di andare all’Esselunga. Quante volte ho sentito dire: “Ah no, noi andiamo solo all’Esselunga, ma che scherzi?”, oppure: “Ce l’ho un po’ più lontana, ma io vado lì lo stesso!”.
La stessa fierezza la trovo credo solo in quei pugliesi che sottolineano il fatto di essere salentini più che pugliesi. Per far capire il livello di radicamento, insomma.
Che tu abbia sei come sessant’anni, chi va all’Esselunga colleziona i famosi pupazzetti; quasi quasi prega di arrivare a spendere 25 euro pur di accaparrarsene uno. In realtà le collezioni le fanno anche chi non frequenta il supermercato con la esse gigante. Alla cassa c’è sempre un avvoltoio dietro di te che spera tu dica: “Non faccio la collezione, lo vuole per i suoi bambini?”. “Bambini”, appunto.
Amarcord del meccanismo degli ovetti Kinder: eravamo tutti impazziti, e non solo noi piccini.
Insomma, la gente ama Esselunga, così tanto che ama e basta: il supermarket di viale Papiniano è famosissimo come luogo di incontri romantici, dato che se sei single, si sa che devi andare lì a comprare shampoo e cipolle per potenzialmente fare una zuppa di cipolle per qualche d’un altro.

Da quando è iniziata la #SuperMostra dedicata ai sessanta anni dall’apertura del primo negozio in viale Regina Giovanna a Milano, nel 27 novembre 1957, i miei social sono diventati una celebrazione dell’esibizione e un’ode ancora più forte a Esselunga; così mi sono detta: “devo andare anche io, non posso non capire quello che tutti decantano come unico e meraviglioso”.
Io ci sono andata. Una volta, due volte, tre volte, in tre giorni diversi, ma la coda fuori era sempre improponibile.
Fino a che ieri, ultimo giorno della mostra, quando mi sono impuntata: ci vado anche se fuori c’è il mondo ad aspettare.
E meno male che ho aspettato, grazie a dio senza mondo fuori.

All’ingresso una signorina vestita Esselunga old style ha accolto la baraonda dicendo a tutti che se volevano potevano prendere dei carrelli gialli.
Quando qualcuno ha chiesto perché, lei ha risposto che servivano a mettere dentro le proprie giacche.
Mi sono innamorata lì, al guardaroba mobile dell’Esselunga, altro che viale Papiniano.
A confermare il mio intuito per il colpo di fulmine è stato il video messaggio di accoglienza: “postate, fate selfie”, altro che “distruggete i vostri cellulari o vi tagliamo la testa, dopo l’evirazione naturalmente”.


Prima di andare avanti, dedico due righe a chi ha realizzato questa mostra, perché è grazie a queste persone che tutti noi abbiamo potuto godere di tanta ispirazione: il concept è di Mauro Belloni e Andrea Baccuini, il design e progetto d’allestimento è di Giò Forma Studio Associato, mentre la produzione e l’organizzazione di Feel Rouge Worldwide shows.

Il limbo della mostra era una stanza dove pareva fossimo tutti a bocca aperta a goderci uno spettacolo di Ginger Roger e Fred Astaire, invece era una riproduzione video del primo negozio Esselunga, dove a volteggiare era alla fine un carrello d’oro, a traghettarci idealmente negli anni Sessanta.

Nella prima stanza si è raccontata l’Italia di quell’epoca, gli anni in cui la gente faceva la fila per entrare nel “supermercato all’americana”, per assaggiare prodotti esotici, come la zuppa di canguro.
Lo si è fatto attraverso una collezione di oggetti, video e immagini originali che chiunque avrebbe potuto avere sotto gli occhi nella propria quotidianità, dal pupazzetto di Susanna Tuttapanna, una delle più fortunate protagoniste del Carosello alla borsa di Barbie, che nasceva proprio in quegli anni, fino alle riviste Grand Hotel. Gli anni Sessanta e Settanta sono stati messi insieme, dunque le racchette da tennis, gli occhiali giganti e i pantaloni a zampa erano sullo stesso ripiano gigante giallo, mentre a far da sfondo un’installazione a ricordare lo spirito produttivo di Esselunga che già dal 1959 inizia a produrre nei propri laboratori pane e grissini, caffè e gelato. Poi delle video ricette raccontate direttamente dal personale.


Oltre ad una tela di Jacovitti, c’era poi uno zootropio (un dispositivo ottico per visualizzare immagini, disegni, in movimento), dedicato alla preparazione di una lasagna, per far vedere la ricetta passo dopo passo, con i singoli ingredienti che si animano, dalla rottura del guscio dell’uovo alla grattugiata di formaggio. Meravigliosamente ipnotico.

La stanza dedicata agli anni Ottanta mi ha smosso ricordi incredibili: il telefono Swatch con il quale io e la Lucia ci facevamo le chiamate “proibite” con le sue due cornette a disposizione, i borselli della Naj Oleari di stoffa plastificata che ci facevano sentire delle teen agers cool, i pattini a rotelle con i quali sfrecciavo a Rimini, il Sega di Francesco, il Nintendo portato anche al bagno, la collezione di orologi e di schede telefoniche, i feticci ante era virtuale, e naturalmente Flash Dance.

La stanza successiva, e quindi gli anni a venire, era caratterizzata dalle geniali pubblicità di Armando Testa, dio solo sa quanti curricula mandai a quell’agenzia dieci anni fa come aspirante copy, e dal concetto di fidelizzazione con la Carta Fidaty e i Punti Fragola.
La mostra, dopo un ronzio continuo di “no, ma te lo ricordi?!”, finiva con un corto di Giuseppe Tornatore del 2011, proiettato in un ampio spazio relax.

Dulcis in fundo: uno spazio dedicato ai bambini con fogli da colorare con le campagne “vuote” di Armando Testa.

C’è una morale della favola? Sì: Esselunga ha dimostrato per l’ennesima volta di saperci fare, che il prodotto non è tutto, perché ci sono anche quegli altri due elementi, il marketing e la comunicazione, una comunicazione non fatta da “comprate da Esselunga”, a completare il cerchio.
Anzi, il cerchio non è mica completato: chissà quanti animaletti nuovi da collezionare, quanti speed date all’Esselunga di viale Papiniano, quanti punti Fragola da collezionare e robot da cucina da vincere ci saranno. Ma soprattutto: quante focaccine dell’Esselunga da mangiare.

 

 

 

 

 

 

 

 

Comments are closed.