Mauro, il fotografo neuroscienziato che non abbandonò la neuroscienza per la fotografia

Mauro, il fotografo neuroscienziato che non abbandonò la neuroscienza per la fotografia

Il web non è solo Il Male.
È vero che ci lobotomizza il cervello, ci piglia la concentrazione e ci gioca a poker, perdendo sempre, ci fa sentire talmente liberi da abusare spesso di codesta libertà, poi ci ha reso tremendamente meno pazienti. Vero. Ma grazie ad Internet succedono anche cose belle.
Mauro mi ha scritto su Instagram, presentandosi molto gentilmente, e altrettanto gentilmente mi ha domandato se mi poteva fotografare.

“Dato che non sei la tipica fashion blogger, mi piacerebbe fare qualcosa di atipico, tipo tu con muta e tavola da surf in piazza Gae Aulenti”
Ok Mauro, non esageriamo. È sempre una prima volta. E tra “modella” e fotografo si sa, si deve instaurare un rapporto simile a quello che si ha con il parrucchiere: devi provare, devi capire lui, lui deve capire te, ti devi fidare, e parte infine l’attivazione di una sorta di Fidelity Card invisibile, come all’Esselunga.

Mi studio il profilo, mi fido dell’intuito e incontro Mauro.
“Perfetto, ma partiamo da una cosa un po’ più soft”, gli dico.

Parco Sempione, scatti così facili e senza imbarazzo come quando raramente mi succede e cappuccino finale per riscaldarsi un po’ dopo il freddo preso (ho posato quasi nuda, praticamente).

“Ah, sono un neuro scienziato”, viene fuori tra un discorso su Milano, e un altro sulla fotografia.
Un fotografo neuroscienziato.
No vabè.

“Ma a una persona come viene in mente di fare il neuroscienziato? Cioè, come fai a sapere al Liceo che esistono i neuroscienziati?”, gli chiedo ingenua e incuriosita.

Infatti all’inizio non lo sapeva, dato che scelse Scienze Sociali. Quando scoprì dell’esistenza di Scienze Cognitive cambiò indirizzo, perché in quell’ambito la ricerca lasciava spazio alla creatività; si trattava praticamente di studiare il comportamento umano, come funziona il cervello anche attraverso la fantasia. Che è sua parte integrante, dato che dipinge, disegna, suona la chitarra.

Dunque in breve: Mauro Mattia Serra da Ortona si sposta a Rovereto, e poi in Australia per un dottorato, dove capisce meglio che la fotografia avrebbe potuto rappresentare qualcosa di più. La passione in realtà era già nata cinque anni fa grazie alla sua ex fidanzata turca, con la quale girava l’Italia, e che aveva una compattina. Lei, non lui. Peccato la usasse lui.

Con il suo primo stipendio del dottorato si comprò una Panasonic, e cominciò a fare foto per passione. In Australia scoprì l’esistenza di un network di artisti su Facebook con cui era possibile interagire, e grazie al quale mise in piedi in quattro e quattr’otto il suo primo progetto sul tema dell’omertà, ambientato negli Anni Trenta.
“In pochissimo tempo mi rispose un attore collezionista di abiti anni Trenta, un truccatore e una modella, non mi pareva vero”
Quando dopo il dottorato in Australia tornò a Rovereto disilluso nei confronti della ricerca, scoprì lì un gruppo di foto amatori, finì il dottorato, ma prese la decisione di dedicarsi alla fotografia.

Trovò dunque una scuola a Milano, che ha concluso con il progetto “I confini della mente umana”, che metteva le neuroscienze nelle fotografia, ovvero era un’interpretazione iconografica dei deficit.

“Qui dove adesso siamo tutti fotografi, cosa ti piacerebbe fare?”, gli chiedo.
“Vorrei essere l’Oliver Sacks della fotografia, ovvero far conoscere i deficit cognitivi alle persone attraverso la fotografia”

Poi c’è un’altra cosa, il photovoice, un metodo di ricerca che mira a studiare un gruppo svantaggiato (a livello sociale, economico, ect) dal suo interno, chiedendo direttamente ai suoi componenti di esprimere la loro condizione attraverso la fotografia, scattando in primis, e analizzando insieme le foto.
A lui piacerebbe fare anche questo: coordinare questo tipo di ricerche “alternative”.


Da quando ho conosciuto Mauro, penso sempre che si possa cambiare vita anche per metà, che con la creatività tutto è possibile, che tra prendere o lasciare si possa lasciare, prendere, e anche tenere insieme, che ci può essere un anello di congiunzione tra quello che eri e quello che vuoi diventare, perché senza quello di una volta non potrebbero mai esistere i sogni destinati ad avverarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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