Apro e chiudo

Apro e chiudo

Sono passati 5 giorni dalla consegna delle chiavi. E circa 2 settimane dalla chiusura.
E non sono ancora riuscita a scrivere neanche un messaggio di ringraziamento per chi era presente alla festa. Di chiusura.
Sì, una festa, perché bisogna sempre chiudere a testa alta, anche quando dentro di noi ci sono sentimenti così contrastanti che passano dal voler dar fuoco a tutto, a tirare un sospiro di sollievo.

Oggi ho letto un post che diceva: “ho saputo solo ora, non è possibile che chiudiate! Siete il mio unico posto! Il mio posto preferito”. La prima cosa che ho pensato: siamo il posto preferito di tanti o almeno a me sembrate tanti, ma purtroppo non bastate.
Avete presente un posto incantevole? Bene io l’ho creato e ora l’ho chiuso. Questa è la realtà dell’Italia oggi.
Vi spiego un po’ la cosa: avevo un agriturismo sulle colline romagnole. Un posto davvero carino. Certo, l’ho fatto io, come fa a non piacermi.

A trent’anni ho provato a trent’anni a cambiare la mia vita. Da Milano, per una serie di sfortunati eventi, ho deciso di tornare a casa, alla terra come stanno facendo diversi giovani d’oggi. Così ho trovato un casolare in condizioni fatiscenti e l’ho preso in affitto. L’ho rimesso a  nuovo, l’ho abbellito secondo il mio gusto e mi sono cimentata in cucina. Avevo qualche esperienza (era più un hobby) e con l’aiuto di mio padre, che è più del mestiere, ho dato il via a questa vicenda. La cosa stava funzionando.
Dopo anni di Milano avevo bisogno di verde, dei ritmi lenti della natura e delle sue meraviglie quotidiane. I miei studi e la mia fatica si sono piegati all’orto, al giardinaggio e alla cucina. Bello fuori e bello dentro. Etica nel fare e nel mangiare. Tutti seduti a tavola insieme, dai carnivori ai vegani. E vi assicuro che l’esperimento mi era riuscito. Intere famiglie che a Natale si spartivano il pranzo con doppio menù tradizionale e vegan. E i nonni che “beccavano” nel piatto dei nipoti per sentire che sapore avevano i veg-cappelletti.
Abbiamo avuto in tre anni tanti commenti positivi e tante persone che ci sono venute a trovare. In tanti ci hanno definito il proprio posto preferito ma, appunto, non è bastato.
Purtroppo in Italia le cose ogni tanto (e anche più che ogni tanto) vanno un po’ storte. Nel senso che se non hai un business di famiglia non hai molta possibilità di sussistenza. Il bello di tornare alla terra è stato sormontato dalla burocrazia italiana e dai suoi costi.

Nel tempo di un respiro (che pensavo ora, finalmente di potermi godere) mi sono ritrovata a dover partecipare a corsi di formazione, sicurezza, aggiornamento, un test là e due soldini lì. Sì, perché non te lo dice nessuno, ma ci sono una serie infinite di tasse indirette sotto forma di corsi, che sono obbligatori e a pagamento, e vi assicuro che non hanno costi irrisori. Ma tanto si sa che all’Italia piace la teoria a pagamento, con il test fatto in comunella. Perché alla fine è questo che succede.
Il nostro paese considera una piccola realtà agrituristica come una vera e propria azienda. Come Amadori (quello dei polli, per capirci). Nulla in contrario, se non fosse che al contempo dia per scontato che queste piccole realtà siano gestite a livello famigliare. La nonna prepara la sfoglia per la sera, la mamma un po’ nell’orto e un po’ in cucina, e gli zii in campagna e in giardino. E io dovrei essere quella che durante il giorno gira come una trottola tra uffici, banche e corsi, per poi alla sera mettersi in cucina o in sala per il servizio. Oltre al fatto che non viene considerato l’affitto, ma è scontato che casa e terreno siano di proprietà. Io non avevo nulla di tutto questo, ma affitto e dipendenti da pagare. E con i fantastici “corsi per forza” dovevo o trovare il modo di diventare una e trina (ma anche quadrupla e quintupla) o assumere qualcuno per coprire me nelle mie reali mansioni e lasciarmi la “libertà” di frequentare le “lezioni”.

Ovviamente vi evito la parte delle tasse classiche (perché basta l’immaginazione o la vostra vita a Partita Iva), alla quale io per mia etica ho voluto aggiungere la certificazione biologica. Anche questa sta diventando una truffa. Poi ci sono agricoltori che realmente portano avanti il biologico, con o senza certificazione, e che ci credono davvero. Ma i controlli concernono solo in un mucchio di carte e il pagamento annuale di un obolo più o meno consistente.
C’era la passione e la gratificazione da parte di tanti clienti. Ma appena mio padre, a 70 anni, dopo avermi insegnato e accompagnato per un po’ in cucina, ha lasciato il posto a un dipendente, i conti non sono più tornati. E il romanticismo ha iniziato ad esser messo in discussione.

La campagna bella ha iniziato a mostrare anche il suo lato duro. Non è tutto così semplice, divertente e bucolico come pensano molti. La vita di campagna non è la villa in campagna.
Ho affrontato situazioni come fossi nel dopoguerra, con Rani Senior che scuoteva la testa dicendo che nel 2017 non si può viver cosi. Ma non potevo permettermi di più. Ho dormito con la papalina in testa. Quelle belle, rosse, di lana, da hipster. Per dormire, sì. E ho pensato più volte di comprarmi i mutandoni lunghi di lana, ma avevo paura pizzicassero. Ho visto contadini veri che pensavo avessero 70/75 anni e poi ho scoperto che ne hanno solo 50. E potrei andare avanti per ore.

Sicuramente, come si dice, mi sono fatta le spalle, le ossa (gli anticorpi) e un sacco di esperienza. Però il buon senso mi ha fatto metter da parte il mio romanticismo e ho dovuto lasciare, conti alla mano, un posto che io avevo creato, che era parte di me e che ho amato molto.
Mi si è sgretolato il cuore e ci vorrà molta pazienza e fatica a rimetterlo insieme. Siamo considerati dei mammoni, ma mamma Italia se ne sbatte di chi tenta, investe il suo piccolo capitale e ci prova, sfruttando però se possibile, tutti i parenti a te circostanti. Fa leva su quell’animo romantico tipico dei paesi latini, ma per ora io lo lascio per la sera davanti al tramonto al mare, o davanti ad un camino con la cioccolata del calda e i calzettoni lanosi. Mi rimbocco le maniche e mi rimetto in gioco.

Ah per la cronaca, l’agriturismo si chiamava la “Terra dei Kaki”, per il frutto di cui era pieno il giardino e che abbiamo scoperto esser stato definito come frutto della pace, visto che la pianta non viene intaccata dalle radiazioni (storia lunga, magari ve la racconterò). E perché, ricordando la canzone di Elio e le storie tese di 20 anni prima, volevamo sottolineare come l’Italia non fosse effettivamente cambiata da allora. Caso vuole che Elio abbia annunciato lo scioglimento del gruppo il giorno dopo la nostra festa di chiusura. I casi della vita. Grazie Elio, ci hai chiuso un cerchio.

di Greta Rani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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