“Non è per sempre”

“Non è per sempre”

È davvero bello non dico passare la vita, ma comunque dedicare un gran bel tempo a cercare di crearti delle filosofie, degli ideali, dei capisaldi che con l’esperienza, in teoria, diventano sempre più fermi, saggi, inattaccabili direi. Intendo quelle filosofie che fungono in primis da tali, poi servono a te stesso, a farti credere di essere una persona matura e ragionevole, grande insomma, ed infine per consegnarle belle impacchettate alle amiche, agli ex fidanzati mollati, a chiunque abbia sofferto, come pillole di saggezza solide e utilissime per un sollievo immediato dal dolore.
Cose che devi dire, e che dice facciano bene a chi le ascolta.
“Fidati, se ti ha lasciato meglio così, non era pronto per una famiglia”
“Tranquilla, prima o poi ci sbatterà la testa e capirà”
Stanotte, nel mio lunghissimo cammino a piedi causa bici rotta (ho i piedi a pezzi), stavo pensando a tre cose: la prima è che il mio tempo dedicato a crearmi quelle famose filosofie è stato proficuo, visto che certe volte mi sento davvero saggia, e la mia saggezza deriva da un’acuta e instancabile osservazione del genere umano, maschile e femminile.
Come il fatto di dire che le donne obiettivamente sono più sensibili degli uomini, e quindi più paranoiche, più bisognose d’attenzioni, più cagacazzi insomma, che gli uomini hanno bisogno di sentirsi liberi, o di credere d’esserlo perché sono degli eterni bambinoni adolescenti che non vogliono entrare nell’età adulta, e così via. E non sono un genio io, credo sia DNA.
Insomma, certi mi considerano saggia per queste mie ovvie perle, annuendo e proferendo il verbo “cavolo, è vero” ogni dannata volta io le palesi al mondo (femministe convinte escluse, categoria da sopprimere).

La seconda cosa a cui ho pensato per diversi minuti è stata per colpa di una canzone degli Afterhours, “Non è per sempre”, capitata verso il Parco Sempione, i miei piedi erano già distrutti dalle zeppe e il mio vestito rosa da Barbie Lucy fradicio per il caldo.
Ho pensato che in questo momento effettivamente sono felice e che non mi piace non esserlo, quindi, riassumendola, che fondamentalmente nella vita ho sempre fatto di tutto per evitare la sofferenza, tranne un paio di volte quando non ho voluto fare un bel niente a proposito, e me le ricordo bene entrambe.
Tuttavia mi sono resa conto che siamo bravissimi a recitare i rosari de “le brutte esperienze servono sempre a qualcosa” o del “vedi il lato positivo”. Peggio cazzate del “non esistono più le mezze stagioni”.

Le brutte esperienze sono brutte esperienze, e se ci fosse davvero uno spiraglio di positività, per lo meno nell’immediato, si chiamerebbero belle esperienze. Quindi nessuno mai vedrà il lato positivo di una morte, di una storia che finisce, o di una migliore amica che parte per sempre per l’Indonesia. Perché siamo naturalmente egoisti. Perché a noi mancherà quella persona che non c’è più, perché c’eravamo detti, tra noi e noi, che con quel ragazzo lì sarebbe stato per sempre, e che noi non troveremo mai nessuna come Vanessa. Noi, noi, noi. Giustamente. E noi stupidi o forse ingenui, diciamo a loro, che non sono altro che gli altri noi, di stare tranquilli, che il tempo cancella tutto.
Mai che nessuno ti dica obiettivamente le cose come stanno: tuo zio a cui eri legatissimo non c’è più, piangi come se non ci fosse un domani e preparati a stare male, perché starai sicuramente molto male.
No, siamo sempre lì ad indorare la pillola, e alla fine quel miele la rende solo più velenosa.
Via, pensiamoci un attimo, il fatto che tutto finisca è mica una cosa bella. Chi vuole trovarsi con il barattolo di Nutella vuoto? Non io. Chi non è triste quando finisce un libro che vorrebbe continuasse tutta la vita? Io ci rimango troppo male quando divoro un tomo, che invece poi finisce dopo due giorni. Vorrei non finisse mai. A chi piace quando finisce necessariamente una serata indimenticabile, per il sonno e/o la mattina che viene? Non a me.

Tuttavia tutto finisce: l’amore o finisce, o prima o poi diventa qualche altra cosa, quando la paranoia finisce e inizia l’obbiettiva e cruda realtà è sempre la fine di una storia, le scuole finiscono, l’infanzia finisce, i biscotti finiscono, anche se grazie a dio si riproducono peggio (o meglio) dei Gremlins. Solo che invece che con l’acqua, si moltiplicano con le uova. Ma finiscono comunque pure quelli. I giornali finiscono, le creme, le carezze e i balletti finiscono.
Credo solo l’acqua non finisca mai.

“Sai che noia la stessa cosa per tutta la vita”. Ma magari no. Magari sarebbe una figata.
Magari sarebbe una figata lasciare un biscotto lì, per anni e anni, per dimostrare di non essere i soliti ingordi.
Magari anche restare con la stessa persona per tutta vita sarebbe una figata, e smettere quindi di pensare singolarmente, che “non lo so, io non so che farò”, o che “ok, con lui ho condiviso momenti stupendi, ma ora ho deciso che mi piace quell’altro”. Sarebbe bello cominciare a pensare da adulti e vaccinati, non da monadi. Da persone che vogliono crescere, pur rimanendo adolescenti. Sarebbe meraviglioso smettere di auto-convincerci che adesso non è il momento. Perché pare non sia mai il momento.
Sarebbe bello che finissimo di pensare troppo al presente, per concentrarsi un minimo sul futuro. Solo un minimo.

Una cosa però sarebbe bellissimo che finisse: il fatto di farci le paranoie. Quanto le odio, e quanto l’esperienza le ha rese inevitabili. Ve lo immaginate agire con rispetto senza pensare alle conseguenze? Sarebbe la vera libertà.
“Se gli dico che mi piace allora scappa perché poi pensa che lo voglia soffocare”
“Se le dico che ha fatto una cazzata, magari s’offende”
“Se le confesso che non mangio la cioccolato, sicuro va in sbattimento”

La terza cosa a cui stavo pensando è che io non posso assolutamente stare, avere vicine, condividere cose con persone prive di entusiasmo.
Ovvero quelle che ti rispondono a monosillabi, che non propongono nulla, ma che dicono “fai tu, a me va bene tutto”, che non ti sorprendono (la mia amica Amalia è l’asso a sorprendermi sempre, per questo la amo), che non ti rispondono con un sorriso a cinquecento denti quando tu proponi una gita al Luna Park o un giro a caso in macchina di due ore e cinque minuti, e allo scadere di tale tempo fermarsi e raccontarci una storia.
No, non potrei mai tollerare il sentirmi dire “pensaci tu, tanto per me è uguale”.
Il vedere finire le frasi con i punti. Le frasi felici in realtà non finiscono mai, e anche se è un errore, non vogliono alcuna punteggiatura. Ammetto pure i punti esclamativi, che sui libri o sui giornali odio tanto.
La stasi, la depressione, la creatività dannata, la routine 24 ore su 24.
L’entusiasta è un sognatore, uno a cui piace fare e se necessario disfare, che ti sorprende e che è pure capace di applicare quelle filosofie-fantocce alla perfezione, facendoti davvero credere che il lato positivo c’è, esiste davvero.
Ecco, io non potrei mai farne a meno. E non credo certo di essere la sola.

In compenso stamane ho un mal di piedi raro e una voglia matta di guidare la mia Hondina per due ore e cinque minuti per una meta assolutamente non definita, e fermarmi poi a caso, ovunque io finisca, per poi fare una foto al mio sorriso, sicuramente a centodue denti.
Solo dopo tornerei indietro.

Collage di Joe Webb

 

 

 

 

 

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