Super eroi tra Francia e pseudo Ibiza

Super eroi tra Francia e pseudo Ibiza

“Vieni a vedere una tappa del Tour de France?”
Rispondere di no sarebbe stato come rifiutare un bacio anche senza lingua da Brad Pitt.
“Sono già lì”
Non che io sia stata e sia un’esperta del Tour e delle sue dinamiche, tuttavia sono bastate le componenti bici e piacere di stare insieme, per assumere il mood da cane che scodinzola dopo una settimana che non vede il suo padrone.
Più si avvicinavano i giorni fatidici, più ero impaziente di scoprire cosa sarei andata a vedere, anche per le reazioni bipolari dei miei amici, che spaziavano dall’invidia nera alle scommesse su quanto io mi sarei annoiata.
Fino a quando il giorno è arrivato, e siamo partiti alla volta di Ginevra.
Ginevra. Perché Ginevra? Perché quando c’è il Tour non trovi un hotel negli immediati paraggi manco a morire, dato che tra turisti, tecnici, televisioni con i loro giga-mega-ultra camion, stampa, appassionati, è già tutto pieno da tempo.
Codesta città l’ho girata poco e a mo’ di protagonista di barzelletta, dato che eravamo francesi, italiani e inglesi (che non hanno esitato mezzo secondo nel fare battute sul mondo delle blogger), ma per quel poco che ho visto, lì il lusso sprizza da ciascun poro di mattone: il negozio di Prada non so quante vetrine abbia, ma sicuramente più di venti, le insegne di orologi-pregio si sprecano, e le macchine-da-pappone sfrecciano con un tale garbo che è un piacere. Meno male ci sono gli italiani con i loro ristoranti a metterti i piedi per terra: si piazzano in mezzo alla strada a canticchiare, a importunare i turisti per farli entrare a mangiare, a guardare le partite di calcio e a commentarle con qualche altro connazionale, che nel frattempo sorseggia un amaro. Un attimo e siamo a Napoli.
Comunque, dopo poche ore a Ginevra, tra un tonno al sapore di Mastro Lindo e un’aroma perenne di caramella alla vaniglia, siamo andati con il nostro driver molto sportivo e una macchina brandizzata Le Coq Sportif (che ha fatto furore) a Megève, per vedere la famosa carovana.

hotel geneve

hotel geneve 2

italian geneve

insegna geneve

Clib Geneve

Ora, io non avevo idea di cosa volesse dire “carovana”, ma mi aspettavo tutto all’infuori di quello che ho visto con i miei occhi (e che voi potete vedere bene nel video in fondo al post). La carovana è una sfilata di macchine e carri, proprio come succede al Carnevale di Viareggio, solo che qui sfilano gli sponsor del Tour de France.
Le sue particolarità sono tante: il luogo in cui avviene questo show si trasforma nella Ibiza discotecara delle 3 del mattino, i ragazzi e le ragazze sui mezzi agghindati per l’occasione cantano a squarciagola melodie tamarre e si dimenano che manco la cubista più scatenata del Pineta di Milano Marittima, in più ci sono altre persone addette a gettarti addosso dei gadget, il più delle volte con discreta violenza. E c’è gente che davvero viene con la sportina per fare incetta di ninnoli più disparati, che vanno da mini brioche a tattoo finti, fino a spillette a forma di orologio.
Insomma, sono rimasta evidentemente (ma positivamente) scioccata dalla bipolarità di questa faccia del Tour de France, che ho sempre visto come una manifestazione ultra-composta ed “educata”, scoprendo invece che cela un’anima da Salento il 15 d’agosto. Stupendo.
Confesso che ad un certo punto mi sono sentita perfino al Gay-Pride, e ho riso molto tra me e me.

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Sulla cosa più bella del Tour non ho dubbi: le persone. La gente spunta da ogni dove e all’improvviso, un po’ come quel gioco che facevo a Rimini da piccola, quello in cui dovevo picchiare i barbapapà sulla testa per rimetterli dentro nella loro nicchia. Stanno zitti e abbastanza buoni fino a che non vedono macchine o bici passare, e poi allo sfrecciare di qualsiasi mezzo su strada si sbracciano, si sgolano, s’agitano, alcuni perfino corrono.
L’autista ci ha detto che quelle persone lì s’accampano per tutto il percorso del Tour il giorno prima del passaggio della gara, qualsiasi siano le condizioni metereologiche, e che s’aspettano proprio che tu li saluti tutti.
Non so, trovo semplicemente meraviglioso che ci sia un evento sportivo in grado di unire così tante e diverse persone, che nonostante grandini e diluvi, non si stacchino dalla faccia quei fantasmagorici sorrisi e l’irrefrenabile voglia di fare festa a pane, prosciutto e vino rosso.
Ammetto di avere alternato momenti di estrema vergogna ad altri di (in)sano egocentrismo nel notare così tanta euforia nell’accogliere la nostra macchina.
Nei pochi attimi in cui l’emozione lasciava invece spazio alla lucidità, non facevo altro che ripetermi che i super-eroi esistono, e che sono proprio loro, i ciclisti: si fanno chilometri e chilometri al giorno, con qualsiasi condizione atmosferica e stradale, sottoposti a stress pazzeschi, magri magri come sono. Davvero non so come facciano. Sono sempre più convinta o che siano degli dei, o che siano miracoli in carne ed ossa.

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Abbiamo fatto persino un pic-nic in un prato a caso, ed è stato tutto perfetto, anche il timing, visto che allo sparecchiamento dell’ultima stoviglie sono venute giù discrete secchiate dal cielo. Perfetta anche la tovaglia, dato il mio involontario matchy-matchy con codesta.
E comunque in quella distesa verde ho pensato ancora una volta che il giorno in cui troverò di default, ad un pic-nic, ad un pranzo al sacco, o ad una merenda, qualcosa in cui la carne sia totalmente assente, sarà un giorno da festeggiare, e dovrà assolutamente diventare ricorrenza. Sarà San Vegetariano da (e il nome del luogo dove troverò del cibo totalmente esente da carne, senza che io l’abbia precedentemente chiesto).

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Ho scoperto che al Tour de France ci sono delle presenze fisse, dei Paolini ma non fastidiosi, o delle Alessia Merz prezzemoline, ma meno belle; uno dei personaggi più eclettici è sicuramente El Diablo, un signore tedesco, che di nome in realtà fa Didi Senft, che non parlerebbe mezza parola di francese.
L’ho googolato ovviamente: l’Internet dice che lui è stato un meccanico, e che è un inventore, che ha costruito la bici più grande del mondo, citata anche nel Guinnes dei Primati, e che è naturalmente un patito di biciclette.
Fino a due anni fa, anche grazie a degli sponsor che gli si erano proposti, non si è perso nemmeno un tour (Giro d’Italia compreso) vestito da diavolo, poi per problemi finanziari e di salute ha fatto una breve pausa, fino a quest’anno, dove lo abbiamo visto in splendida forma.
Fatemi il favore di vedere questo video su questo incredibile personaggio. 

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Solo quando siamo arrivati a Morzine, il termine della ventesima tappa, abbiamo visto le biciclette, prima su un grande schermo, e poi dal vivo.
Nibali, Froome, Quintana, Aru che sfrecciavano, e la folla in visibilio, in una sorta di delirio composto, che non ha niente a che fare con quello sciatto e maleducato del calcio. Tutti che urlavano, sventolavano bandiere, e ridevano felici sotto una pioggia implacabile e spietata, ma che paradossalmente fomentava gli animi.
Ho creduto qualcuno svenisse per l’eccesso di sana euforia. Non è successo.
E la cosa più incredibile è che a prescindere tu ci capisca qualcosa o meno del Tour de France, ti rapisce, ti prende bene, ti scalda, ti rende felice, tanto felice.

Grazie a Le Coq Sportif per avermi fatto vivere quest’esperienza. Peccato ora voglia una bicicletta.

Foto scattate con Canon M10

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E per chi se lo fosse perso su Facebook:

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