Il #mypark tra uno chassé e una virata

Il #mypark tra uno chassé e una virata

Sono nata praticamente con un body, anzi tanti body colorati, e delle scarpette che prima erano bianche di pelle, e che poi sono diventate mezze punte beige di alkantara; quelle lì ad un certo punto si bucavano, ed io ero contenta così le compravo nuove dal signore Pastorelli, che girava di palestra in palestra con il suo maglione marroncino e la scatola prêt-à-porter di scarpine. Comprare le mezze punte era come mangiare pane e Nutella, lo stesso godimento ma sano, significava che avevi lavorato, avevi imparato qualcosa, avevi fatto tanti giri, con le dita dei piedi puntate all’interno del ginocchio, o con la gamba flessa verso l’esterno. Significava che stavi diventando brava.

Sono cresciuta tra terra e acqua, tra uno chassé e una virata, poi è rimasta solo la virata, assieme ai costumi interi che non piacevano a nessuno, tranne che a me.
Sono andata avanti tra cloro ed erba, e poi sono arrivate anche le tavole, tra sale e neve, e pure asfalto. E sto ancora andando avanti, in un pout pourri di questi elementi più o meno solidi.
Non ho mai scelto uno sport per sport. Ho sempre scelto la mia attività perché prima animata da un inverosimile entusiasmo, e poi dalla volontà di ricerca di un coerente equilibrio tra emozione e disciplina, adrenalina e concentrazione, calma e agitazione. Che è poi anche il perfetto equilibrio della vita, quello giusto per andare avanti in maniera determinata, che ci lascia essere “prime persone” che o seguono la corrente perché hanno capito quale sia quella giusta, o che se ne creano una, e lì circolano.

Lo sport è lo spazio metaforico per eccellenza che mi da forza, mi fa pensare, mi da coraggio. È da sempre il mio “park”, ovvero qualcosa che rappresenta il luogo dove ciascuno di noi si sente forte. È un concetto lanciato da Zalando, piattaforma online leader in ambito moda, che è partner principale di IVY PARK, un marchio di Beyoncé e Phillip Green. (È spiegato tutto bene in questo video).

Grazie a dio mi hanno catapultata nel mondo dello sport da piccina, quando fare una spaccata era solo riuscire ad aprire le gambe al massimo e cercare di toccare il petto per terra, per poter dire a me stessa che ce l’avevo fatta, e mostrare alla signora Funghini che non ero da meno rispetto alle altre. Era divertimento, poi competizione, era squadra, successivamente è diventato uno strumento con il quale addomesticavo il fisico per mettere in moto la mente in maniera creativa e razionale allo stesso tempo, è diventata una cosa solo mia.

Prendi l’acqua. L’acqua ha tre livelli di pensiero: c’è il momento in cui bagni il mento, nel quale pensi che stai entrando in un mondo parallelo all’asse delle tue spalle, che per il motivo stesso che ti terrà lì senza aria, in maniera temporale, ti dice che tu sei un’estranea, e che devi quindi rispettare un luogo che non è tuo, seguire le sue regole; c’è il momento in cui intufi le ciglia inferiori, vedi come doppio, e lì pensi che devi smettere di parlare, per cominciare ad ascoltare, e poi bum, c’è il massaggio cerebrale quando cadi giù nell’acqua, e i capelli ti sembrano bambini impauriti con la pelle morbida che hanno il terrore di annegare e allora risalgono la china, o per lo meno ci provano, e i tuoi movimenti rallentati frutto di una disfunzione-funzionale per quel momento lì, quando comprendi che la forza sta prima nel suo opposto, nella calma, nella lucidità, nella consapevolezza di essere qui ed ora.

Prendi una bracciata: ogni volta che schiaffeggi l’acqua, senti che hai vinto, poi tiri fuori la mano perché ti senti in colpa per aver violato un ambiente che non è tuo, e quando vai avanti con il ciclo schiaffo-carezza-schiaffo-carezza fino a tirare fuori la testa, mento compreso, allora lì sì che ti senti la padrona del mondo, una che ha usato il polso e il cuore per avere successo, per essere riuscita a sfidare la diversità senza fare male all’acqua, per stare bene.

Prendi il surf: ci sei solo tu e il mare. Fine. Il mare che devi capire per forza, lui con i suoi codici, il suo linguaggio, ci vuole tempo, altrimenti non puoi avere successo, non potrai mai issarti sulla tavola, se prima non lo impari a guardare, a trattare, se non lo studi per poterlo poi domare e arrivare nel momento in cui ti senti Gesù Cristo, e cammini letteralmente sopra i flutti. Avete idea di come ci si senta a vedere l’acqua sotto i piedi? A scivolarci sopra come il burro fuso su una teglia un po’ inclinata? E ad arrivare alla riva, al bordo della teglia, come se avessimo vinto al Lotto, due guerre mondiali e gli europei di calcio assieme? È come se dopo l’impossibile, potessimo dunque fare tutto. Perché dopo quello, tutto dovrebbe essere possibile.

Prendi la corsa: è sempre un disagio all’inizio, per me che vengo dall’acqua, poi succede una magia, nel momento in cui sto finendo di allenarmi sento che potrei saltare così in alto da scavalcare persino i grattacieli, e in quello del post-doccia e del leggero dolorino ai muscoli (quello che alla fine ti fa godere), potrei tenere dodici conferenze stampa e sconfiggere Dart Fener.
Il mio “park”, quella cosa che mi fa spaccare il mondo, è lo sport, e il vostro?

Where is your park?

Ph. Arianna Bonucci

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  1. giulia

    24 April 2016 at 8:49

    Questo taglio corto ti sta veramente bene e il body nero con le maniche lunghe è bellissimo:D