Fratelli Unici: non siete stati eliminati

Fratelli Unici: non siete stati eliminati

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Provo a fare due premesse, la prima è una dichiarazione, la seconda è una premessa-promessa che non so se manterrò fino alla fine, ma ci provo.
Primo: non tutti i film per essere definiti “film” devono essere impegnati, come tutti i libri per chiamarsi tali devono essere malloppi intellettualoidi da flebo rapida indovena. Cioè, un film può anche essere leggero, fare ridere, senza essere necessariamente etichettato come un “non-film” perché non ci sono sparatorie, psicologi pazzi o donne con il trucco colato.
Secondo: sono andata al cinema provando a guardare Fratelli Unici come se Raoul Bova non fosse mai stato il dio di “Questo piccolo grande amore” e Luca Argentero un dio e basta, l’uomo perfetto, bello e simpatico, che a tutte le donne piace (perché piace a tutte). I belli devono portarsi dietro la croce di essere “i belli”, per l’appunto.

Detto questo, Fratelli Unici è un piacevolissimo film che ti tiene incollata allo schermo per tutto il tempo, nonostante tu sappa fin dal vaffanculo iniziale di Miriam Leone come andrà a finire: “e vissero tutti felici e contenti”.
Il breve riassunto è il seguente: Pietro (Raoul Bova), uno dei fratelli, uno stronzo, perde la memoria dopo un incidente; chi se lo piglia per accudirlo? La ex moglie Giulia (Carolina Crescentini) o il fratello Francesco (Luca Argentero)? Se lo piglia Argentero. E poi cominciano ad accadere “cose”, cioè quelle situazioni che sono prevedibilissime, ma, e qui c’è il paradosso, che fingi con te stessa di non sapere, e ti godi così la pellicola fino alla fine.
Guardacaso Pietro perde la memoria e con tutte le donne che ci sono in una città lui per caso rivede la ex moglie e se ne re-innamora.
Guardacaso Francesco, quello che se la fa tutte ma non sta con nessuna, alla fine si trova innamorato.
Ma nonostante i “guardacaso” vari, tu guardi il non-caso, il davvero scontato con interesse, e il sorriso in bocca, perché Fratelli Unici è un film divertente, in cui tutti gli attori recitano alla perfezione, sono, bravi, simpatici e belli, donne comprese, s’intende.

Sono riuscita a piangere pure per questo film, per il doppio lieto fine che non vi svelo, e anche in questo caso, se pur prevedibile è il finale desiderato, cioè, se il film non fosse finito così mi sarei incazzata.
A dire la verità ho pianto anche quando ho assistito ad un imbarazzante product placement di Lab4Energy di Eni, ovvero una sorta di spot in mezzo al film fatto recitare alla figlia di Pietro, decisamente fuori luogo; e poi c’è anche la continua scritta “Falconeri”, comparsa ripetutamente sulla vetrina del negozio dove Giulia lavora, ma comunque più giustificabile rispetto alla palese ed urlata marchetta di Eni. Insomma, diciamo anche no. Anche se c’è da dire che per produrre un film ci vogliono soldi.

Sinceramente ci sono un po’ di “no” nel film, come Pietro che esce dall’ospedale con la maglia con Topolino solo perché ha perso la memoria e ha la testa di un bambino (il collegamento è un po’ troppo chiamiamolo “diretto”), il continuo dito medio di Sofia, irreale, l’eccessiva non-suspence, ma poi tutto ciò è come se si annullasse perché è una pellicola che fa ridere, è sentimentale, e si rivela romantica, e “buona”, positiva.

Avevo fatto una promessa, lo so, ma tra Argentero che pare quasi irreale, tra la sua bellezza e naturalezza nel recitare, quelle gag non forzate, e la “rivincita” dell’amore e della famiglia, due valori che purtroppo paiono dimenticati, io l’ho promosso.
Cioè, sono uscita dalla sala con una lacrimuccia, il sorriso e la voglia di tornare a fare teatro.
Quindi: Argentero, Bova, non siete stati eliminati.

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