Lo strano caso del dottor Mykonos e del signor Mykonos

Lo strano caso del dottor Mykonos e del signor Mykonos

 

Ed era lunedì. Voglio dire, la gente un lunedì a caso di aprile decide di prendere la nave per andare a Mykonos (come noi del resto), nave che m’ha fatto idealmente arrivare lì trenta minuti prima dell’arrivo reale, perché le persone, l’atmosfera, i vestiti, tutto in generale gridavano il nome di quell’isola nella maniera più ovvia. Perché anche se non si è stati a Mykonos tutti ce la immaginiamo esattamente come dovrebbe essere, Mykonos e la nightlife, Mykonos ed il ritratto di chi ci va.
Da Atene a Tinos, per esempio, c’erano vecchietti simili allo stereotipo degli anziani siciliani, con la coppola e le bretelle, c’erano ragazzi con la tuta dell’Arena, mamme obese con cinque figli minimo attaccati a panini al formaggio e ragazze con stivali bianchi e top stretti.
Da Tinos a Mykonos c’erano la Ibiza del Pacha e la Formentera delle quattro del pomeriggio: americane strabordanti di cellulite, ma incuranti di ciò in una maniera del tutto ammirabile, in shorts (non era quel caldo afoso), flip-flop e felpe di ciniglia, ragazzi gay con occhiali bianchi Carrera, con caffè stile Starbucks ma non Starbucks in mano, tizie con stivali con frange a penzoloni e minigonne inguinali e sì, devo ammetterlo, normalissime donne con gonne al ginocchio e magliettine a fiori e altre con pantaloni neri e mesches bionde di troppo, ma pur sempre sobrie.

Arrivi a Mykonos e ti chiedi subito come sia possibile, perché, soprattutto, è aprile. Com’è possibile che uscita dalla nave tu ti debba trovare una frotta di omini con il cartello in mano con su scritti nomi e cognomi da tutte le parti del globo, donnine che ti offrono camere di hotel e altri tizi che ti suggeriscono il loro noleggio auto o scooter. Arrivi e ti vedi vicino decine di occhi a mandorla e centinaia di italiani, come te, entrambe le razze dotate di macchine fotografiche, munite di cannone ultima generazione per i primi e in stile “usa e getta Ciribiribì-Kodak” per i secondi.
“Che palle a Mykonos ci sono solo italiani”. E tu, italiana, sei lì con lo sciame di connazionali tuoi.
E poi diciamocelo, noi italiani siamo ovunque.
Quando sono arrivata a Tinos fuori dalla nave ad aspettare c’erano fidanzati di fidanzate o mamme di figliole che arrivavano da Atene. Come possono essere così diverse due isole che stanno a 15 minuti di differenza …

Dentro la “city” ti chiedi per la seconda volta come sia possibile: dopo aver visto ondate anomale di turisti in manco alta stagione (dopo Pasqua), entri nella Hora e ci sono ovunque fili di panni, lenzuola, pantaloni da lavoro, camicie a quadretti, che vanno da una casa bianca all’altra, da una ringhiera celesta ad un’altra verde.
Allora a Mykonos c’è anche “gente normale”, gente che fa il bucato e deve necessariamente stenderlo fuori perché abita lì, esattamente dove ci dovrebbe essere la movida, che mangia fuori, che sta seduto davanti all’uscio di casa su una seggiola in paglia e legno a vedere il passaggio.

Parlandoci chiaro, oggettivamente le case sono bellissime perché sono pittoresche, un po’ come a Venezia, un po’ come a Murano, solo che lì “la base” è sempre bianca, quel bianco che ti fa aprire meglio gli occhi, che non ha la minima intenzione di accecarti, bensì di evidenziare i colori che ha geometricamente sparpagliati tra tapparelle, porte e ringhiere. Il bianco a Mykonos è generoso: esiste per focalizzare l’attenzione su altri colori.
Poi ti addentri ancora di più e trovi turisti, tanti, ed è un tipo di turista particolare quello di Mykonos, non quello che va in Thailandia, per dire, ed è un misto tra un turista dello “show off” e un altro della movida, in mezzo ci sono semplicissimi italiani in pensione, greci della peninsula a farsi un giro, ed un esercito di asiatici vestiti nelle maniere più improbabili (tipo centodue colori sparati addosso).
Ti addentri e cerchi di capire come sia possibile che si combinino la parte tradizionale, quella dei gatti randagi, delle mollette per i panni, delle vecchiette sedute fuori dalla porta e quella di Louis Vuitton, dei ristoranti costosi e dei locali fatti apposta per chi vuole mangiare feta e yogurt a prezzi non proprio economici.
Com’è possibile vedere accanto ad una vecchia scritta di un barbiere che ormai non c’è più un’altra che ti indica il negozio di gioielleria a cinquanta metri più in là. E’ un paradosso, no?

E’ come se a Mykonos qualsiasi cosa sia uno show, e alla fine lo pensi pure della parte tradizionale, quella più pura, quella degli autoctoni, tutto a questo punto fa parte del cinema: le scarpe fuori dalle case che io, come i giapponesi, non esito a fotografare, i vasi di fiori nel 90% dei casi perfettamente curati, i pantaloncini di Acne esposti nel negozio più figo dell’isola.
E’ come se tu sforzassi di capire cosa ti piace di più: il vecchio o il nuovo? Ovviamente il vecchio, ma ormai è imprescindibile dal nuovo. E quindi?
La verità è che io ho un concetto tutto mio di piccola isola, ovvero un’isola dovrebbe essere un’oasi, non dovrebbero esistere centinaia di negozi, locali di strip in stile Las Vegas (come ho visto a Mykonos, appunto), bensì dovrebbe esserci una vita d’altri tempi, perché lì, in mezzo al mare, non puoi vivere come se tu stessi a Firenze, per esempio. Non so perché abbia questa idea, ma ci credo e mi piace crederci.

Che poi quando esci dal centro trovi pecore e mucche, trovi una natura di molto wild, case sparse qua e là non organizzate (non ci sono villaggi a Mykonos), trovi l’opposto di quello che vedi attorno al vecchio porto.
In un ristorante una sera, vicino al porto, appunto, ho assistito ad una scena per la quale avrei voluto avere dietro una cerbottana: un uomo sui sessanta, turista appartenente alla categoria “show off”, capello grigio, polo col collo alzato e sciarpetta al collo, parlava alla compagna di trent’anni in meno bionda, completamente rifatta in italiano, in francese, in inglese, in spagnolo, che, a sua volta, replicava in lingue ancora differenti.
Lui: “Cosa facciamo?”
Lei: “I don’t know, we’ll see”
Lui: “Oui”
Lei: “Podemos ir a bailar”
Ora, con me davanti queste cose non devono succedere perché io poi mi incazzo. All’istante.
Perché tu, uomo ricco, devi parlare alla tua ancella di plastica che sta con te perché paghi la cena e il soggiorno a Mykonos in diciotto lingue differenti senza saperne bene una?
Perché siete due cretini. Ecco, perché.

Dopo la spataffiata di circa 5913 caratteri (spazi inclusi), giunge l’ora di venire alla pratica.
Sapevo che sarebbe stato un ottimo posto dove soggiornare fin dal nome (se mai avrò una figlia penso la chiamerò così), ed è stato così: Villa Pinelopi (Limni Choras) è un complesso di mini appartamenti e camere raggiungibile da una viuzza stretta in cui dei cactus si appaiano senza intrecciarsi ad altri legni nodosi. E’ un’oasi ricca di chincaglierie, ecco cos’è: appena entri, vedi un giardino curatissimo con decine di gatti, per ognuno una cuccia, e un cane ciccione di sedici anni, la reception è invece un piccolo museo d’antiquariato dove trovi di tutto, da orologi-cipolla a vecchi libri, da immagini di santi a fiori freschi e secchi ovunque.
Dalla mia camera si vedeva un vecchio faro, ora parte del museo nautico di Mykonos, una cappella privata in mezzo ad un giardino non ben curato e piante, natura. Una bolla fuori dal casino. Fantastico.
La cosa che mi è piaciuta di più di Villa Pinelopi è che non ha niente di pretenzioso, è semplice, curatissimo, tradizionale, vecchio stile senza essere polveroso, anzi, tutto trasmette freschezza anche se ci sono mille dettagli “vecchi”.
La proprietaria è una signora di una dolcezza infinita, semplice e generosa (appena siamo arrivati ci ha offerto bevande e pasticcini come se fossimo a casa sua, e alla ripartenza ci ha regalato due braccialetti), insomma, la vorresti abbracciare.
Per quanto riguarda dove mangiare ho un ristorante abbastanza turistico da consigliare (anche i ristoranti per turisti possono esser buoni) e due no.
Da Marcopolo (Lakka Mykonos), in centro, ho mangiato da dieci e lode, consiglio vivamente la feta calda ricoperta di miele e impanata con sesamo, ho proprio goduto. Dieci e lode anche per il servizio, il tizio che ci ha servito, presumo il boss, è stato super gentile, in più ha espresso un concetto-bibbia: se le persone locali spesso sono scontrose è perché i turisti li trattano come se fossero schiavi, come persone che pensando solo ai soldi hanno deciso di sfruttare il successo di Mykonos aprendo ristoranti e negozi (bè, furbi loro).

Apaloosa (Maurogeni st. Goumenio sq) è un ristorante messicano, greco, indonesiano, indiano, insomma un po’ tutto, dove sì il cibo è buono, ma ho apprezzato soprattutto l’atmosfera: dentro luci calde e soffuse, fuori lucine tipo Natale (io le amo). Ho preso formaggio con verdure e nachos a volontà, quindi non posso dare un giudizio completo sulla cucina. I prezzi? Come in Italia (a Milano), più o meno.

To Maereio (Kaloghera str) m’è piaciuto uno perché io odio prenotare e lì non accettano prenotazioni, due perché pare di stare a casa. E’ un ristorante a conduzione familiare, dove il cibo è molto buono, a partire dalle patate cotte in forno e ripassate in padella fino alle insalatone e allo yogurt con miele. E poi la Mastika alla fine ti fa uscire dal ristorante sempre carica.

Le spiagge? E chi l’ha viste? Abbiamo preferito andare a visitare il faro (abbandonato) di Armenistis, situato a nord in una delle posizioni più ventose del mondo (non esagero!).
Ho letto su Tripadvisor decine di commenti negativi a riguardo, per quello che ho visto io posso dire che con il motorino non è facile arrivare lassù (se siete in due, per certi tratti uno deve andare a piedi perché la potenza del motore non è sufficiente per certe salite), ma il paesaggio è pazzesco, passi da distese dove pascolano mucche a terreni abbandonati fino a ville super lusso. Ok non si può entrare nel faro, ma per chi ama questo genere di cose sa che hanno un valore più emotivo che estetico.

Abbiamo poi preferito visitare Ano Mera, una specie di villaggio con al centro il monastero di Panaghia Tourliani che mostra la più ricca Bisanzio, e tante taverne, forse troppe. Anche qui il contrasto tra strutture che cadono a pezzi e quelle nuove di pacca è evidente.

E poi, come sempre, siamo andati a caso: abbiamo preso il motorino e guidato nell’entroterra, tra una chiesetta ogni cinque minuti, pecore e strade sterrate. Forse è questa la Mykonos che mi piace di più.

SAMSUNG CSC

SAMSUNG CSCbalconiintersezioniSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCchiesaSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCfarofaro2faro3SAMSUNG CSCSAMSUNG CSCfiorivasoflagfonteSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCm,uccheSAMSUNG CSCmegatto1megatto2meportaSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCmykonosSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCnuvoleSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCpalopanchinaSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCportafarSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCvicolo2SAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSC

Villa Pinelopivillapinelopi villapinelopi2 SAMSUNG CSC villapinelopi3 villapinelopoingresso

attesa

SAMSUNG CSC

Comments are closed.
  1. alessandra t.

    3 May 2014 at 8:53

    Foto e post bellissimi, mi hanno rimandato indietro nel tempo! ♡

    • Lucia

      3 May 2014 at 8:54

      Ale ci sei stata? 🙂

  2. alessandra t.

    4 May 2014 at 7:53

    Si, parecchi anni fa! 🙂

  3. Federica Di Nardo

    4 May 2014 at 12:08

    Che immagini splendide!

    The Cutielicious
    http://www.thecutielicious.com
    Federica

  4. carmen

    4 May 2014 at 15:54

    complimenti proprio un bel post 😉

    Nuovo post sul mio Blog ti aspetto 😉
    http://www.mrsnoone.it
    kiss