IO, ALDO E LE COSCE DA DEL PIERO

IO, ALDO E LE COSCE DA DEL PIERO

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True story (lo so che ci vuole la “A” davanti, ma Blogger me la catapulta a destra della mia testa quindi la levo, m’ha fatto arrabbiare): Io, la mia bici Aldo e le cosce da Del Piero, che ho scoperto recentemente essere andato in Australia dai canguri (viva i luoghi comuni). No perché ci sono giorni in cui dici no alla metro perché a forza di cambi, ascellate, sovraffollamento di smalti rosa perlati, forfora come se nevicasse al chiuso, sbattimenti vari ci rinunci, no allo zippino che attualmente pare una Torta Paradiso, ricoperto com’è di neve (vera), no alla macchina che non ho. Rimane Aldo la Bici, che bada bene, non è l’ultimo per esclusione, ma sempre il primo nella scaletta di choicesAdesso devo pure pimparlo bene, nel senso che il portagiornale ce l’ha già, gli mancano tipo un porta-ombrello (e per quello c’è Marcello il Porta Ombrello che solo per il nome merita l’Oscar) e delle luci nuove.
Quindi ci sono giorni in cui fai il giro di Milano in otto ore con la bici e in cui poi torni a casa che le gambe paiono quelle caramelle che frizzano al limone (che rende ancora più l’idea rispetto all’arancio). Tipo che vai a letto e anche hanno la tremarella. Ma è l’unica soluzione per non bestemmiare contro traffico e ritardi vari. 
Ecco, quella sera lì arrivai (uso il passato remoto per cui ho un amore sconfinato, come quello di Robin Hood per Lady Marian) all’evento Blauer con:
1) Le gambe indipendentemente ballerine
2) I capelli alla cazzo, letteralmente, causa pioggerellina che quando c’è pare ti bucherelli anche gli occhi, anzi ti ci facciano l’agopuntura
3) Una faccia che te la spiego, o forse meglio di no
4) Gonna e Jeffrey Campbell
Cancella e riscrivi. Magari, perché non si può fare. Insomma arrivo, arrivai, trafelata e via pronti per le foto.
Quel giorno lì qualcosa mi diceva: “Maria, butta la gonna, invece che la pasta, e vestiti da uomo”. Detto fatto. Pantaloni e stivali da uomo e via, pronta per le foto e un’infinita speranza che sarebbero venute decenti.
Matteo Felici, il fotografo con la camicetta a quadretti che glie l’avrei volentieri strappata, perché sarebbe stata perfetta con i miei boyfriend jeans è riuscito nell’impresa: alleviarmi l’effetto capello-nebbiolina, rughe da distruzione, non fare uscire gli scatti in movimento causa tremarella da troppa bici. 
E io vestita da uomo ero felice, come il cognome di Matteo al singolare.
Premetto che ho scelto pure i piumini “matelassè” che appartengono un po’ all’universo maschile, nel blu e nel marrone che sono colori un po’ da nonna Pina, ma al momento sono nella mia top ten (poi quale siano le altre otto cose non è dato da sapere, manco da me).
In tutto ciò ho fatto una scoperta: quando si fanno le foto cone le mani in tasca bisogna sempre tenere i pollici di fuori per non sembrare monche. Le pillole di saggezza di Matteo, e il verde Stabilo Boss che spunta dal taschino.
Tornai, passato remoto, a casa, in bici, pensando che a me Del Piero mi faceva un baffo.
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