Sul ritorno, anche coatto, del caffè-latte

Sul ritorno, anche coatto, del caffè-latte

Cuban-born actor Desi Arnaz (1917 – 1986) (as Ricky Ricardo) sits at the kitchen table and eats breakfast alongside his real-life wife American actress and comedienne Lucille Ball (1911 – 1989) (as Lucy Ricardo) in a still from an episode of the television sitcom ‘I Love Lucy,’ 1950s. (Photo by CBS Photo Archive/Getty Images)

In vacanza mi lamento solo se non mi fanno mangiare, se ci sono oltre i quaranta gradi, e se non mi sento libera.
Quest’anno si è aggiunto un altro elemento di fastidio: la mancanza di caffè, o meglio, di buon caffè.
In verità è stato più o meno un dramma, palesato tutti i dì al mattino e dopo pranzo, cercato ogni volta di annaffiare con la dolcezza di litri e litri di latte, o l’auto-convincimento psicologico di stare per bere qualcosa di assolutamente fantastico, con dietro quintalate di pane, burro e marmellata.
Il fatto è che è vera, verissima, la questione che per noi italiani il caffè è fondamentale, è talmente tanto radicato nella nostra cultura che credo ci scorra davvero nel sangue.

Entertainment, Cinema, London, England, 16th July 1956, American film star Marilyn Monroe at a reception, Marilyn Monroe was one of the most glamorous female stars of her era (Photo by Popperfoto/Getty Images)

Ci cresciamo con il suo odore, ci ridiamo, ci piangiamo, ci rilassiamo con il suo gusto, fa da aggregatore come da “sparpagliatore” per eccellenza. Il caffè è un grande classico senza tempo, a livello del tubino nero o della camicia bianca.
Il primo ricordo che ho del caffè viene prima del caffè-latte, a discapito del deliziosissimo intruglio a base di uovo sbattuto, bevanda nera e zucchero, che la mamma mi rifilava per colazione.
La credenza familiare era che il caffè liscio m’avrebbe fatto male, un po’ come il vino senza acqua, invece allungato con altri ingredienti sarebbe stato diverso.
Così per anni mi svegliavo al mattino con il rumore secco, ma dolce del cucchiaione sbatacchiato contro le pareti delle tazze di terracotta azzurrine, prese con i punti delle Fiesta, e quell’aroma che dapprima ti dà fastidio perché troppo forte, poi, grazie all’abitudine, diventa necessaria per un felice risveglio.
Dall’intolleranza all’armonia è evidentemente questione di routine.

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Il secondo ricordo è appunto il caffè-latte, nemmeno al bar ormai nessuno lo ordina più, a favore invece del cappuccino o del caffè e basta, appunto.
Hai voglia a dire alla mamma di togliermi la panna dalla tazza, anni e anni di lotte con il colino, eppure niente, la tanto odiata panna da latte stra-bollito era puntualmente sempre lì a galla. E allora ci “pucciavo” un paio di Girelle o di Yo-yo, così la panna s’attaccava alle merendine e io non la sentivo più di tanto.
In casa mia quell’odore c’è sempre stato, anzi, la verità è che era l’odore di casa mia: il babbo si alzava alle 6,30 e vi lascio immaginare quale fosse la prima cosa che faceva, mia mamma poco dopo, e vi lascio immaginare cosa scaldasse, alle 7,15 veniva la cugina della mamma a prendere il caffè, da rifare, perché quello dell’ora prima era già finito, e poi mi svegliavo io, e la macchinetta ricominciava a brontolare.

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Insomma, dopo la mattina la routine era: caffè dopo pranzo, poi alle 16,00 in punto, e se dopo quell’ora venivano amici ancora fiumi di caffeina, tranne dopo cena, dopo di che era vietato sorseggiare la bevanda nera, per la leggenda del “poi non si dorme”. Era concesso solo il caffè d’orzo (che poi sempre caffeina contiene, ma vabè).
Poi c’era la zia Anna, che da buona meridionale, non faceva a tempo a far sedere l’ospite, qualsiasi età egli avesse avuto, che aveva già pronti cioccolatini e servizio di tazze in porcellana con tanto di zuccheriera super lavorata.
E la nonna Cecchina, con una batteria metallica di caffettiere di ogni dimensione con il manico deformato, perché se le dimenticava sempre sul fuoco, e allora le bruciava tutte.
E io da adolescente, che mi sentivo figa ad ordinare il caffè al bar, solo perché mi sembrava una cosa da grandi.
E le mamme delle mie amiche del Sud, che qualsiasi cosa succeda, ti mettono in mano caffè, o caldo o freddo, o liscio o con latte d’orzo, e lo finiscono di bere in tre ore, “giusto” il tempo di fare quattro chiacchiere in croce.
E la passione per le tazzine da caffè, di tutte le fogge e tutti i colori. Ce ne sono di bellissime tra le vendite temporanee di Zalando Privé, dove tra l’altro c’è l’imbarazzo della scelta di classici senza tempo, dall’abbigliamento all’home decor, dal tubino nero alla camicia bianca.

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E la mania di cercare su Pinterest foto in bianco e nero delle “vecchie” star di Hollywood intente a bere caffè. E la dipendenza dal Nespresso, o dall’espresso con la panna dell’Antica Cremeria San Carlo al Corso, un nostalgico posticino a Milano, in cui la cassiera non proprio giovanotta comunica al primo barista di fare un caffè, che comunica all’altro barista a lui vicino la stessa cosa, che a sua volta, ordina all’ultimo barista dietro al bancone di indovinate cosa (e alla fine lo fa). Un rito delizioso quasi quanto il loro macchiato con panna al cucchiaio.

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Comments are closed.
  1. giulia

    16 September 2016 at 8:26

    Io sono tipo da caffè o se proprio voglio viziarmi da cappuccino con lattte di soia, visto che ho una intolleranza al lattosio (nonostante sia un’amante dei formaggi), ma la caffeina è necessaria e posso dire che a Terni è possibile chidere il caffè-latte:P