Bionda e rincoglionita fuori

Bionda e rincoglionita fuori

Stamane mi sono svegliata pensando al concetto di immagine.
L’immagine conta eccome, tutti ti giudicano in base a lei, c’è chi ci campa, c’è chi ci fa i miliardi, c’è chi dice che non gne ne frega niente ma in verità è palesemente una menzogna.
Tutti tengono alla propria immagine, solo che certi ci tengono in maniera sbagliata (più volgarmente parlando: quelle/i vestiti da far paura ma che credono di essere conciati da dio).
Ma non è questo il punto. Stamane mi sono svegliata pensando al mio caso, lo strano caso di Lucia Del Pasqua, una che nel suo primo giorno di lavoro in una redazione di finanza (ovviamente non ho mai fatto finanza io, dato che per me “finanza” è un sinonimo in pseudo milanese inventato da me per dire qualcosa che finisce, fin-anza) si è presentata con i capelli biondi ossigenati, il tacco ventidue, gli occhiali giganti da nerd, e una camicia blu elettrica, una che certe volte sceglie volutamente di essere anacronistica e di zompettare tra la chiccheria degli anni Cinquanta, alla finta sbandataggine dei Settanta fino all’ Amandaleartudine degli anni Ottanta, una che alle utime sfilate, l’ultimo giorno, c’è andata con le stesse ciabatte con cui c’ha fatto la stagione estiva in Spagna, una che quando si “mette figa” (nel limite del possibile ovviamente) lo fa in non più di tre minuti.


Questa è l’immagine che io ho di me stessa: un po’ a caso ma con una certa coerenza, stravagante ma non ridicola (spero), felicemente vintage e easy. Easy nel senso che non sono affatto ossessionata dalla mia immagine, cioè esco e mi faccio fotografare tranquillamente senza trucco. Ma sono comunque un’egocentrica.
Detto questo arrivo al punto: è davvero curioso, singolare, una sfida alla fine, vedere come gli altri ti vedono quando sei te stessa, e nel mio caso una perennemente con il rossetto rosso, spesso i tacchi e per sempre bionda. Anzi, domani vado a farmi ancora più bionda.
Ecco, molti ti vedono proprio come una bionda, cioè come una rincoglionita: specie nel contesto professionale, se tu ti presenti in un ambiente in cui tutti sono con le scarpe basse, le donne o struccate o truccate da baldracche, tutte vestite di nero o quasi, tutte più vecchie (dentro soprattutto) di te, e magari meno bionde, tutte più tristi ecco, per arrivare a capire che tu non sei né una scema, né la principessa sul pisello, ma che invece sei molto probabilmente la più sveglia di tutte, un po’ ce ne vuole. L’arrivo al punto in cui ti trattano come una professionista seria non è immediato, e spesso solo perché sei colorata.
Ma io mi diverto sempre a lasciare in bocca il sapore del dubbio. Così, nel caso sopra citato per esempio non parlo subito, me ne sto zitta a giocherellare con i miei capelli (è un vizio che ho da quando ho cinque anni, e che nonostante le gufate di tutti i parrucchieri non mi ha fatto rimanere calva), comodamente adagiata nella spensieratezza dei miei abiti variopinti. E ascolto, mi faccio trattare come una deficiente, ammirando pure quelli che, presi alla fine da sprazzi e barlumi di sensi di colpa tentano di lisciarmi come un barbonicino messo in punizione pensando: “dai, è scema, ma facciamole il mezzo sorriso da Sofficino Findus tagliato male al centro, altrimenti andrò all’Inferno”.


L’immagine è tutto, e siamo stati tutti noi a dichiararlo, stabilendo che chi ama gli abiti attillati sia una poco di buono, chi li ama troppo comodi una tremenda freakkettona, e che chi si veste di nero sia una persona estremamente seria, affidabile e professionale (e non intendo quel nero “concettuale-destrutturato-orrendo-insomma).
Quindi tu perdi tutta la vita a far capire agli altri o come sei, o che sei diversa da quello che appari. Se t’interessa ovviamente.
Vuol dire che se a 31 anni vai in giro vestita come la Monroe sei un’eroina, e che se ti metti un paio di jeans con le toppe colorate idem, perché sono cose rispettivamente da tempi passati e “da giovani”. Non è normale, insomma.
Io ormai l’ho presa come una battaglia, e che poi alla fine ho sempre vinto io, do agli altri l’illusione di vincere, fino a quando poi decido di spogliarmi immaginariamente di quegli abiti che per certi rappresentano il metro di giudizio principale, e allora sì che li atterro tutti. Quando aprono davvero gli occhi si rendono conto che ad atterrarli è stata quella che non si è affatto spogliata, la stessa con addosso quei vestiti allegri e colorati.
Non mi piace vincere facile, ma mi piace vincere se ho ragione di vincere.
E mi piace tanto giocare con la mia immagine, col colore poi lasciamo stare.

Total look iBlues (scelto durante l’evento in negozio per il compleanno del marchio)

 

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