La mia prima volta (allo stadio)

La mia prima volta (allo stadio)

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Certe volte le cose più banali sono quelle talmente tanto ovvie da essere implicitamente vere e basta. Vedi le prime volte. E’ scontato che le prime volte siano tutte meravigliose per definizione, per lo meno per le persone dotate di un minimo di sensibilità e di vita. Se poi vanno male, temporalmente dopo, ovvero quando sono già successe, quella è un’altra cosa, io parlo del concetto.

Tipo:
La prima volta, quella, non te la scordi mai, a meno che tu non sia ubriaca marcia (non è assolutamente stato il mio caso), insieme a quel calderone sconnesso e impastato di paure, speranze e sferzate di adrenalina, a intermittenza.
I primi giorni di scuola, delle Medie, o del Liceo, sono timbrati con inchiostro indelebile, anche un po’ simpatico, in un pezzo di tessuto-carta del mio cervello, compreso il fatto che entrambe le volte mi scappava la cacca fortissimo (mi succede quando mi emoziono).
Un mese fa ho preso a casa con me, per la prima volta da quando abito da sola, la creatura più bella e dolce che mi sia potuta capitare, Lina, tra una settimana mi auto-regalerò il mio primo anello che costa più di 100 euro, tra due settimane sarà la mia prima volta in moto, la mia prima guida, e spero davvero di cavarmela, solo per farla pagare a tutti quelli che mi hanno sempre detto e continuano a dirmi che “la moto non fa per me”. Fottetevi.
Me ne mancano un sacco di prime volte, un po’ perché certe prime volte (purtroppo) non arrivano programmate (magari non arrivano mai), io non ho potere su di loro, e un po’ perché non ho ancora avuto il tempo di organizzarmi.

Sabato è stata la mia prima volta allo stadio, a 29 anni. Ci sono cose che devi fare prima dei 30 per forza. Non sono tifosa, non capisco nulla di calcio (le uniche cose che ho imparato me le hanno insegnate Fulvio, che ringrazio perché si è adoperato per trovare i biglietti, e i suoi amici una sera d’agosto, a partire dal mito di Eric Cantona, e Roberto sabato, a partire dal significato degli striscioni).
Ad ogni modo non mi sono trovata a San Siro per caso, né nessuno m’ha costretta, era un desiderio che covavo da un po’, nonostante non conoscessi manco un giocatore, né il significato di rosso o arancione per quanto riguarda gli anelli (e tanto meno gli anelli stessi).  Solo che nessuno mi ci aveva mai portato perché pensava che il mio desiderio non fosse abbastanza forte, perché io sto al calcio come la Nutella tarocca sta al pane in busta “duro come le pine verdi”. Perché sono una “fescion blogger”. Io allo stadio ci volevo andare da un sacco di tempo. Forse perché a me emozionano tutte le prime volte, in generale, magari anche quelle di corse di formiche turche, forse perché sono semplicemente curiosa (vorrei fare tutto), forse perché lo stupore di trovarmi in un luogo in cui io c’entro come i cavoli a merenda ha il piacere di trasformarsi in quella beata ignoranza che vira a sua volta nel classico atteggiamento infantile del chiedere spiegazioni per qualsiasi dannata cosa. E a me piace sentirmi come i bambini, fare domande in continuazione per cercare di capire anche l’incomprensibile cosmico (piace un po’ meno ai miei interlocutori penso), spiegato da gente più “grande” di me (nel senso di esperienza).

Prima boiata: andare allo stadio con una sciarpa con le zebre. Giuro non sapevo che le zebre fossero il simbolo di un’altra squadra.
Seconda boiata: prendere una Coca Cola dall’omino degli snacks che sa di acqua sgassata e pagarla 5 euro.
Terza boiata: “Nessuno prenderà mai il caffè Borghetti, freddo, e in quella boccettina, che pare una medicina”. Detto fatto, due file dopo tre tifosi con boccettina in mano.
Quarta boiata: “Ma che bandiera è quella? (Svizzera? – ho pensato, ma per fortuna non l’ho detto). No, di Milano. Lucia sei una cazzo di oca.
Quinta boiata: Ridere di gusto quando c’è un finto fallo, ma i tifosi vorrebbero sia vero, e tutti cominciano a insultare l’arbitro a caso. Lucia rischi il linciaggio.

Boiate a parte quando sono entrata allo stadio, tra il barrino sulla sinistra e i cessi sulla destra e con davanti un quadrato, anzi un quadro il cui perimetro lo facevano a destra e a sinistra gli spalti, in alto il cielo e in basso il pavimento, mi sono sentita un calciatore: gasata, pompata, emozionata. Quello, quando ho visto una fetta di verde e una sferzata di luci forti, è stato il momento in cui ho seriamente (e silenziosamente) rischiato di emozionarmi, ma per fortuna non se n’è accorto nessuno.
Da seduta ho fatto altre scoperte “umane” e non: c’è gente (furba) che viene allo stadio con il cuscino dell’Inter, e fa bene, i seggiolini sono minuscoli in realtà, c’è chi si presenta con i tacchi (giuro), chi mezza ignuda, tantissime zie stra-iper-truccate, chi con l’intera famiglia, chi viene da anni (vecchietti che facevano pure fatica a salire le scale, amori) e chi non ne capisce nulla ma si atteggia a saperne.
Allo stadio c’è di tutto, anche se i miei preferiti, dopo i vecchietti con le giacche a vento acquistate negli anni Ottanta dalle figlie e la sciarpina della squadra del cuore sono i milanesi-interisti (ho imparato questo “detto” interista dedicato ai milanisti: “Noi non abbiamo cugini!”), quelli che hanno i jeans con il culo di fuori, il cappellino tenuto sulla nuca, i piedi rigorosamente a papera e in bocca la seguente espressione una volta ogni tre frasi: “Minchia oh”. Loro vincono, specie per la loro modalità di discesa scale: saltellando vorticosamente e con un piede rivolto verso l’Est, l’altro verso l’Ovest.

Vicino a noi c’era una coppia penso di quattordicenni, lei nuda con un trucco pesante e dodici sigarette per mano, manca poco, che non s’è chetata un secondo a commentare la partita, lui zitto e basta. Grazie a lei ho capito una cosa: non sopporto, non lo sopporto, una che ti urla nelle orecchie, che fa avanti e indietro dal suo seggiolino alle scale piazzandoti il suo culo in faccia ogni volta per l’”agitazione da partita”. Guardati la partita e ogni tanto parla, se vuoi urla, ma ogni tanto, non sempre. Mi bastano i trapani alle 7 di mattina di quelli del terzo piano, alle 10 di sera allo stadio non dico che voglio silenzio, ma o cori o farfuglii simpatici. I cori comunque mi piacciono, vorrei scriverne anche io (si potrà? Con chi devo parlare?).

Emozioni varie:
Una cosa che mi ha fatto sbellicare dalle risate è stata la presentazione della formazione delle rispettive squadre sui maxi schermi: la Roma s’è beccata il cartellone con la comparsa dei numeri delle magliette e l’annuncio dei cognomi, stop, l’Inter un trailer di Crank praticamente, ovvero un film con protagonisti i calciatori con uno speaker che manco quello dei filmati dello Studio Luce, con fermo immagini, montaggi serrati e una color non indifferente. A me ha fatto ridere.
Mi ha spiazzata il fatto che i tifosi interisti se ne andassero prima della fine della partita (viste le tre stangate ricevute dalla Roma). Mi ha stupita come fossero così incazzati e silenziosi all’uscita di San Siro. Nessuno ha commentato più, dopo parole, insulti e braccia alzate, c’è stato il silenzio, in ordine temporale. Le parole sono riapparse sui social dopo in maniera virtuale.
Mi ha positivamente scioccata la quantità, non di persone, ma di fede nei confronti della propria squadra. E pensare si tratta “solo” di calcio… se mi sente un tifoso vero mi ammazza.
Mi ha stupita come il ripensare il giorno dopo allo stadio, all’Inter, al bambino davanti a me, ai ragazzi in carrozzina, alle sciarpe, alle patatine, al giocatore giapponese, al Bar Roby, alla curva, alle espressioni estreme, che tutto ciò potesse essere tanto piacevole, quasi come ti chiedono di assaggiare un dolce nuovo e ti si appiccicano in fronte e sulla lingua odori, colori, sapori che ti ricordano già qualcos’altro. Lo stadio mi ha ricordato una delle mie prime volte, e quindi l’essere felice.
Voglio tornare allo stadio, anche se non ci capisco nulla (così sarei un’altra volta felice), e anche se forse ho portato sfiga all’Inter (3-0 per la Roma).

Un grazie speciale a Pirelli.

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  1. SEGGIOLINO AUTO

    12 October 2013 at 14:08

    La prima volta… Andrò anche io allo stadio hihihi non ci avrei mai pensato prima d’ora!