L’Alto Adige dell’andamento lento

L’Alto Adige dell’andamento lento

Quando mi hanno invitata in Sud Tirolo non avevo idea a cosa sarei andata incontro. Per niente. E forse è stato meglio così, dato che dal primo momento in cui c’ho messo piede è stato tutto un susseguirsi di sorprese.
La prima, banalmente, ha riguardato le strade.

“Sono le 9 di sera, ma pare d’essere in spiaggia a mezzodì del 15 di agosto”, dissi all’autista che si sforzava di rispondere in un italiano decente alle mie decine di domande.
Le gallerie sono così illuminate che servono gli occhiali da sole.
“E cosa sono questi?”, gli chiesi ancora.
“Autobus”, replicò come se fossi cretina (in effetti).
“Cioè, qui c’arrivano gli autobus? In tutti questi paesini?”.
Non poteva essere possibile.

La risposta me l’avrebbe data la proprietaria dell’Hotel Tyrol al mio arrivo a S. Maddalena, in Val di Funes, dicendo che i mezzi funzionano così bene, che tanti turisti si dimenticano la macchina per usare solo i mezzi pubblici, che tra l’altro per loro sono pure gratuiti (il prezzo è incluso in quello dell’hotel), assieme ai musei.
Per la cronaca, anche i ragazzi fino ai diciotto anni hanno lo stesso privilegio.
Le sorprese, come anticipato, sono state comunque tantissime, tra cui il rispetto e il valore che gli altoatesini hanno per la tradizione: le valli sono piene di contadini, di persone che vivono per la natura e con la natura, di giovani che alla domenica non si vergognano di indossare il costume tradizionale, anzi, ne vanno fieri, d’impianti sostenibili, di case con l’orto sia di giovani che non, di cose semplici che funzionano, di regole che, incredibile, vengono rispettate, di agevolazioni per le mamme e per i papà, per gli asili a prezzi ridicoli.
Gli altoatesini hanno saputo dialogare con la natura, senza mai averla fatta arrabbiare, l’hanno accarezzata, la venerano, la nutrono, non ci pensano minimamente a schiaffeggiarla, perché sanno che è da lì che viene quella magica energia capace di placare anche gli animi più inquieti, di sanare le ferite, di infondere equilibrio con la forza del silenzio e il benestare delle vette, anche quelle più austere.
A proposito di equilibrio, uno dei motivi della mia presenza in Sud Tirolo è stato quello di vivere una manciata d’esperienze incluse nelle offerte di Alto Adige Balance (secondo me m’hanno chiamata perché m’hanno vista alquanto disconnessa), ovvero un modo di vivere il territorio toccandolo e annusandolo, immergendovisi con la filosofia più slow possibile.

Prima però di parlarvi delle attività, voglio dirvi dove ho soggiornato la prima notte, perché è un posto che casomai decidiate di fare una vacanza in zona, consiglio vivamente.
Incorniciato dalle vette delle Odle e dal verde dei prati, l’Hotel Tyrol è fatto innanzitutto da persone eccezionali, che alle 10 di sera, con già tutti gli ospiti a letto, mi hanno comunque fatto trovare una cena prelibata, ben curata e senza carne.
Quando ho risposto “nessun salume, grazie” alla loro proposta “ti prepariamo un po’ di speck”, nessuno lì ha arricciato il naso, mi sono invece vista arrivare un bel piatto di formaggi e cous cous. Dieci e lode.
L’hotel, in val di Funes, è stato fondato nel 1972 dal padre della proprietaria, che era anche un artista, infatti ci sono i suoi disegni e sculture sparsi per la struttura. Grazie a dio sono state mantenute le parti più belle di quegli anni, come la hall e il ristorante, mentre sono state rifatte le suite in legno naturale, che danno una meravigliosa sensazione di pace.


L’Hotel Tyrol produce elettricità a impatto zero ed è quindi energicamente autosufficiente.Tornando alle attività Alto Adige Balance, in questo hotel se ne possono prenotare alcune; la prima che ho fatto io è stata la passeggiata della respirazione con Stefan Braito.

“Sere, mi raccomando, non farmi abbracciare gli alberi”, avevo messo già tutti i paletti all’ufficio stampa.
Gli alberi no, non li ho abbracciati, perché alla fine mi sono fatta abbracciare io da loro.
La passeggiata è iniziata ascoltando il suono dell’acqua del ruscello di S. Maddalena, terra tra i monti che pare una volta fossero ad appannaggio di streghe, mentre Stefan con il suo sorriso rassicurante si presentava come esperto balance (una persona che conosce le erbe e le tecniche di sopravvivenza).
Abbiamo camminato mangiando pure alcuni fiori raccolti durante il percorso, scoprendo proprietà naturali di molti di essi, ascoltando e narrando reciprocamente leggende.


Ho scoperto che il timo masticato pulisce i denti, che l’Achillea Millefolium è una pianta di primo soccorso, che dopo essere triturato in bocca può essere appoggiata sopra la ferita, purificando, cicatrizzando e fermando il sangue, che l’aspirina ha una componente che viene dall’estratto di corteccia del salice bianco, che per percepire una pianta devo respirarla per sette volte, perché il sette è il numero della trasformazione, grazie al quale ci si apre all’esperienza.
Ho visitato la Chiesa di S. Maddalena, che stranamente non è in paese, ma lo sovrasta; questo perché una leggenda vuole che una notte le cornacchie portarono via dal paese le legna destinate alla costruzione della Chiesa per trasportarle fin dove è adesso. 


Vi dirò tra qualche riga perché le chiese hanno i cimiteri davanti alle Chiese, e non sono distaccati.
Mi sono ricordata di quanto adesso la lentezza sia una virtù, piuttosto che una costola essenziale del nostro scheletro, una dote eletta per un’oligarchia che resiste al bombardamento moderno di stimoli.

Dopo una mattinata trascorsa a nutrire lo spirito, gli occhi e i polmoni, sono passata allo stomaco facendo un pit-stop al ristorante Pitzock, nella frazione di Pizago, sempre in Val di Funes. Lo chef Oskar Messner mi ha accolta con un cappuccino verde, che vista l’insistente moda del matcha-cappuccino a Milano, mi ha fatto subito storcere la bocca. Invece, cattiva me, il “beverone verde” era una delizia, anche perché non era “latte colorato”, bensì una crema di ortiche con spuma di patate con un raviolo sempre ripieno di ortica.


I piatti successivi, tanti, sono stati una sinfonia di sapori (come gli schlutzer alle ortiche e ricotta) orchestrati ad opera d’arte dallo chef, che sceglie prodotti esclusivamente locali, dalle erbe ai formaggi fino alla carne (su quella non faccio testo); della “pecora con gli occhiali della Val di Funes”, presidio Slow Food, Oskar utilizza anche la lana per produrre capi di abbigliamento, cappelli, ma anche cuscini e coperte.

Dopo pranzo ho partecipato ad un’altra attività Alto Adige Balance, ovvero una visita guidata con l’agricoltrice ed esperta nell’impiego efficace di erbe, Carmen Obexer. Trovarmi catapultata nel mondo di Carmen è stato come dimenticarsi del mondo moderno, fatto di tecnologia e parole mozzate: mi ha accolta fuori dalla sua casetta di legno facendomi trovare dell’acqua aromatizzata con fiori e cioccolatini a forma di cuore con petali edibili, da degustare davanti al suo orto.
“Ok, dove devo firmare?”, ho pensato.


Nel regno delle piante ho imbastito il mio intruglio di erbe da portare a casa per fare poi degli infusi, con un criterio del tutto casuale, anzi cromatico, aprendo le decine di barattolini profumati in base ai toni più accesi dei fiori.
Non solo: ho perfino cucinato una pomata, come le vere youtuber, a base di cera, olio, resina, e burro di karitè.
Diciamo che sono arrivata a fine giornata con dei vasetti, tra cui uno pieno di salvia per le mie placche, una buona dose di conoscenza botanica in più, e tanta quiete.

La cena poi l’ho cucinata io. Sul serio. A Terento, nella scuola di cucina di Andreas del Gassenwirt, ho fatto i canederli con le erbe, il formaggio e i funghi. Ammetto che prima d’allora non avevo mai mangiato quelle palline pazzesche a base di pane, latte, uova e farina, che una volta si consumavano solo la domenica.
Il Gassenwirt è una locanda e anche un hotel, che fin dal 1600 è sempre stato un punto di ritrovo, all’epoca era un bar, mentre dal 1923 è stato acquistato dal nonno di Andreas, diventando così una “faccenda di famiglia”.
Andreas è una persona eccezionale, che mi ha raccontato come ancora oggi lui vada a prendere il burro dalla contadina ottantenne, i formaggi grigi, tipici locali, da un altro contadino, così come le materie prime che usa in cucina. Gli stessi contadini che fino a sessanta anni fa dovevano chiedere il permesso al parroco per lavorare alla domenica, perché era il giorno sacro.
“In poco tempo sono cambiate molte cose, ma molte altre sono rimaste uguali”.
La cosa bella dell’Alto Adige è che non vuole fare sparire chi lavora la terra, anzi: per loro sono state costruite strade agibili, e le loro case sono state tutte dotate di corrente elettrica. Pensate che mentre ero in macchina, ho visto la dimostrazione di un contadino mentre coltivava un orticello davanti ad una scolaresca della Scuole Elementari.

Andreas mi ha raccontato inoltre un fatto molto singolare riguardo il rapporto con la morte che hanno loro a confronto con quello degli italiani. Il suo hotel ha un affaccio sul cimitero, che è davanti alla chiesa. Bene, gli italiani non vogliono camere vista cimitero, perché “porta sfiga”.
“Ma come, vi sto regalando una vista sul futuro!”, sdrammatizza sempre Andreas.
Per gli altoatesini la morte non è da trattare in maniera distaccata, infatti hanno i cimiteri che circondano le chiese, così si possono andare a trovare i propri cari appena usciti dalla Messa, a differenza nostra, che li abbiamo “delocalizzati”.

Il giorno dopo ho bigiato un’altra attività balance dell’Alto Adige, il fitness tra i boschi, per visitare Terento e Berghila, azienda che dal 1912, sono ora alla quarta generazione, si occupa di piante e erbe, per produrre oli, caramelle, saponi, liquori.
Ho fatto visita sia al negozio, con davanti un grande e rigoglioso orto che “coltivano in maniera delicata”, sia alla fabbrica di produzione di olio di pino mugo, dove c’è sempre qualcuno pronto a spiegarti come funzionano le cose.

Io ho trovato Stefan, che mi ha mostrato come e dove si lavora il pino mugo, e che mi ha detto che con una tonnellata di pino si ricavano solo 2 litri e mezzo d’olio, ma che il resto non va buttato, bensì serve a riscaldare lo stabilimento e due hotel limitrofi.
Lì vicino ci sono anche un museo e una stanza dedicata al pediluvio al pino mugo.

Per concludere i miei due giorni in Sud Tirolo l’ho fatto nella maniera più “Lucia Del Pasqua” possibile, ovvero mangiando.
Sono stata al ristorante Sichelburg, praticamente dentro un castello, che è il simbolo di Falzes, e lì ho goduto dei piatti dello chef Mirko Mair a occhi chiusi e in religioso silenzio. Questo non è un posto da scorpacciate, ma un luogo d’arte, dove ogni piatto sembra costruito con la coerenza sensoriale, cromatica e materica di un’opera architettonica. Diffidente allo sguardo del primo piatto, appena ho assaggiato il primo boccone, è iniziata come una musica di Allevi nella mia testa.

Grazie a Peak Performance e Columbia Sportswear per avermi vestita
Trovate il mio viaggio anche nelle mie IG Stories in evidenza.

Comments are closed.
  1. Valeria

    21 June 2018 at 11:06

    il posto bellissimo per riposarsi e ritrovare le energie.

  2. Silvia

    10 July 2018 at 13:17

    Wow che bel posto! Ti fa proprio venire voglia di rilassarti e dedicarti a ció che ti fa più bene, mi vedo già lì con filo e ferri a sferruzzare i capi per l’autunno con i miei filati preferiti, (quelli di We Are Knitters!)