Atene in poco più di 24 ore

Atene in poco più di 24 ore

Chi mi segue da un pezzo sa bene quale sia il mio rapporto con la Grecia.
L’ho amata prima per metonimia, e poi per i suoi spigoli imbevuti di μέλι e costellati di sesamo, l’ho odiata perché quando il miele era finito, li ho sentiti tutti quegli spigoli, in ogni giuntura innervata ed articolazione, e poi l’ho amata di nuovo perché ho capito il suo essere del segno dei Gemelli, o forse dei Pesci: lei è un prendere o lasciare, ed io ho amaramente lasciato per farmi successivamente rapire nella maniera più dolce possibile.
Eppure Atene non è per nulla dolce; il suo segno zodiacale la vorrebbe pure amara, certo, il suo naturale contrario, sì, ma in questo caso il contrario di amaro non è dolce.
γλυκύπικρον, dolceamaro, era Eros, non Atene.
Atene è zucchero per i diabetici della spensieratezza e della festa, ma veleno per chi non la rispetta. È un secondo che si trasforma nella strega cattiva.
Non gne ne frega nulla di essere compresa, come a Jeanne Moreau in Jules e Jim, non si preoccupa di piacere o no, tanto meno di essere giudicata, solo di essere lasciata in pace nella sua quiete più apparente.
E nella quiete non più apparente, bensì reale, dopo due anni sono finalmente tornata in una delle mie città del cuore.

Honda verso Acropoli verso Acropoli

È stata strana la sensazione, una volta scesa dall’aereo, di sapere esattamente dove andare. Non mi capita nemmeno ad Arezzo. È stato riconciliante, come un orecchino a cerchietto che dopo tanto tempo con la chiusura rotta finalmente si serra, poter camminare verso la metropolitana sentendo il rumore dei miei passi battere in terra greca, e passo dopo passo, percepire le imbastiture del rapporto con lei sempre più rafforzate, lei con la quale in fondo non avevo nemmeno mai litigato.
Ho sorriso per qualsiasi cosa e persona mi proponesse nel mio cammino.
Già, appena arrivata ad Atene ho sorriso a tutti, perché tutti erano Atene.
E tutti sorridevano a me.
Ho mantenuto uno stato di incontenibile gioia ed estremo benessere fino al momento cruciale, su cui arrivo dopo, il Licabetto; io e lui abbiamo evidentemente una questione in sospeso, che credo non si sospenderà mai.
La gioia nel trovare Atene, già dall’aeroporto a casa, nel quartiere di Koukaki, sempre la stessa: calda, terrona, egocentrica, nostalgica, regina con una corona volutamente non splendente.
Capisci di essere esattamente dove ti trovi perché vedi i motociclisti senza casco, gli ospiti dei bar fumare tranquillamente, e qualsiasi locale, tradizionale o super alla moda che sia, stra-pieno.
This is Athens.

Yubaba Athens

Infatti Yubaba, il primo stop che ho fatto per mangiare qualcosa, era proprio così: alla moda per il suo essere splendidamente vintage, con fumatori dentro – fastidio – e meravigliosamente economico (lo scontrino mi è stato portato all’interno della bocca di un dinosauro giocattolo).
Andateci se avete visto Spirited Away, se siete dei moderni Peter Pan e se avete lo schiribizzo di suonare il campanello che c’è nelle reception degli hotel per chiamare la cameriera.
Meno economico, un po’ più pettinato, ma immancabilmente trendy, il ristorante dove ho poi cenato, tre ore dopo il pranzo, Ergon, nei pressi di Piazza Syntagma. Polpette alle zucchine e feta con tzatziki, cheese pie, calamari ed etti su etti di pane con olio: venti euro spesi bene.
Se volete fare qualche regalino gastronomico di livello, questo è il posto giusto.
Essendo arrivata alle cinque del pomeriggio, i miei tour si sono limitati ai locali, riservando il giro della città al giorno dopo (anche perché poi quello dopo dovevo ripartire), dunque ho terminato la prima sera al The Trap, proprio in piazza Syntagma, per assaggiare uno dei fantasmagorici cocktail di Yiannis Samaras, bartender eclettico, posato, ma allo stesso tempo con-un-vulcano-in-testa, conosciuto all’evento Campari.
Il The Trap è un locale figo. Punto. Dai lavandini in pietra alle stesse divise del personale tutto è curato nei minimi dettagli, e tutto è di quel cool che non ti stufa, anzi. Puoi scegliere i cocktail da un libriccino di drink che paiono infiniti, o puoi anche farti consigliare. Nello stesso libretto trovi pure una mini guida di Atene, di altri bar e caffetterie. Gente che fa le cose per bene.
Musica che ti fa ballare e ottimo bere insomma: qui dovete andare per forza.

Bel Ray Bar

La mattina successiva, dopo la colazione al Bel Ray Bar, che come stile è un po’ l’Otto di Milano, da Koulaki ho camminato fino all’Acropoli, senza andare a visitare la parte vecchia (anche perché, giuro, ogni volta ci faccio degli scivoloni che non potete capire), in direzione di Anafiotika, una delle parti più suggestive della città, che te la fa immaginare un’isola.

Acropoli Atene acropoli

Inutile dire che ho perso un’ora davanti ad un edificio abbandonato, con dei micetti che dormivano tranquilli, tutto materiale per il mio The Nostalgic Traveller.

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Dalla calma di questo quartiere mi sono calata nel delirio di Monastiraki, dove c’erano delle macchine con apparecchiate sopra qualsiasi genere di chincaglieria, suppellettile, giocattolo o libro. Sinceramente ho avuto un flashback, sentendomi ancora una volta ad Aourir, il villaggio delle banane in Marocco, per tutto quell’incredibile caos.

verso Monastiraki
Vecchie macchine da scrivere, poltrone, scatole di latta: trovi tutto al mercatino di Monastiraki della domenica.

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E dato che Atene è donna dal multiforme ingegno, ho sgambettato poi fino al quartiere di Kolonaki, che sembra un’altra cosa ancora: se Monastiraki è una signora in ciabatte che bercia, con i capelli scompigliati fuori dalla crocchia e un severo vestito nero slavato qua e là, Kolonaki è una discreta ed elegantissima κυρία che preferisce parlare sottovoce, indossare abiti sartoriali, che magari fanno anche intravedere una tetta rifatta, e prendere un caffè sorseggiandolo accuratamente con la punta delle labbra.

oldsign Unica

A questo punto vi ricordate il momento cruciale di cui vi ho parlato? Ecco, ci siamo.
Il Licabetto è un’altura che mi ha sempre messo inquietudine, specie se visitata di notte, dunque non potevo non verificarne il suo effetto anche stavolta.
Zaino in spalla, pit-stop yogurt al bar del Licabetto e santi Numi, eccola la vista dell’onnipotenza.

from Licabetto

yogurt licabetto

Ogni volta che salgo verso la vetta, m’immagino di andare incontro ad un giudizio divino; scalo, mi fermo, mi stanco, mi auto-motivo, mollo, riprendo la salita. Non è forse così la vita?
Credo di aver sentito un rullo di tamburi, tre scalini prima di raggiungere il posto X, poi una bacchetta s’è evidentemente staccata dal tamburo per sbattermela nel cuore. Smashing heart.
Eccola la signora. La terzultima volta nuotava in un mare di perle, una distesa di case sbirluccicanti al sole cocente, quasi a farle scoppiare, la penultima era stata presa d’assalto da Nerone, era buio e la città sarebbe andata a fuoco da un momento all’altro, la catastrofe incombeva.
Anche stavolta il cuore non l’ho sentito per un po’, aveva smesso di battere forse per colpa della bacchetta del tamburo, e la sensazione di sospensione era la stessa di sempre, anche se stavolta Atene non sarebbe né bruciata, né scoppiata, ma le sarebbe comunque successo qualcosa. Credo che cosa non lo capirò mai.
La troppa calma del tramonto, i colori sbiaditi che rivestivano quella massa irregolare e fitta di case e cose, come sempre erano un presagio di disagio.
La bellezza spiazza, a volte crea malessere, no? Ma Atene non rientra nei canoni standard della bellezza: non è armoniosa, non ha le forme al posto giusto, e non sta ore ed ore davanti allo specchio. Tuttavia sono la sua sicurezza, la sicurezza in tempi incertissimi, il suo orgoglio, la sua spocchia, il suo essere volutamente e fieramente diversa, che la rendono irresistibile.
Ho sbattuto forte gli occhi un paio di volte, e ho sorriso tirando un sospiro di sollievo: quel senso di lieve terrore mi ha paradossalmente rassicurata. Le donne con le palle fanno paura, ma sanno sempre cosa vogliono.

licabetto

suset Licabetto

Il mio secondo, lunghissimo e ultimo giorno si è concluso a cena alla Fabrica tou Efrosinou: ambiente curato, dettagli vintage, cibo ottimo e prezzi non proprio abbordabili.
Stavolta non ho affatto detto “addio” ad Atene, bensì arrivederci. Ho le mie isole, la mia isola da rivedere. Questo è poco ma sicuro.

Vedi il video 24 hours in Athens

 

 

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