Citröen compie 100 anni, e fa un regalo a me

Citröen compie 100 anni, e fa un regalo a me

Viaggiare con macchine d’epoca è una sorta di stato mentale, tra lo zen e l’incosciente. Il detto comune da far proprio è “chi va piano, va sano e va lontano”, la credenza popolare è che ad un certo punto l’affascinante ma capricciosa vettura potrebbe volersi fermare per non ripartire più.
Bè, i nostri “cavalli” non solo non si sono mai fermati, ma instancabili hanno scattato e scorrazzato alla grande per strade e viottoli francesi.

Per i cento anni di Citröen, la Maison del double chevron ha festeggiato, in realtà, facendo un regalo a me: coinvolgendomi in un road trip alla vecchia maniera, da Milano a La Ferté-Vidame, facendomi fare la spola tra una rombante Visa, macchina che voleva ritornare nel futuro a tutti i costi, e una rampante Dyane 6, bolide che ci esigeva tutti in jeans. Anni Ottanta e Sessanta assieme, viaggiando in uno stato per niente zen, semmai entusiasta, e con l’azzerata sensazione di essere un’incosciente, dato che la semplicità di queste macchine le rende anche ampiamente comprensibili (parola di una che guida regolarmente una moto d’epoca).
Comprensibili e capaci di farti immaginare mondi passati più o meno fedeli e veritieri.

La Visa Chrono in quattro e quattr’otto mi ha fatta davvero Ritornare nel Futuro, anzi nel passato. Nata nel 1982 lei, quasi coetanea, come serie speciale di 1000 esemplari riservata al mercato francese, fu poi personalizzata nelle tinte dei Paesi di destinazione: bianco, rosso e blu per la Francia; bande laterali nere, rosse e gialle per la Germania; e così via. Questa è la numero 102, con tanto di tricolore, ed è stata trovata presso un’officina Citröen di Siena. Oltre che coetanea, quasi compaesana. Una toscana che mi sono immaginata regalarmi un Moncler, dotarmi di Cipster e Coca Cola, e perfino d’una musicassetta di Ambra Angiolini, volermi tingere i ciuffi davanti di viola, e farmi scrivere da qualche parte con l’Uniposca un “TAT”. Sono pazza? Allora ringrazio la follia che m’aiuta a sognare.

E insomma, siamo saliti in Francia da Milano passando per il Traforo del Monte Bianco, fermandoci a Lione, di cui abbiamo visto la storica Brasserie George (c’è dal 1836) e il Garage Citröen, costruito tra il 1931 e il 1932 da Andrè Citröen per essere il garage più grande al mondo, e che oggi è un centro direzionale che ha voluto recuperare l’identità originale mettendo un’insegna che omaggia la Maison francese, grazie ad un consorzio di nostalgici imprenditori.

Da Lione abbiamo raggiunto prima Lapalisse e poi Clermont Ferrard, attraverso la Nazionale 7, la strada che negli anni Sessanta veniva percorsa dai francesi per andare al mare, e dove c’era sempre un traffico allucinante. Adesso ridete pure se vi dico che a Lapalisse tutti gli anni c’è un raduno che simula l’ingorgo degli anni addietro, con gli autoctoni che offrono vivande e sorrisi.
Ah, la Nazionale 7, quante emozioni regala – di sicuro tante alle fashion blogger, visti i campi di grano con rotoballe annesse, e girasoli sgargianti – ma di più a me che l’ho attraversata assieme ad uno stuolo di DS con il naso all’insù e festaiole 2 CV Soleil.

A Clermont Ferrard c’è una tappa obbligatoria da fare, L’Aventure Michelin, il museo della Maison, legata a Citröen dagli anni Trenta agli anni Settanta, dove s’apprezzano oltre svariati pneumatici, storie e leggende d’invenzioni, corse e macchine.
Il secondo giorno, da Lione a Nevers non so quante ore di macchina abbiamo macinato, ma forse sono direttamente proporzionali alle rotoballe sparpagliate per la N7. Di sicuro grazie alla Dyane 6 decappottabile mi sono guadagnata diversi nodi tra i capelli, quell’inspiegabile (e deve rimanere tale) senso d’avventura, e un riscoperto amore per forse l’unica cosa più vintage di tutte, la lentezza.

Il terzo giorno, nella città di Edward Mani di Forbici, Nevers, si sono aggiunte altre vetture, ruspanti 2CV e scicchettose DS, con le quali sfilare tra campi e paeselli che fino a che non li vedi non credi possano essere veri, fino a Chartres.
Che meraviglia la 2CV, prodotta dal 1948 al 1990, la macchina che poteva fare battaglie ed armistizi assieme, e soprattutto che era in grado di portare un paniere d’uova senza romperne manco una. E poi lui, lo squalo, il bolide di 5 metri che vorrei nel set se fossi una delle protagoniste di Mad Men, la DS, un gioiellino tale che il giorno stesso della presentazione al Salone di Parigi del 1955 ben dodicimila persone firmarono il contratto per acquistarne una. Io avrei fatto i debiti. Il designer Citröen, il buon Bertoni, detto anche l’“Italiano Furioso”, lo disegnò con una forma ispirata a quella del corpo dei pesci: affusolata, più schiacciata dietro e più bombata anteriormente. Altro che pesce, altro che squalo, è una sirenetta.

Insomma, a bordo della Visa Chrono, vista panoramica con DS e 2CV, abbiamo navigato ancora per la Nazionale 7, grazie alla quale ho capito perché i francesi mangiano baguette a tutto spiano (taglia migliaia di campi di grano), fermandoci prima a Gien per un pic-nic, e poi a Chartres. Quest’ultima un ibrido tra la romantica e multiculturale Francia, la rigorosa Austria e l’Italia salentina del bianco che più bianco non si può, con una regina che zittisce tutti, la Cattedrale gotica, patrimonio Unesco, che di notte diventa una lucciola alla fashion week (viene illuminata con degli splendidi giochi di luce).


La Ferté-Vidame, finalmente ci siamo arrivati. Ed io l’ho sentito tutto quell’avvicinarsi al Nord della Francia, l’indecisione tipica nell’indossare il grigio fumo o il giallo sole, per finire col cambiarsi di continuo. Altro grano accarezzato e minacciato da Crono, onnipotente sì, ma non in grado di scalfire la loro bellezza, altri tetti che arrivano quasi giù come il girotondo che casca giù per terra.

Provate a immaginare. Io che faccio a fette con la Citröen Visa quei campi che diventeranno baguette per poi farmi una scorpacciata di storia della Francia, costruita grazie a racconti di altre persone di altri Paesi. La Ferté-Vidame è la segretissima pista Citröen, acquistata da Michelin nel 1938, palcoscenico per tre giorni di sfilate d’eleganza, curiosità e bellezza. Le reginette, ovviamente, centinaia di macchine spettacolari: la Traction Avant, disegnata dal Bertoni dopo che s’era ispirato ad un cigno, e la cui aerodinamicità la rese la vettura dei criminali (famosa la “Gang della Traction”), la Ami6, frutto di una scommessa tra l’allora direttore Generale e Bertoni – vinse il secondo – puntigliosa e dolce allo stesso tempo (una delle mie preferite), la Méhari, un elogio alla lentezza per annusare strade sconosciute, il TypeH, il furgone che se fosse un cane sarebbe un mastino, che ha ispirato le “case per lo street food”, autobus da film costruiti esclusivamente per i dipendenti, e chi più ne ha più ne metta.

Quando ti riempi gli occhi di forme e colori, quando sobbalzi di continuo per un fanale che fa l’occhiolino e un volante abbracciato da eleganti fili chiari, arrivi ad essere sfinita dalla grazia.
Sono sfinita sì, ma anche ispirata e grata. Grata per aver viaggiato come una volta, con meno distrazioni quando ce n’erano di più, grata per aver apprezzato il valore del tempo e della fatica, grata per avere fatto il pieno di quadri che non ho fotografato. Alcuni quadri rimangono lì e basta, in basso a sinistra, nel cuore; li tiro fuori solo quando voglio restaurarne il ricordo, dato che sono preziosi assai.

Foto: Mauro Serra

 

 

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