La ragazza di campagna in “Una notte al Museo”: un film dei fratelli Cinzano

La ragazza di campagna in “Una notte al Museo”: un film dei fratelli Cinzano

Il Cinzanino me lo ricordo sulla tavola lunga in legno della nonna a Natale. La tovaglia da bianca di inizio pranzo, crostini ai fegatelli e prosciutto salato toscano, diventava alla fine l’uniforme di un generale, con tante medaglie al valore di sugo, lesso, vino e olio di qualsiasi cosa, soprattutto di gomito, visti i giorni di preparazione del pranzo.
Al momento del pandoro e panettone, il mio preferito anche perché per me il Natale significa regime alimentare ristretto, dato che non mangio carne, la tradizione voleva che la mamma chiedesse al babbo di portare in tavola il Cinzanino.
Occhi semichiusi, spalle ripiegate e pugni chiusi erano tutti i sintomi dello stappo, e anche un po’ il risultato delle preghiere di non rompere qualche applique o lampadario.
Il successivo relax nervoso e muscolare coincideva con lo sbavare del vino dalla bottiglia, il culmine del simposio, e la condivisione sui calici puntualmente sbagliati.
Eravamo sempre tutti d’accordo che con il pandoro ci sarebbe andato a nozze lo spumante dolce, il Cinzano Asti D.O.C.G., tuttavia c’era sempre una pecora nera che preferiva quello secco, o chi non disdegnava nessuno dei due, mio nonno, che di vino se ne intendeva semplicemente perché ne beveva tanto. Credo gli sarebbe piaciuto anche mischiato con il caffè latte.

Comprendete dunque che quando Cinzano mi ha invitata a scoprire la sua storia, tra Torino e le Langhe, ho dovuto accettare innanzitutto per dovere di memoria. Storia che nasce 260 anni fa.
Due-sei-zero: è infatti nel 1757 che i Cinzano’s fondano una Maison fatta di famiglia, tradizione e italianità, cominciata con una bottega a Torino, il sodalizio con I Savoia, proseguita con l’espansione per il mondo grazie a Giuseppe Lampiano, un venditore che viaggiò per tutte le parti del globo per far conoscere il marchio (e ci riuscì), fino alle nostre tavole.

 

Per raccontarci le origini e l’evoluzione della Casa, l’azzecatissima location prescelta è stata la Società Canottieri Armida, una delle prime società di canottaggio italiane, nata nel 1869 sulle rive del Po, esattamente il punto di inizio da cui Cinzano iniziò a conquistare il mondo (le blogger direbbero thank you Giuseppe Lampiano).
Non so descrivere esattamente il Club con migliore aggettivo se non con thenostalgictraveller; vecchi mobili, trofei e premi ovunque, poltrone che sarebbero potute essere della mia nonna snob di città, romantica vista sul fiume, quel sapore splendidamente d’antan, e Vermouth, misurati e composti bicchieri di Vermouth 1757 (liquore artigianale che segue un processo di maturazione autentico e tradizionale, nato per rendere omaggio ai padri fondatori del marchio, Carlo Stefano e Giovanni Giacomo Cinzano).

In quel momento Cinzano mi ha fatto innamorare di quello status un po’ da Club dove devi andare vestita di bianco o di blu, un po’ da alta borghesia intellettuale che s’incontra sorseggiando Vermouth Rosso nel Negroni, Bianco on the rocks, e Dry con del gin, parlando indistintamente di ciprie, belletti, libri e politica.

Dalla teoria alla pratica, il giorno successivo abbiamo vendemmiato.
Langhe, Madonna di Como: mentre la signora Metilde si adopera per confezionare i ravioli del plin, il signor Giuseppe (“80 anni più IVA”) guida il trattore con il cappellino Cinzano e la maglia Lacoste (uguale alla mia), il figlio Mario Sandri ci spiega come “funziona” la vendemmia.
Ci risiamo, l’Azienda Agricola Metilde che fornisce le uve a Cinzano, mi ricorda ancora la casa della nonna: il profumo della campagna, il silenzio della natura disturbato dalla natura stessa o da qualche motore in lontananza, il marrone del settembre e il verde quasi onnipresente, le donne di casa che lavorano in cucina, mentre gli uomini si occupano della terra.

L’unica differenza è che Mario è anche poeta, ha scritto ben 870 poesie. In casa mia abbiamo di tutto, da veterinari a contadini, ma non vendemmiatori-poeti. E tutto ciò è pura poesia, appunto.
La nostra vendemmia vera e propria è durata un’oretta, nel corso della quale mi sono immaginata nel film “Un’ottima annata”, per poi darmi della stupida, dato che io certe scene le ho vissute davvero, ne ho avuto il privilegio, essendo toscana. Ho immaginato di stare bene, sono stata bene, mi sono immaginata come sarebbe stato se la mia vita fosse stata lì, ho proclamato che la mia vita sarebbe stupenda anche lì, mi sono nutrita di passato, bellezza, genuinità, e anche di pane e formaggio e Brachetto D’Acqui, dunque ancora tanti ricordi. Ho rivissuto il momento della Merenda Sinoira (l’antenato dell’aperitivo sui campi, fatto di pane, salame formaggio e frutta), ma a tarda mattina invece che a merenda, ho parlato molto con il signor Giuseppe (“c’ho la casa più bella di qui, io”), ho respirato.

Dopo un giro torinese con macchine d’epoca con tappa a Villa della Regina, ho vissuto un altro sogno, e mi sono immaginata in un altro film, dato che ho cenato all’interno del Museo del Risorgimento, sorseggiando il nuovo Cuvée Vintage Cinzano Alta Langa (prodotto con una peculiare liqueur de tirage che regala sentori di mela golden e uva spina, con note di legno dolce e tabacco). In più ho visto una mini anteprima della mostra Cinzano: da Torino al mondo (dal 5 ottobre), con i pezzi d’arte che hanno fatto la storia del marchio, da Il Dio Pan di Adolfo Hohenstein a La Zebra di Leonetto Cappiello. Insomma, quando la pubblicità era arte, meravigliosa arte (mi sono pure commossa).

Giacca blu, pantaloni verdi, abito lungo: Momonì
Camicia: Mes Demoiselles Paris
Pantaloni a fiori: Beatrice B

 

 

 

 

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