In campeggio con il trolley, nel fiume con le scarpe

In campeggio con il trolley, nel fiume con le scarpe

“Io in campeggio mai nella vita”: le ultime parole famose.
E ancora: “Non sono fatta per ciabattare con supporti per i piedi da tedesca, scarrozzandomi uno zaino con un pentolino di latta attaccato da una parte e un paio di scarpe per i percorsi difficili dall’altra, con il rischio di sclero molesto per l’assenza dell’amico bidet e la presenza massiccia delle nemiche succhia-sangue che si presentano puntualmente a ufo. 
Come diavolo si permettono. Per i capelli invece sono apposto, del phon faccio volentieri a meno un po’ ovunque. La Dyson difatti, non mi avrà mai”.

Insomma, si va in campeggio con Burton passando dal Lago D’Orta, per una girata, un bicchiere di vino e una mangiata di formaggi, c’è chi parte in moto, le Ducati Scrambler, e chi con le Jeep.
Dato il mio terrore nel costringere la carovana ad andare a 50 all’ora, mi sono fatta scarrozzare in macchina, per arrivare in grande stile con un trolley. In campeggio.
Oh, nessuno mi aveva detto che avrei dovuto presentarmi diversamente.
Effettivamente il trolley sull’erba non va.

Dai, facciamo rafting.
Mi avevano detto che sarebbe stato, nell’ordine: pauroso, faticoso, impegnativo. Gli ultimi due li ho comunque considerati sinonimi.
Insomma, mi dicono ottantadue cose, ne capisco tre, mi rifilano una muta smanicata, e mi spediscono a reggere i remi del mio canotto dal pulmino al punto G (dove G sta per Go).
Mi prendo la briga di fare le squadre, con il mio criterio preferito, che è quello casuale, fino a che Jasmine, la mia guida, dice a tutti di buttarsi sul fiume con le scarpe.
Mi tuffo per prima perché la fregola di nuotare con le scarpe assieme a quella di assaggiare l’acqua di fiume, diamine, è come dinamite nel cervello, e addio, capisco subito che questa cosa del rafting mi garba eccome.

In cinque minuti i frammenti sparsi di parole che mi aveva sparpagliato la guida diventano un pezzo unico e chiaro, come i puzzle di New York costruiti sul tappeto del salotto dal più bravo a fare i puzzle, perché in famiglia o nella compagnia di amici c’è sempre un campione di puzzle, che è molto probabilmente qualcuno diverso da te.
Insomma da lì è tutto un tuffo, buttati dentro, rema, nuota fino lì, stop.
Ho anche azzardato un salto di sei metri, che in occasioni diverse avrei bypassato con un dignitoso retromarcia.

Io che in genere apprezzo la natura di più in solitaria ho dovuto fare una cosa che le donne del Leone non amano tantissimo fare, ovvero ricredersi.
Lo spirito di squadra è stato essenziale per poter sbatacchiare sul tavolo quel 10 e lode di voto all’attività del rafting.

Il primo giorno si è concluso così, a tomini e melanzane grigliate, leccornie al fuoco seguite da un gioco con dei chiodi e un martello, che sinceramente non ho ancora capito.
Contro ogni mia aspettativa ho dormito in tenda, e c’ho dormito bene, tuttavia solo dopo essermi ficcata dei tappi nelle orecchie, perché il rumorino del fiume m’avrebbe costretta a fare la spola cesso-tenda per svariate volte. Sono una ragazza sensibile da quel punto di vista.

Il giorno dopo visita a Varallo in moto. Signore Gesù, perché ho provato la Scrambler? Una biciclettina leggera leggera che frena, curva, e non sente le buche. Per me che ho una moto del ’77, praticamente una rivelazione spirituale. Esaltazione, gaudio e a tratti, pennellate di incredulità.

Poi la mountain bike. Evviva la mountain bike su sterrato e sassi.
Evviva talmente tanto che tempo venti minuti mi sono trasferita con la mia bella bici sull’asfalto. Dico io, perché complicarmi la vita, se ai sassi esiste una comodissima alternativa liscia e più veloce?
Infatti, grazie al mio asfalto sono passata per paesini meravigliosi come Alagna e Mollia, 93 anime, diverse insegne degne di nota, un improvviso porticato da urlo e casette da finta scenografia di montagna, tale era la precisione.

 

Al ritorno dal giro in bici mi sarei tanto voluta lavare prima di tornare a Milano, ma mi hanno detto non essere nello spirito del campeggio, quindi sono rientrata gasata, con un gelato in bocca e le ascelle commosse dall’incredibile esperienza dei miei due giorni all’insegna dell’outdoor.
Adesso sono anche dotata di un sacco a pelo, lo zaino ce l’ho, non ho più scuse. E si va in moto. Senza trolley.

 

 

 

 

 

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