Come As You Are, senza filtri (Instagram), senza inganni

Come As You Are, senza filtri (Instagram), senza inganni

Ho vissuto un’infanzia felice.
Idem l’adolescenza. Non ho drammi da raccontare. Nessuna separazione dei genitori, nessuna esclusione da parte di compagni di scuola, nessun disagio fisico o psichico insomma.
Non mi sono mai rintanata in camera al buio ad ascoltare i Nirvana o i Prodigy, non avevo cupe velleità da artistoide tormentata, da grande non sarei voluta essere un’intellettuale, ma una che scriveva. Mi piacevano le Spice Girls e andavo volentieri al parchino sotto casa dove poter fare girare a manetta il Frullo.
Sono sempre andata contro tendenza essendo felice a fare un po’ lo struscio per Arezzo prima con le Palladium e poi con le Airmax Silver, e un po’ a giocare a fare i mangiarini con l’acqua e il fango a Ponte Buriano.
Andavo molto bene a scuola, ero molto brava a ginnastica, ero brava a teatro, avevo le mie amiche.  Mi piaceva pure stare in magazzino dalla Sisley a controllare la merce e giù in negozio a mettere apposto le grucce. Avevo sedici anni.
Fino ad allora sono sempre stata esattamente come volevo essere. Libera.

Poi mi sono trasferita a Firenze. Finalmente sarei diventata grande sul serio, città nuova, scuola nuova, amici nuovi.
Ero esaltata.
E invece.
Siamo abituati ad associare i fenomeni di bullismo ad un’età non troppo matura, o comunque a bambini e ragazzi fino all’età da Liceo. Solo molti anni dopo ho realizzato di essere stata vittima di bullismo all’Università, e di essere stata molto male. Perché? Non mi sentivo più libera di essere quella che ero.

“Sei grassa”, “Noi andiamo da Dior a comprare l’ultima borsetta – coi soldi del papi – te no”.
Io no. Io ero povera e grassa, ovvero una taglia 42.
Come improvvisamente sbagliai amicizie, decidendo inconsciamente di voler crescere troppo in fretta, sbagliai forse scuola, o capitai comunque con dei compagni di corso sicuramente sbagliati, mi sentivo in colpa perché stavo facendo esattamente tutto quello che in realtà non avrei mai voluto fare, quindi feci la cosa che per me era più ovvia: scomparire.

Diciamo che dimagrì parecchio.
Grazie ad una ragazza incontrata per caso o per volere divino, o per chi per loro, tornai a mangiare la pizza senza togliere la mozzarella e l’insalata con due litri d’olio. Ma di questo ve ne ho già parlato.
Mollai Firenze, non mandai a quel paese i miei compagni, anche se li ho sempre odiati, e credo che li odierò un po’ sempre, ma decisi di rinascere come quella che ero prima, una volta trasferita a Milano.

Il perché di questo mio racconto ve lo dico prima della fine: mi hanno chiesto cosa pensassi della campagna CAYA, ovvero Come As You Are di Crocs, i cui testimonial sono Drew Barrimore (la amo, ho appena finito di vedere Santa Clarita Diet, tra l’altro), e John Cena, che per chi non lo conosce è un wrestler e attore americano, un armadio d’uomo.
La campagna celebra l’unicità degli individui e ispira a stare bene nelle proprie scarpe, ovvero sprona ciascuno di noi ad essere se stessi (e a stare bene così).
Che posso pensare? Che cerco di sparpagliare al mondo questa filosofia, questo modo di vivere da anni.
Adesso che avete capito perché vi stavo raccontando la mia storia, vado avanti.

Arrivata a Milano, più di dieci anni fa, trovai lavoro, e nel frattempo aprì un blog, il mio primo blog.
“Ma sei pazza a scrivere le tue cose su Internet?”
Sì, no, ho comunque sempre continuato a farlo, stavolta niente e nessuno mi avrebbe fatta scomparire.
Aprì il mio secondo blog, era il momento del boom dei fashion blog, che da figata diventano così mainstream da dare più sui nervi che la sabbia nel letto.
Nel mentre lavoravo. Class, MTV, Conde Nast, scrivo su siti e giornali, persino un libro, e il mio blog rimane sempre.
E quando mi chiedevano cosa facessi nella vita, a Milano te lo chiedono sempre, io non ho mai detto giornalista, ma fashion blogger.
E tutti alzavano gli occhi al cielo, dicendo o pensando questo: “Eccola, l’ennesima bimbaminkia senza cervello che si fa fotografare dal fidanzato cagnolino e che scrocca tutto lo scroccabile”.

Ma io non volevo scomparire, anzi, volevo combattere ogni pregiudizio, mettendoci la faccia, la mia faccia che adesso ha persino una ruga sulla fronte.
Non siamo tutte bimbeminkia, e comunque io sono anche questo, una blogger.
Allora cominciai ad enfatizzare una mia caratteristica: dire sempre ciò cosa pensavo. In un’era di marchette dove devi dire per forza che tutto è figo, bello, top, cool, non è certo una scelta facile.
Ma io ero, sono così.
Sono stata bannata da alcuni brand. L’ho vista come una vittoria.
Sono stata messa da parte a favore di altre colleghe “ladre”, perché acquirenti seriali di fan finti. L’ho vista come una sconfitta. E certe volte la vedo ancora come tale.
Ma io ero, sono, e spero sarò sempre così.
Ancora continuo a dire di essere una blogger, e dunque certe volte a vedermi snobbata per questo, e a dire tutto quello che penso.
Dopo i trenta il cuore ha fatto evidentemente pace con la mia testa, decidendo di fare tutto quello che mi sarebbe piaciuto, ma con prudenza. Di seguire le mie passioni, nuove e vecchie, ma con criterio.
Mi sono comprata una moto, nessuno vuole girare con me perché vado troppo piano e non so fare le curve, mi sono avvicinata al surf, non sono brava, ma mi da sensazioni inedite e mi fa apprezzare la forza della natura, a volte temendola, ho cominciato a fare yoga, non per meditazione ma per “mera” elasticità fisica, e non sono brava manco in quello, mi piace lo skateboard, ci vado malissimo, ma ci vado perché mi piace.

Essendo una millennial e una blogger, uso tutti i social possibili. Tuttavia non utilizzo filtri fotografici per togliermi pezzi di fianchi o aggiungermi etti di culo, anzi, vado contro tendenza usando filtri per invecchiare le foto.
Faccio molto sport e mangio abbastanza bene, ma ho la cellulite, nel mio libro le ho pure dedicato un’ode, ho le spalle troppo grandi, le gambe non proprio femminili perché molto muscolose.
Ma mi piaccio così, e non vorrei mai essere come le altre. Soprattutto voglio apparire per come sono, non per come gli altri vorrebbero che fossi.
E se mi voglio vedere fisicamente diversa mi basta o cambiare colore di capelli, trucco, o look, e se voglio cambiare idea, mi voglio sentire libera di farlo, senza essere etichettata come una “volta-bandiera”.

Capite ora perché ho così tanto a cuore la campagna “Come As You Are?”
Perché in un mondo in cui così poco è come sembra, in cui vigono certi canoni e pregiudizi, bisogna riprendere il controllo della situazione, e capire che la perfezione non solo non esiste, ma non è nemmeno quella mostrata dai social network, o da certe bambole di plastica nella vita reale, e che non consiste nell’omologazione, e non parlo solo dal punto di vista fisico.
Sono consapevole che sia più difficile essere se stessi, bisogna lottare un po’ di più, paradossalmente, ma la bellezza, il fascino stanno principalmente nell’unicità.
La pecora nera del gruppo si ricorda perché nera appunto. O no?

 

 

 

 

Comments are closed.
  1. giulia

    7 June 2017 at 10:10

    Ormai ho fatto mia una frase di Alda MErini: FATTI UN DONO VERO, RESTA ESATTAMENTE COME SEI….e si magari essere se stessi può essere un pò più complicato ma vuoi mettere mantenere la tua identità sempre?

  2. Sandra

    14 June 2017 at 8:06

    Tesoro mio, Come As You Are, e tu sei perfettamente imperfetta. Meravigliosamente unica. un abbraccio.

    • Lucia

      15 June 2017 at 9:31

      Sandrina mia <3