La controcorrente bellezza della routine del viaggio

La controcorrente bellezza della routine del viaggio

Ci sono dei posti in cui passi tutte le tue estati, mediamente dai 0 ai 16. Sono quei luoghi in cui i genitori ti portavano per stare nello stesso posto, incontrare le stesse persone, bambini e adulti che anno dopo anno cambiavano colore di capelli, altezza, e raramente stile, ripetere con la serenità dell’abitudine gli stessi giri, tra cui prendere la medesima granita nell’identico posto, e andare a pattinare sulla pista all’altezza del bagno 50, circa.
Era bello così, la sorpresa del soggiorno era non farsi cogliere impreparati, non correvi mai il rischio: era bello perché tutte le estati potevi mangiare il bombolone alla crema a metà pomeriggio con i bambini che diventavano adolescenti, brufolo dopo brufolo, e giocare a carte la sera tardi con i nonni che rimanevano nonni, e rimarranno tali.
Poi cresci e non vedi l’ora di andare quasi nello stesso posto, ma da sola, da Rimini a Riccione, per poi lasciarti ammaliare dall’atmosfera mainstream e spilla-soldi di Formentera, fino ad arrivare ad un’età in cui sei in grado di pigliare un mappamondo e scegliere la tua prossima meta per dei motivi per precisi.
Arrivano i trent’anni.
Due anni fa presi dunque il globo con un’idea ben specifica che mi sbatacchiava per la testa: il surf.
Francia, Portogallo, Italia. E invece scoprì Somo, in Spagna. Partì da sola, solo dopo mi raggiunse una mia amica. Subito dopo la vacanza ripartì ancora, sempre da sola. Era amore.
Certe volte quelle “cose” che si trasformano in passioni ti lasciano da sola: preferisci startene per i fatti tuoi e dare ascolto a ciò che ti riempie cuore e anima assieme, che condividere qualcosa che per te è banale con qualcuno.
Scopri solo successivamente che non sei sola, ma con lei, appunto la tua passione. Ed è bellissimo, perché è un altro tipo di compagnia, apparentemente assente, ma che in realtà c’è sempre, non ti abbandona mai, e ha così rispetto di te che mai ti tradisce.

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Da Somo mi spostai a Loredo, un villaggio che è una strada, che non ha niente delle tipiche cose che piacciono a me, insegne vecchie ed edifici abbandonati.
Tuttavia è diventato quel posto in cui, da grande, vado più e più volte durante l’anno, per assaporare quella cosa che prevalentemente solo da bambino o da grande puoi apprezzare: la routine.
A Loredo ormai conosco (quasi) tutti, e mi piace sia così.
Ho la mia surf house, la mia scuola di surf, i miei fantastici insegnanti, con cui parlo di politica, società e diverse culture, il mio oceano, i miei posti dove vado a mangiare, le mie cose.
In realtà Damian e gli altri ragazzi della Escuela de Surf La Curva sono diventati più che insegnanti, e la surf house una splendida e grande casa in Spagna dove ho il mio letto e dove incontro e conosco sempre persone interessanti da tutto il mondo. Ho persino il mio pezzettino nel frigorifero comune, che se vedo già occupato m’infastidisco.

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Tuttavia nonostante le mie mille volte a Loredo, scopro sempre, incredibilmente cose nuove.
L’ultima volta, nonostante Damian si sia cervellato per portarci in spiagge mai battute, ad Ajo e Noja, le onde non erano bellissime, troppo alte e troppo violente per i miei gusti.
In quattro giorni ne avrò prese due in tutto. Ma con il tempo ho capito che il mio obbiettivo con il surf è divertirmi, non esagerare, non mostrare niente a nessuno, vivermelo con equilibrio, senza dover necessariamente sfidare me stessa andando incontro alla paura. La paura mi fa paura, quindi a volte la evito.

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Quindi ho avuto tempo di fare altro, come ad esempio passeggiare: ho scovato un sentiero, che è poi anche quello del Cammino di Santiago, che da Loredo porta a Langre, passando dall’aperta campagna, a scogliere a picco fino a pseudo boschi, tutta questa meravigliosa disomogeneità coerente in circa un’ora.

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Parlare con gli altri abitanti della casa a lungo: mi sono imbattuta in Germain, un bellissimo ragazzo di ventidue anni delle Reunion Islands (le mie amiche impazzite), studente – e docente – di matematica, fisica e pure cantante, che ha deciso di stare nella surf house per un periodo lungo, lui con il surf.

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Apprezzare l’esistenza di una stilista di talento con il suo atelier appena fuori il paese: Trinidad Castillo è una dolcissima designer che imbastisce sia collezioni proprie, che abiti sia su misura. Come vedete dalle foto sono totalmente il mio stile (ecco, Damian in quel caso, da insegnante di surf è diventato il mimo fotografo).
“Trinidad perché a Loredo?”
Perché davvero: il suo atelier accanto ad una pompa di benzina e davanti ad un’officina è così apparentemente stridente che finisce in misteriosa armonia.
Perché lei ha provato ad andare nelle città più grandi, ma alla fine è tornata a Loredo, “anche nei paesi si può fare la stilista”.

Andare dal fruttivendolo e scoprire che se becchi l’ora di punta è peggio che la tangenziale a Milano, capitare quella volta in più al supermercato che altrimenti trovavi sempre chiuso e valutare, ogni volta, l’ipotesi dell’entrata in guerra della Spagna, con il conseguente razionamento, dato che certi scaffali, a rotazione, sono sempre vuoti.

C’è un mistero cullato nel io innamoramento di questo posto, volta dopo volta continua a rimanere tale.
Forse perché appunto è un mistero.

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  1. Valeria

    24 April 2017 at 8:55

    post bellissimo e foto stupende! 🙂