Tu c’hai le favole con il disincanto al posto dei titoli di coda

Tu c’hai le favole con il disincanto al posto dei titoli di coda

Chissà com’è.
Lo sai bene, Camilla, com’è.
È come quando da piccola ti raccontavano sempre la stessa favola, e tu fino alla fine auto-decidi di non sapere la fine. E invece la sai eccome, ma ogni volta sei capace di stupirti per la stessa identica cosa.
Sono sempre due le varianti: o che vissero felici e contenti, o che il più forte vince sul più debole.
E tu ti addormentavi felice, sicura che il bene avrebbe sempre vinto sul male.
Poi Camilla, sai, uno cresce, e le cose cambiano. Le favole si trasformano in storie, cioè non si può dire storie (hai imparato che è sempre meglio non dire quella parola, mette paura), chiamiamoli episodi, e cambia anche la fine, che per te è più o meno sempre la medesima.
Diciamo pure che tu vivi un altro tipo di favola ma senza la magia finale. O sei egoista, o sei stupida. Sei stupida.
Tu c’hai le favole con il disincanto al posto dei titoli di coda.

Nell’amore non ci credi più, hai fatto del cinismo il sale della vita, anzi il pepe, è quello il tuo salvagente invisibile che hai. Quando lo apri lo vedi solo tu, ma ogni volta ti salva dalla tragedia, e ti fa galleggiare in quel mare di incomprensibilità, come tu dici.
Perché la verità, Camilla, è che tu non capisci mai niente. Arrivi alla fine che secondo te la volpe viene giustamente castigata perché si ruba l’uva, poi nella realtà dei fatti vince sempre quella stronza, e tu rimani senza uva e a bocca asciutta.
Sai cosa c’è che non va in te? È il tuo dannato entusiasmo. È lui che forse ti offusca la vista, che ti mesce la realtà con la tua immaginazione, che riuscirebbe a trainare perfino un bradipo con la febbre a quaranta. Sei così presa dall’euforia ogni volta, dalla tua iperattività che non puoi non trasmetterla agli altri, e quindi non ti accorgi che negli altri c’è qualcosa che va.
Ma che in realtà è in te.

Ti arrabbi un sacco quando le amiche ti dicono sempre la stessa cazzata da anni del “ma lui non ti merita”, perché che ne sanno loro. Che ne sanno loro di com’era lui, di come eravate voi.
Ti arrabbi un sacco con te stessa quando, per l’ennesima volta, arrivi al point break, al punto di rottura, quando tu invece sei ancora nella fase di costruzione del Lego. Non certo di distruzione.
Un po’ come in mare: tu ti vedi remare contro le onde per non prendertele in faccia e fare la lavatrice, in realtà sei proprio lì sotto dove le onde rompono, e tu ad un certo punto, all’improvviso, ci finisci dentro e non respiri più.
Dove diamine è il tuo salvagente?

Ormai non sai più davvero come spiegarlo che nell’amore non ci credi più, e che tu non t’innamori più, non ne sei capace, e bada bene, stai da dio così. Solo io lo capisco, Camilla. Io e Tiziana. E poi, perché se ce lo dici tu, ci crediamo.
Ormai non sai più come dirlo che alla tua età, hai più di 35 anni, ciò che conta è stare bene, condividere, parlare, giocare, e non avere il batticuore al primo appuntamento.
Non credi sia necessario. Credi invece nel verbo “fare”, è più che altro una specie di filosofia, non religione, a cui aderisci da quando sei piccola. Tu stai bene se fai, e se coinvolgi le persone che fanno, e che lo fanno poi con piacere. Tu stai bene con l’aranciata o con il vino, con la pizza o il tonno scottato alle erbe, con i tamarri e con quelli con la camicia con le iniziali, no scusa, con quelli no, tu stai bene un po’ con tutti, ma ne scegli poi pochi per fare. Per fare davvero. E sono quelli apparentemente più diversi da te, che non hanno nulla a che vedere con il tuo mondo.
Eppure non c’hai mai creduto al fatto che “gli opposti si attraggano”. E perché non continui a non crederci? Perché sei scema.

Dunque bella entusiasta, curiosa di scoprire differenze e mondi a te paralleli che evidentemente ogni tanto diventano anche perpendicolari, ad un certo punto, quando tu sei nella perpendicolare a cento all’ora, con i finestrini abbassati ed una canzone dei Red Hot Chili Peppers, candando beata a squarciagola, sbatti contro quell’altra parallela, che ti sbatacchia nella tua di parallela e bam, incidente.
L’incidente di percorso che in realtà è l’incidente di fine percorso.
E tu cara Camilla, fino a quando non ti tamponano, non te ne accorgi mica, che viaggi con il vetro oscurato e sporco, ti sembrava bello pulito a te.

Niente, non lo sai. Non lo sai, non l’hai mai saputo, Camilla, cosa vogliono gli uomini da te. E perché, ad un certo punto, quel punto del finestrino lindo per te e sporco nella realtà (o per gli altri, non l’hai ancora capito), ti scrivano tutti un messaggio che dice “ti devo parlare”.
A quel punto lì tu eri ancora nella giostra a ballare, a giocare al gioco del semplicemente stare bene. Insieme.

E poi pensi sempre al paradosso: da quei messaggi lì ti-devo-parlare, urgenza, la cui azione preclude mascelle in movimento e animazione di gesti, ne deriva una linea piatta, il silenzio assoluto che durerà poi per sempre, e lo svanimento di tutto quel fare precedente che pareva funzionasse. A te.
In un giorno ti dimentichi di mesi e anni. Hai settato il cervello per dimenticare dopo le 48 ore. Non è incredibile, Camilla? Non è triste? No, è bellissimo. Perché tu non vuoi soffrire, e sei disposta a tutto per questo.
Al limite puoi pensare: “peccato, mi spiace un sacco”, glie lo dirai forse, piangerai, anche se il più delle volte fai scena muta, perché sei sempre così spiazzata che non trovi le parole.

Ma poi ti arrabbierai. Ti arrabbierai solo per auto-difesa. Quante volte hai strappato pagine di agende, quante volte hai buttato regali, quante volte hai nascosto oggetti perché non volevi gettarli via subito? A volte poi li sbatti nella spazzatura, altre volte ti piace ricordarti d’esserti dimenticata di dove li hai messi, ma lo sai eccome.
E t’invidio Camilla, perché la tua rabbia funziona. È assimilabile a qualcosa di molto insensibile, ma sei capace di cancellare persone con la stessa facilità in cui del cianuro fa smettere di battere il cuore in pochi minuti.

Camilla, mia piccola iena, stai pensando all’oceano vero?

 

 

 

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  1. giulia

    8 September 2016 at 10:22

    Ho sempre pensato che se i cartoni finiscono con portoni chiusi e non fanno mai vedere il dopo un motivo c’è, mai fidarsi di un principe con calzamaglia azzurra ma se proprio devo scegliere scelgo Shreck prefettamente imperfetto