I nonni sono atemporali

I nonni sono atemporali

Ci sono le persone. Ci sono tanti tipi di persone.
Ci sono vecchietti, e ci sono anche tanti tipi di vecchietti: quelli della Toscana, della Puglia, della Sicilia, e così via.
Quando sei piccola, molto piccola, chi ha più di trent’anni ti pare vecchio, quando sei adolescente, sui trentacinque, se non prima, cominciano a darti del “lei”, quando tu hai sulla trentina non sai più chi definire “vecchietto” o meno, perché hai la vera consapevolezza che arriverai anche tu ad esserlo. Tu che vorrai essere, a quel punto, un eterno fanciullino. Ed è lì che ti compri una bici da corsa, t’iscrivi ad un corso di nuoto, o di arrampicata, se sei un uomo, mentre se sei una donna cominci a partecipare a quelle robe spirituali, corsi di yoga o cominci a vestirti da giovane, troppo giovane.
Eppure c’è una categoria umana che è atemporale, ed è quella dei nonni.
Che tu abbia un nonno di cinquanta, sessanta o novanta anni, sempre nonno è, e quindi anziano.
La regola è: il momento in cui tu cominci a dire “nonno”, stabilisci un’età che rimarrà per sempre la stessa, di tuo nonno o tua nonna. E così quando i nonnini non ci sono più, tu ti domandi sempre: “Ma come? Quanti anni avevano?” Sempre sessanta, o al massimo sessantacinque, anche se in realtà erano novantadue.

Ci sono tanti tipi di nonni. Io per esempio ne ho avuti due, entrambe da classificare nella macro categoria “toscana”, ma uno molto diverso dall’altro.
Uno non l’ho mai conosciuto, eppure, anche se so che non si dovrebbero fare differenze, gli ho sempre voluto bene più di tutti. Forse perché sul nonno Pino girano leggende, forse perché dall’aldilà, se esiste, ogni tanto mi fa capolino e mi manda il suo amore, non lo so. Ogni tanto sento come se mi lanciasse una manciata di riso addosso per farmi i dispetti. Forse perché era uno “importante” che faceva un lavoro importante, uno burbero e stacanovista, uno schivo e solitario, così dicono, uno spirito libero, una sorta di creativo in teoria, ma di fatto uno che doveva fare tornare i conti, e li faceva tornare.
L’altro, il nonno Cirillo, era un tipo molto più folcloristico: lui sempre con la camicia azzurra a maniche corte, secco come un chiodo, brillantina sui capelli rigorosamente spalmata su tutte le finestre del paese (perché lui non s’affacciava alla finestra, ci si schiantava sopra), e mani giunte dietro la schiena. La sua giornata consisteva in una colazione di pane inzuppato nel caffè-latte, poi a metà mattina cacio e pere, giro in bici in paese per la partita a carte, e dei lavoretti all’orto, sonnellino pomeridiano dopo pranzo, giro in bici per il bicchiere di vino con gli amici, cena e a letto presto, molto presto.
Il nonno Cirillo era buffo: non s’è mai capito molto di quello che dicesse, da che mi ricordo io ha sempre avuto problemi a parlare, nel senso che parlava pochissimo, e quando parlava, o cantava canzoni sulla guerra, o diceva cose che doveva poi ripetere almeno tre volte. Lui era fatto così, sempre arrabbiato con il mondo senza un perché, ma mai con me. Forse ero davvero l’unica con cui non s’arrabbiava mai.

Un nonno era di città e l’altro di campagna, uno m’avrebbe cantato “Faccetta nera”, l’altro mi cantava “Bella ciao”, uno si metteva le scarpe buone tutti i giorni, l’altro solo la domenica, uno aveva la governante, l’altro aveva mia nonna, anche lei sempre arrabbiata con il mondo, a volte anche con me.
E per me i nonni resteranno sempre i nonni, quella saggia categoria umana senza un’età particolare, sicuramente più grandi di mamma e papà, che sanno tante cose che tu non sai, e che quando scoprono cose che non sanno, si meravigliano come dei bambini. Quindi sì, sono atemporali. 

Giacca e occhiali: vintage
Pantaloni: Jucca
Scarpe: Aldo

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