Microbo e Gasolina

Microbo e Gasolina

C’era l’arte intellettuale, elitaria, oserei dire quasi incomprensibile di cucinare un sogno per due persone, ed era quella imbastita con pensieri a casaccio, reminiscenze del giorno, ricordi del passato, amori, relazioni, emozioni e tutte le altre cose che finiscono con –zioni.
C’è adesso l’arte più pop, più concreta e democratica di cucinare un sogno per due persone, imbastita con un reale desiderio di evasione.
Insomma, stavolta i sogni son desideri che non vanno spiattellati in un pentolone, ma per terra.

Da “L’arte del sogno” a Microbo e Gasolina, Michel Gondry non è cresciuto, né si è evoluto, ha semplicemente cambiato punto di vista, pur rimanendo coerente con il suo irrefrenabile e onnipresente desiderio di fantasia.
Come succede ad un certo punto con alcuni grandi registi, nel caso di Microbo e Gasolina, se non si sapesse ci fosse il sigillo gondryniano, non si capirebbe da subito essere un film del genietto francese, perché si mostra apparentemente troppo “normale”.
Dove sono le epifanie? Dove sono le magie? I sogni quelli che vengono direttamente dall’inconscio?
Poi ci pensi e ci ripensi e capisci che c’è molta più fantasia di quella che ti immagini.

Ma andiamo con ordine: Microbo e Gasolina è un film sull’amicizia, l’ennesimo sul tema che sto vedendo in questo periodo. La settimana scorsa è stata la volta de “La pazza gioia”, due donne, una più giovane, l’altra più matura che scappano per evadere dalla prigionia della loro realtà (che si rivela invece poi una sicurezza), domenica è toccato invece al film francese, con due ragazzini della stessa età che scappano per evadere dai confini della loro realtà (anche se poi, anche loro ci tornano).
Le similitudini si sprecano, se vedrete entrambe i film potrete darmi ragione.

I due adolescenti, personaggi scelti egregiamente per i loro caratteri, talento ed aspetto fisico (vi prego, notate le scarpe di Theo, che sono azzeccatissime), sono i classici ragazzi non alla moda, uno con la passione per il disegno, l’altro per i motori, un po’ sfigati e bistrattati dai compagni di scuola per diversi motivi, che hanno in comune delle famiglie un po’ complicate (che tuttavia spesso sono la norma) e una parte geniale in loro.
Fate ciao con la manina a Donnie Darko e la sua immaginazione, a Napoleon Dynamite e il suo bollino da loser stampato in fronte, e al bambino invisibile (per chi non l’avesse visto, grazie al cielo, è frutto della fantasia di Gabriele Salvatores) con il suo desiderio di essere un super eroe.

Ok, la trama è abbastanza banale e ovvia, nel senso che è molto più facile parlare di sfigati che di fighi spocchiosi della scuola (che alla fine, sempre e comunque, imparano la lezione e vengono ridicolizzati).
Tuttavia in questo film la trama non è importante, è invece importante il racconto, l’innocenza e la purezza dell’intreccio, passo dopo passo, in realtà è un po’ come vedere un cartone animato leggero e fresco, con i protagonisti intenti nella loro impresa di costruire una macchina per potersene andare via da Versailles.
I paradossi sono che la macchina la costruiscono davvero (e grazie alla quale passano rocambolesche avventure), e che i due minorenni siano pure lasciati liberi di guidare per strada un mezzo dalla foggia di una casetta di legno. Ed eccolo qui Gondry, visionario stavolta in maniera quasi realistica.
Eccolo qui che fa apparire dall’acqua vestita di rosso, che manco un ibrido tra Jessica Rabbit e qualche strega di Fantaghirò, la ragazzina di cui Microbo è follemente innamorato.
Eccolo qui che decide di fare entrare Microbo in teoria in un negozio per capelli, in pratica in un mezzo bordello di cinesi, e tu ti chiedi: “ma perché?”.
Ci sono tanti “ma perché?” nel film.
Ma perché ad un certo punto ci sono la mamma depressa e Microbo ad un convegno sull’esistenza umana?
Ma perché la mamma di Microbo? A cosa serve?
Ma perché la sosta non programmata dalla famiglia presso la quale hanno deciso di fermare il loro mezzo?

Ma non importa, perché si rimane lo stesso incollati alla seggiolina del cinema, per capire un po’ dove Gondry vuole andare a parare. E il bello è che non va necessariamente sempre a parare.
Quello che s’intende è come l’amicizia vera, pura, possa spingere a fare grandi cose, a rispettarsi, a confrontarsi, a cambiare in meglio.
La morale è proprio quella di una favola, la fine è invece proprio quella da stronzo.
Tutto bello fino all’ultimo. È stato proprio lì che mi sono arrabbiata da morire.

 

 

Comments are closed.