Mangiarini del cuor

Mangiarini del cuor

Pane, soprattutto burro, e poi via, anche marmellata
Attenzione, qui c’è un forte aspetto di ritualità, un po’ come andare in bagno a spippolare col cellulare dopo il caffè del mattino, o mettersi la cremina pseudo anti rughe della Olio Olaz alla sera (mi ricordo che quando si leggevano solo i giornali si trovavano i barattolini di Olio Olaz in “regalo”, pagando solo poche lire in più, occasioni che non ci si faceva mai sfuggire).
Insomma, togli dal frigo il panetto di burro che non metti mai in quei recipienti di vetro come farebbe tua mamma, non si è mai precise e organizzate quanto le mamme e non lo saremo forse nemmeno da mamme, lo levi prima di qualsiasi altro ingrediente perché speri si riscaldi in fretta, giusto per non spalmare mattonelle ghiacchiate sul pane, che sennò si spappola tutto. Poi tocca al barattolo di marmellata, fuori dal frigo anche lui, lo stappi, stap, fa anche il rumore dello “stappo”, stupendo, lì cominci ad alzare il muscolo facciale destro, perché da fuori pregusti la gioia che ti viene da dentro le papille gustative.
Aspetti, conti i secondi e ti dici che cinque possono bastare, tocchi il burro ma è diaccio, allora sprechi altri dieci secondi a spostare il tovagliolo dal lato sinistro al lato destro del piatto, eppure niente, il burro è sempre un lingotto d’oro ma bianco.  Apparecchi “meglio”, e sono altri tre secondi, illumini il cellulare manco fosse una torcia, un secondo e mezzo, lo posi lontano da dove fai colazione, non vuoi essere disturbato, ti dici, e con la passeggiata inclusa sono dieci secondo circa.
Allora te ne freghi e decidi di affettarlo comunque quel burro lì, non va certo liscio armonioso sul pane come il tuo culo sugli scivoli dell’Aquafun di Riccione, piuttosto come la sabbia bagnata sulle cosce in più o meno bella mostra riva al mare, ma non si ha mai voglia di aspettare che quel grasso prelibato si riscaldi un pochino. Il burro non si fa mai aspettare, è un signore snob lui. E le sue amanti, le golose, non amano certo indugiare. Mai. Sceme loro, scema me, che non lo tiro mai fuori da casa sua (il frigo) almeno venti minuti prima.
Che gioia c’è nel far sguillare la marmellata sopra il signore snob, nello spiattellarla ancora e ancora di più, dal centro agli angoli, dove poi lei non ci vuole mai stare? E nell’inzuppo, quando si scioglie un po’ tutto quello che con tanta cura hai creato e quello che prima non si voleva sciogliere. E allora t’arrabbi, si sta disfacendo il tuo impero, tanto importante quanto un castello di sabbia per un bambino col costumino rosso, tuttavia ti metti l’anima in pace, azzanni, e godi. Godi di brutto, zitto e mosca, e occhi chiusi o socchiusi. Dipende dal livello di bontà delle materie prime e dalla fame.
Ah, pane, burro e marmellata.

Scrambled eggs
Si, vabè, le uova strapazzate. In realtà non mi sono mai piaciute, poi come Cristoforo Colombo scoprì l’America, io feci lo stesso con la Grecia, e lì un sacco di gente mangia uova a colazione. O fritte o strapazzate. Anche se sono gialle e bianche, per me le uova strapazzate sono un po’ azzurrine, come se ci fosse dentro il gelato al Puffo, come se ci fosse dentro un po’ di Grecia, e ogni volta che le mangio m’immagino all’ombra in una terrazza d’una casa in un’isola sull’Egeo, so anche quale isola con l’esattezza, a vedere navi che passano, e a sentire gli unici rumori del coltello che ogni tanto litiga con la forchetta o con il piatto bianco con i contorni con le ondine, e le ondine non di porcellana, ma di acqua salata. E poi scoprì la Spagna, e lì un sacco di gente fa colazione con le uova e il pane, più frittata che uova strapazzate, ma sempre uova sono. E anche se la Spagna ha altri colori, io le uova me le continuo ad immaginare sempre azzurrine, sempre al Puffo, ma le mescolo volentieri con il pane, come se fosse un cucchiaio, me le giro e rigiro come calzini, le domino fino a divorarle tutte. Non ricordo di aver mai lasciato uova sul piatto. Manco con la febbre.

Cheescake
Tutta colpa della Cameo, delle sue pubblicità (vere o immaginate da me, non lo so sinceramente) con certe donnine che facevano in due nano secondi una torta buonissima che garbava sempre ad un bambino che si leccava sempre un dito, e delle mamme delle mie amiche che non sapevano cucinare e allora “sfornavano” in continuazione torte chimiche e mangiabilissime con lo yogurt sopra e un fondo di biscotti sotto. Due secondi ed era fatta.
Quella allo yogurt di Cameo non era proprio una cheescake, ma poi mi sono evoluta e ogni volta che esco e voglio prendere un dolce o prendo il mascarpone o la cheescake perché mi ricorda cose belle: lo sbattimento zero, tutti infatti possono fare sia una torta Cameo che una cheescake, la bontà, la casa, le famiglie delle mie amiche, la versione solida e pomeridiana o serale di latte e biscotti. Amen.

Panino con tonno, un monte di maionese e X ingredienti segreti
Sarebbe potuto venire in Terra un meteorite, cascare il prete dall’altare o palesarsi gli alieni ad Arezzo, ma tutte le domeniche alle ore 11,00, dopo la Messa, io dovevo mangiare il panino con la crema di tonno, maionese e capperi del Bar Cristallo. Tipo che andavo alla Messa solo per quei panini al latte lì.
Calze bianche sbirluccicanti, ballerine (ancora non avevo capacità d’intendere o di volere), e coda alta con il fiocco più grande del West, e il panino mi sembrava ancora più buono, perché io mi sentivo grande e figa. Da piccola mangi certi cibi solo perché ti sembrano da grande, e il bar Cristallo era tipicamente un bar per vecchi snob o famiglie ricche. Sul perché volessi apparire più vecchia e snob non ho ancora fatto luce.
Fatto sta che la ricetta segreta del Cristallo è rimasta lì sotto le sue ceneri, dove ora c’è una triste Zara. Nessuno in futuro è stato capace di replicare cotanta bontà. Peccato.

Il Cucciolone
In realtà il trittico è composto da Cucciolone, Coppa del Nonno e Liuk. Tutti e tre meglio del Calippo e più hipster del Magnum, che è diventato mainstream e tremendamente social-fashion.
Il Cucciolone era il gelato da mangiare “a pezzi”: prima la metà di biscotto sopra, la parte più buona, poi lo zabaione fino ad arrivare ad un pezzetto di gelato al cioccolato, ancora biscotto, poi panna fino al morso finale di panna e biscotto al malto insieme, impiastro che ti rimane tutto attaccato al palato. Alla fine devi sempre usare le dita per staccarti tutto quello stucco lì.
Per quanto riguarda la Coppa del Nonno, la trasformavo sempre in una crema di caffè da bere, mi garbava fare la famosa “pappina”, mentre il Liuk è Mario, il babbo della Lucia, dopo pranzo se ne mangiava due, e allora faceva venire voglia anche a me di mangiarne uno, e lo mangiavo.

Il bombolone di Rimini
A volte me ne sbranavo pure due al giorno: i bomboloni erano la merenda di metà mattina o metà pomeriggio (si alternava con il Calippo con la caramella gommosa in fondo) dopo il bagno nell’Adriatico, che secondo mia madre, evidentemente, doveva rappresentare un dispendio d’energie fuori dal comune. Mi dava un sacco fastidio andare dentro il bar scalza per ordinare la mia leccornia tempestata di zucchero e strafatta di crema, ma i grandi facevano così, e allora io idem. Dopo aver bestemmiato in turco per il disturbo del contatto piedi-mattonelle-sabbia, mi piazzavo davanti al juke box del bar e mettevo o canzoni che garbavano ai grandi, tipo Gino Paoli, o le hit del momento per noi più piccini, tipo Corona o qualche canzone del Festival Bar.
E poi quando mangiavo il bombolone, e la crema faceva quel rumore simile a quando unisci i palmi delle mani di botto, e fai il giochino aria/senza aria, ero contenta. Dopo quel rumore c’era tutta la soddisfazione dell’aver ingurgitato qualcosa di eccezionale e il menefreghismo dell’ingrassare. Ma che me ne fregava a me.

Pane, olio e niente aglio
Quante zolle di pane ho affettato nella tavernetta di Ponte Buriano dio solo lo sa. E quanti spicchi d’aglio ho fatto fuori a forza di grattarli sul pane abbrustolito.
“Io non ce lo voglio l’aglio”.
“Fa sangue”, mi dicevano.
Così me ne andavo a letto con una fiatella da far paura agli spaventa passeri, e al mattino mi svegliavo con una cappa d’aglio in camera che quando ci rientravo, dopo essere andata in bagno, mi veniva da vomitare.
Tuttavia il pane con l’olio è tutt’ora un’accoppiata di cui non posso fare a meno, il mio salva-vita quando di vegetariano c’è il prosciutto, quindi niente.

L’unico frutto dell’amor è la patata
Davvero. Le patate, come la Nutella, si amano, non si possono mica odiare. Fritte, bollite, arrosto, persino spappolate con il sale sopra. Pensare che all’asilo suor Gemma mi doveva infilare in gola cucchiai di purè che mi piaceva zero. Il risultato è che ora il purè è uno dei miei piatti preferiti di sempre.

 

 

 

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