Là dove le scarpe sono un optional

Là dove le scarpe sono un optional

E alla fine io torno sempre lì. In quella sorta di mini porta-gioie ordinato di casette, ristorantini e bipedi, portatori sani, anzi sanissimi, di tavole in vetro-resina o spugnetta. Torno sempre là dove le scarpe sono un optional, dove l’asfalto è un appezzamento di terra tiepidina condiviso tra ruote, scarpe, e piedi nudi a volte bucherellati qua e là. Torno sempre lì dove c’è poco e niente (oddio, se dici “oceano” non è che dici proprio niente), dove spesso ti trattano male se non parli solo ed esclusivamente spagnolo, dove in men che non si dica sai chi è chi, e chi è meglio tu sappia chi non è chi, dove l’olio e il burro fanno parte di quella categoria di parole che comincia con -filo, sono davvero degli ottimi amici di, dove il mare è come un fratello, marito e persino una parte di te, ovvero una cosa che non solo vedi tutti i giorni, ma che vivi, respiri, ti godi, e con cui poi bisticci.
È che Loredo, inspiegabilmente, mi piace da morire. Così come anche Somo. Non me lo spiego perché non c’è niente che notoriamente mi piace, eppure lì quel niente ha l’onnipotenza di trasformarsi in tutto in tre, due, uno.
Io a Loredo ci vado sempre essenzialmente per un motivo, che non comprende il relax inteso nella modalità spaparansarsi al sole, per carità, né un amore travolgente, figurarsi, o tanto meno per abitudine, giammai: ci vado per imparare a coccolare e dominare, la tavola da surf. Ad amarla e a cercare di odiarla.
Ci ho pensato, e alla fine il surf ha molte cose in comune con la moto: l’idea di libertà, di collaborazione (tra te, la tavola e il mare), di farti scoppiare l’adrenalina fin fuori dai capelli (le gocce che ti cascano all’alto non sono mica acqua infatti), quel lieve senso di paura, e grassa sensazione di farti esplodere di felicità, quasi da poter svenire.

Questa volta, come a maggio, sono stata alla Escuela de Surf La Curva, che più che una scuola, è un via vai felice di persone di tutte le età, che se vogliono, possono anche andare nel retro e fare un disegnino sul muro, magari lasciare una dedica. Trovo tanto anni Novanta, gesto molto romantico. E che ovviamente si mettono lì a buzzo buono per imparare a cavalcare le onde, come faccio io quando mi trovo in terra spagnola. Lì c’è Damian, metà spagnolo e metà inglese, che equivalgono a metà caciara, metà organizzazione impeccabile, che con il suo team di maestri ci mettono tutta la pazienza, la grinta, la professionalità e quel pizzico di dote da “animatore del villaggio” del mondo,  pur di vederti stare su una tavola. E quando succede, allora sì che si gioisce tutti insieme. Se si potessero bere Fanta e birra in acqua, si festeggerebbe così ogni volta che trionfante ti issi sul mare.

Escuela De Surf La Curva

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Per quanto riguarda l’alloggio sono stata nella surf House de La Curva, che è a due passi, ok, forse venti, dalla scuola, così tu la mattina ti alzi, e ovviamente a piedi nudi, raggiungi la scuola, e sempre a piedi nudi, raggiungi il mare, con la tavola sotto braccio (all’inizio quest’operazione mi costava una fatica assurda, poi s’è trasformato in un rito piacevole al pari del caffè-latte e cornetto al mattino). La surf house è figa, molto figa, e soprattutto pulita (vi assicuro che ne ho viste altre che erano da film horror); la consiglio a gruppi di amici, dato che le stanze sono grandi e con più letti, e magari una coppietta da vacanzina sportiva e romantica assieme non so quanto possa apprezzare appieno l’esperienza comune.
Ecco io lì, per la prima volta in vita mia ho provato come sarei se fossi davvero pazza (non che adesso non  lo sia già, eh): visto che una notte in camera sono capitata con un papà di famiglia e due figli che russavano rispettivamente come due tir e un treno-merci in azione, ho passato otto ore un po’ a piangere dalla disperazione (ho pure le foto del cuscino con sfregi di mascara a testimoniare il fatto), e un po’ a passeggiare in mutande e scalza con un libro di Hitler in mano (quello sto leggendo), per il paesello sotto il diluvio, pur di non dovermi sorbire il concerto stonato dei miei coinquilini per caso.
La cosa più bella della surf house è poltrirci lì al mattino prima di andare a fare surf: ti mangi le tue diciotto fette di pane con marmellata prima di fare surf, per poi rotolarti tra l’amaca e i divanetti nel mega giardino, mentre chiacchieri con qualche maestro, che porta stampato sempre un sorriso smagliante.
Io comunque questi cristi li ammiro davvero: sono sempre, ma sempre felici e simpatici. Cioè, non ti viene voglia di menare qualcuno in acqua, se dopo dieci volte non sta su? O non ti viene voglia di mollare tutto e uscire quando vedi che gestire dodici persone tra le onde, diventa ingestibile? E invece no, loro riescono a fare tutto al meglio e investiti da questa aura di felicità da fare quasi invidia.

La Curva Surf House

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Loredo

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Oltre che la poser, vedi foto, mi sto impegnando notevolmente, vedi altre foto in basso; il mio obbiettivo è infatti per settembre riuscire a capire in fretta quando andare a destra o a sinistra, come prendere l’onda insomma, e cambiare tavola. Ma ho tutto un agosto di surf davanti per provare, quindi credo di poter riuscire a raggiungere l’obbiettivo, e se no, no problem, a settembre oppure ottobre tornerò a Loredo. Ecco appunto, credo che il periodo a mio parere migliore per andare lì sia proprio settembre/ottobre: momento indicato non per i freddolosi, perché comunque fa freschetto (fa freschetto pure d’estate, quindi…). Ma chi vuole fare surf sul serio non deve avere di queste menate.

Playa de Sono y Loredo

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E poi c’è Langre con la sua spiaggia, quel paradiso dolce e ruvido, nostalgico da far paura, a cui arrivi dopo un cammino bucolico tra l’asprezza della strada, il lusso, a volte kitch di certe case, e il sapore (e odore) di natura, gentilmente offerto da decine di mucche che lì sono le padrone indiscusse del territorio.
Langre è un qualcosa di così grande, che ti da subito l’idea d’infinito, è così drammatico che se una telenovela sudamericana fosse una spiaggia sarebbe quella, di così “quiete dopo la tempesta”, che se Leopardi avesse visto davvero Langre, avrebbe forse riscritto la poesia. È così bella che ci mette tre secondi ad ammutolirti, prima di farti urlare tra le onde.

 Langre

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E per chi si fosse perso il video:

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  1. giulia

    12 July 2016 at 10:08

    Foto splendide, mi sono innamorata del mobile turchese e della casetta di legno, è il io sogno una casetta con giardino vicino al mare e per il surf ti ammiro, mi affascina ma non ho ancora trovato il coraggio per provare 😛

  2. www.elisanegro.com

    4 September 2016 at 18:09

    Wow!
    Adoro quel posto.
    Bellissimo articolo e bellissima foto.
    Che stile! 😉
    http://www.elisanegro.com</