Quei burloni camaleonti a forma di palla

Quei burloni camaleonti a forma di palla

La premessa è lunga, ma è necessaria per arrivare all’origine dell’influenza (per me) dei pallini.
Pallini e palle. Varicella e Yayoi Kusama. Volendo anche morbillo.
Soldini di Galak bianco e ruote di bicicletta.
Gommini di zampine di gatto e Morositas.

Volevamo essere io Miriana e Lucia Pamela, Ambra sarebbe stata troppo scontata, e poi non stravedevamo per lei, il suo microfono, e il suo fare da la-figa-qui-sono-solo-io. Un po’ come quando giocavamo ad impersonificare “Occhi di Gatto”, eravamo Kelly o Tati, mai Sheila, che era per tutte le bambine la più bella (ma non per noi).
“Non è la Rai” era un po’ come il calcio per i maschi, loro avevano Maradona e Gullit, noi Pamela e Miriana, loro si trovavano dopo il catechismo o nell’intervallo a scuola a giocare anche con una pallina d’alluminio arrotolata del panino alla mortadella, noi a copiare abiti e coreografie delle nostre eroine della tv.
Erano gli anni Novanta, e c’erano Fido Dido, gli zaini Invicta, le palladium, i frisè, i paciocchini, quei trespoli di gomma che puzzavano di petrolio per farci i braccialetti, le collanine attaccate al collo tipo tatuaggio, ma soprattutto per noi, me e Lucia, la mia vicina di casa, c’erano quelle tutine intere con lo scollo elastico da tenere sopra o sotto le spalle (sotto faceva più cool), corredate da maxi trina.
Mi ricordo perfettamente di quel giorno in cui partimmo alla volta dell’Oviesse per trovare sia un paio di ciclisti come indossava Jovanotti, sia due tutine con pantaloncini corti uguali, per poter scatenarci fieramente in balli copiati dalle ragazze di Non è la Rai; allora sì che saremmo state un duo professionale con una vera e propria “divisa”. Abbigliate così, avremmo potuto persino intraprendere con stile le gare di chi faceva più giri con il Frullo rosa, giù al giardinetto sotto casa.
Insomma, uscimmo da lì con ciclisti diversi (io ero più grassottella quindi trovai un modello più sfigatino), ma con due tutine uguali, io blu e Lucia fucsia, con la trina più grande e più bella della storia: era a pois grandi. Quando la sfoggiai per uscire con i miei e un’altra mia amichetta, lei mi disse: “Sembri Minnie al contrario!”.
Non la capì subito, poi ci pensai e arrivai ad intendere che la gonna di Minnie era a pois, io invece avevo un bavero a pois, che era praticamente largo quanto una gonna, ma sotto le spalle, quindi al contrario.
Quei rebus che imbastisci o quando sei piccina, o quando cresci ma rimani un po’ bambina…

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Un giorno la mamma di una mia amica mi disse che vestita così sembravo una “mini pinap”, che in realtà non avevo idea di cosa volesse dire (ma una cosa comprensibile no, eh?). Voleva dire pin-up, mi spiegarono, che erano delle ragazze sexy a cui evidentemente piaceva tanto indossare i pallini (e che diventarono poi per me fonte di ispirazione).
Da quel pezzettino di stoffa elasticizzato cominciai a notare che le palle erano tanto presenti nella vita dei maschi (da calcio, si intende), quanto delle femmine, rappresentavano cioè tutti insieme e distanziati in maniera simmetrica, una sorta di fantasia camaleontica, che stava bene a tutte e a qualsiasi età. Una magia, insomma, o meglio, come avere tante palle magiche addosso.

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Una delle prime gonne che mi cucì mia nonna era azzurra con i pois bianchi appunto, con un fiocco al centro dell’elastico in vita. Scelse di sua spontanea volontà proprio i pois, ovvero la “materializzazione” su stoffa dell’acqua gassata (questo ero quello che pensavo da bambina).
E più le palle s’ingrossano, più sono buffe: ricordo una foto di mia mamma dell’epoca di Patrizia Rossetti, ovvero o del rossetto marrone orrendo, o chiaro con il contorno marrone, nella quale era ritratta con un abito giallo a palloni neri; riguardando lei così chic in quel look da tutti i giorni (eravamo a Rimini, al mare), penso che sia curioso come da piccola credevo che i pois fossero perfetti per me-piccola, e da grande perfetti anche per me-grande. Forse quando invecchierò dovrò dire lo stesso, dato che entrambe le mie nonne erano dotate sia di abiti a pallini blu e bianchi, che di camicie della stessa fantasia, ed erano entrambe elegantissime.
Ma allora se è vero che evidentemente i pois sono un evergreen, perché quando leggo sui giornali cosa non può mai mancare nel guardaroba di una donna, ci sono sempre il tubino nero e la camicia bianca, e non la fantasia dei pois? Forse perché hanno troppa fantasia e non sono così “standard” come una gonna al ginocchio in tinta unita?

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In ordine sparso, e a memoria:
Ho letto da qualche parte che nel Rinascimento le donne si applicavano pezzettini circolari di tessuto nero sulle imperfezioni del viso. Se tornasse questa moda sarebbe un risparmio di soldi non indifferente. La svolta.
Winston Churchill aveva sempre un farfallino a pallini.

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La Pimpa è a palloni rossi. O rosa. O fragola.
Esisteva un fumetto che si chiamava “Little Dot”, parlava di una bambina fissata con i pois (geniale).
Una settimana fa ho visto la mia vicina di casa settantenne con una camicia bianca a pois neri.
La cassiera dell’Esselunga aveva le unghie a pois (evito commenti).
C’è una mia amica che si fa sempre le code alte ai lati della testa, che paiono due grandi pois.
Io ho i brufoli, cazzo. Sempre pois sono.
Il mio amico Federico ha i calzini rossi a pois bianchi.

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Un mese fa mi sono trovata su Skype a parlare con Alfredo, un ragazzo che vive oltreoceano, che indossava una montatura di occhiali a pallini. Automaticamente ho subito pensato che o fosse pazzo o simpatico; in realtà era così (positivamente) pazzo da essere davvero simpatico.

Allora ho ragione io (me lo dico da sola): i pois sono dei camaleonti burloni a forma di palla: a seconda dell’età, dello spirito, di come li porti, cambiano. Eppure loro sono sempre gli stessi.

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  1. giulia

    1 April 2016 at 11:24

    i pois sono sempre molto belli amo queli piccolini e sarà che i pois non sono mai inseriti nei capi che una donna deve asolutamente avere, ma io almeno un ccapo all’anno lo compro:P