Indiana Jones a Santander

Indiana Jones a Santander

Sarà che ci sono 21 gradi, sarà che sogno le onde, una valigia quasi invisibile e una montagna di costumi interi, ma oggi mi sono persa a ravanare nelle foto dell’anno scorso di Santander, o meglio delle mie due ore a Santander.
Devo dire che sulla carta è la città che mi si cuce addosso alla perfezione: ci sono vecchietti in ogni dove, cose antiche, scritte, localini bellini, e c’è il mare.
Sulle due ore del mio mini tour nella city, ne ho passata una dentro una libreria, o meglio, dentro una bottega piena zeppa di carte, libri pregiati, mappe, prontuari ammassati in pile assolutamente irregolari, riviste sparpagliate in ceste di vimini, e amore, tanto amore.
C’era proprio una nebulosa d’amore puro, incosciente, totalmente irrazionale, in quella botteghina lì, una specie di condensa che quando varchi quella soglia ti tappa le orecchie dai rumori “moderni”, gli occhi dal brutto, e t’apre il naso per farti godere, tramite l’olfatto, di racconti, storie, romanzi, gialli, frasi, solo passando le dita da un tomo all’altro.
“Ma com’è possibile?”, pensai.
“Ma che me ne frega – mi risposi dopo – lo è, ed è meraviglioso”.
Nelle librerie ordinate, bianche, come vanno di moda adesso, asettiche, pulite, senza un briciolo di polvere, non è proprio così, ti ci vuole un po’ prima di calarti nella parte di lettore-scopritore, ovvero quello che non si ferma a sbattere cornee e pupille sui primi libri spiattellati sul banchetto appena entri: papa Francesco, Fabio Volo e Niccolò Ammaniti. Ma perché le atmosfere impersonali tentano di rendere impersonale anche te in un certo senso (per questo casa mia sarà sempre disordinatamente ordinata).
Invece lì mi sentì Indiana Jones, un’avventuriera con la fune a penzoloni dallo zaino e il viso sporco di cenere, pronta a pescare il tomo dalla copertina o il titolo più a mio avviso belli, per potere poi aprirlo e bum, finire o in un’aula di medicina, o in una Lancia Aurelia B24 Spider con una cartina (non un navigatore, non un Tom Tom, non Google Maps) in mano in direzione della Francia.

Anche il proprietario della libreria somigliava un po’ ad Indiana Jones, un appassionato scopritore pronto a sporcarsi le mani, per poi lavarsele però con l’acqua di rosa. Un dandy naïf, che di comunicare in inglese, francese, tedesco non ci pensava nemmeno, perché lui era spagnolo e basta.
Mi ascoltò come imbambolato non capendo mezza parola, come se le mie parole fossero un mezzo per entrare in un mondo parallelo, sino a quando capì che dopo avergli fatto una foto, l’avrei piazzato sul mio blog. Lì afferrò la sua agenda e mi fece scrivere il mio indirizzo. Dandy mica per niente, lui.

Il “bello” è che non riesco proprio a ricordarmi il nome della libreria, e nemmeno la via, ho perfino “chiesto” a Google, ma niente. Significa solo una cosa: dovrò perdermi ancora per Santander, scovare quel fantastico micro mondo di carta, e stavolta imbastirgli due discorsetti in spagnolo, che sto piano piano imparando grazie alla serie “Pablo Escobar, El Patron del Mal”. Magari non gli piacerà, dato che credo immaginarsi cosa gli stessi dicendo quel giorno fu per lui una sorta di ipnosi attiva.

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