Madrid: l’uomo con la pancia a cocomero e la Gina

Madrid: l’uomo con la pancia a cocomero e la Gina

Mi chiedo come possa sussistere il lavoro in Spagna. Voglio dire: sono andata lì diverse volte e tutte le volte, non un’eccezione, m’è venuta voglia di buttare Mac e cellulare in mare dopo averli presi ben bene a martellate, di alzare i gomiti in aria, porre i palmi delle mani dietro la nuca e godermela. Cazzeggiare, oziare, fare tutto ciò non implichi un introito monetario per una decente sopravvivenza, ecco.
Perché in Spagna si sta troppo bene: in generale fa cald-ino o fredd-ino, e anche quando fa caldo o freddo c’è l’oceano in tutto il suo splendore, e chi se ne frega del resto, e se non c’è l’oceano ci sono le persone, e se non ci sono le persone ci sono tante belle cose. Quindi è come se avessimo delle cataratte benigne, dei cuscini acustici e dei pile invisibili, tutti insieme pronti a celare ciò che è meno bello, per palesare solo ed esclusivamente il positivo. Ecco sì, la Spagna nei suoi non-filtri alla fine ne ha tanti e li sa usa molto bene. Direi che è una brava Instagramer. 

A dicembre a Madrid si stava bene, sole e fresch-ino, niente oceano, ma quelle famose tante belle cose che, come per Porto, per me sono rappresentate soprattutto da incantevoli insegne scrostate, dorate, perfette, in corsivo o in stampatello. Mi rendo conto, anche in questo caso, di avere fotografato praticamente solo quelle, ma ciascuna di loro è come se fosse una signora o un signore che mi attacca bottone per strada, a caso. E non potrei mai non volere un ricordo di sconosciuti, se pur inanimati, con i quali ho interagito in una città straniera.
Così il Bar El Diamante in realtà era un signore spettinato, con la pancia a cocomero, la sigaretta in bocca, gli occhi socchiusi per il fumo che si sbatacchiava in faccia da solo, e un grembiule tenuto a vita bassa con svariate medaglie di riconoscimento: c’è quella del caffè, vinta per usare la moka più scadente di Madrid, quella di prosciutto, aggiudicata dopo il millesimo taglio di carne da riporre su mini panini di qualità ovviamente scadente, quella di vino, perché a lui il vino piaceva e basta.
La Fabrica de Patatas Fritas era invece la Gina, l’ipotetica sorella della tabaccaia di Amarcord: un petto che manco le montagne di gelato per turisti al Duomo, una gonna stretta e un rossetto rosso e volgare addosso a lei.
E così via.

La cosa buffa è che in genere identifico ogni città con una sola persona, per Madrid invece questo non mi è stato proprio possibile, dato che la sua personalità è bi-tri-infinitamente-polare.
Vecchia con uno spirito da adolescente, signora distinta e stanca col cuore e la vivacità di un bambino, non si ferma manco a morire.
A Madrid infatti tutti corrono, o per lo meno così accade al Parque de Retiro, che al mattino è decisamente l’ottava meraviglia del mondo, tra gente di tutte le età che corre, va sullo skate, pattina, si muove tra la lentezza della consultazione. L’attraente cacofonia sta infatti nel fotografare il quadretto costituito da mucchietti sparsi di persone che sono lì all’inizio del parco a sfogliare libri vecchi (non ho visto nessuno annusarsi le dita dopo averle passate tra qualche pagina e copertina) e gli sportivi convinti che vanno in su e in giù per quell’oasi verde, passando con un’ammirabile nonchalance davanti al Palazzo di Cristallo, alias la mia casa del cuore.

Mi dicevano che Madrid era diversa da Barcellona, meno caciara, meno estrema gioventù, ed avevano ragione in un certo senso: Madrid è più ordinata (nel disordine), più “con un contegno”, più linea retta rispetto a quella oliqua, che è Barca.
Mi dicevano che Madrid mi sarebbe piaciuta da morire non solo per le insegne, ma per la Chueca, la vita di Plaza Mayor, l’imponenza del Palacio Real e il brulicare notturno, e avevano ragione anche qui.
Nessuno mi ha mai detto “vieni a vivere in Spagna”, nessuno ha mai pensato di vedermi là con un Mac (usato con moderazione, perché sempre Spagna è) e una casetta vicino al mare; almeno in questo caso nessuno aveva ragione. Chissà.

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  1. Anna

    10 May 2016 at 6:29

    la menzione speciale va anche ai locali pazzeschi, di una bellezza pazzesca.
    Noi, per lo più, ce li sognamo.