“Compromesso”: compro-una-Messa?

“Compromesso”: compro-una-Messa?

In questi giorni mi sono fatta molte domande, e ho riflettuto sulla parola “compromesso”.
Che poi, se ti dimentichi del suo reale significato, e analizzi il vocabolo “esteticamente”, da fuori, potrebbe voler dire “come promesso”, oppure “mi compro una Messa”, o ancora “compro Messi”.
È buffo come compromesso voglia dire il contrario di ciò che in teoria vorrebbe dire, ovvero come promesso. Perché non si promette un bel niente prima, bensì dopo: dopo aver analizzato la cosa, prometto di venirti incontro.
Il compromesso è infatti un riunirsi metaforicamente attorno ad una tavola rotonda, cercare di capire i diversi punti di vista, e fare un passo indietro.
E qui arriva il bello: il fare un passo indietro.
Quanti di noi sono disposti a ciò? A ritrattare ciò precedentemente detto? Come se quello che si è affermato una volta debba essere legge, debba essere corretto, debba essere Vangelo, a priori?
Quanti di noi sono disposti a dire “ho sbagliato”, o “non ho sbagliato, ma capisco cosa dici, quindi troviamo un accordo”?
Siamo troppo egocentrici, fieri, e forse arrabbiati col mondo, sulla difensiva da esso, per poter scendere a compromessi.
Una volta un amico mi ha detto: “Scendere a compromessi significa perdere”. Me lo disse tanto tempo fa, e io ci penso ancora, allora non gli risposi, perché non ebbi il tempo necessario per pensarci, mentre adesso gli risponderei che no, scendere a compromessi, saperlo fare, significa vincere.
Vincere un amico, un fidanzato, una mamma o un papà, una sorella o un fratello, e così via.
I compromessi sono necessari per una quieta esistenza, perché dobbiamo smetterla di sentirci unici e onnipotenti, e con una schiera di spade appese sulla schiena, belle pronte ad esser sfoderate.
Chi non scende a compromessi sceglie la solitudine inevitabile, chi non è duttile, aperto, sceglie l’odio, chi non crede nel piegare la testa, certe volte, la piega talmente tanto da raggiungere troppo facilmente la ghigliottina.

Dieci mesi fa circa dissi a me stessa che dovevo essere meno mulo, che avrei dovuto accettare più facilmente visioni differenti dalle mie, che avrei dovuto deglutire tre volte prima di tirare schiaffi e mandare affanculo. Che avrei dovuto vagliare l’idea di non non dover possedere a tutti i costi la verità assoluta, o di dover pensare sempre e solo a me stessa.
Da una parte è anche comprensibile ciò che siamo diventati: impegnati come siamo al lavoro e nel cercarlo, a dover star dietro al tempo libero che ormai è sinonimo di occupato, agli hobby, agli amici, alla famiglia, alla casa, alla velocità sempre maggiore nella quale accadono cose, purtroppo è quasi ovvio figurarci come piccoli-grandi guerrieri con caschetto, paraocchi e paraorecchie che tirano sciabolate contro tutti i disturbatori che ci passano davanti.
D’altra parte quel casco lì ci si può anche levare, e la pace si può pure cercare dentro, dato che fuori ce n’è molta poca, si può anche stare lì ad aspettare un ceffone, che magari all’inizio fa male, ma poi è come quando passa il dolore dell’anestesia: ti senti come a morto sul mare, la pacchia.

Non si smette mai e non è mai troppo tardi per cominciare a imparare.

Total look: Alcoolique

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  1. stefania

    19 March 2016 at 7:01

    Bella! Ottima la scelta dell’outfit 😉

    Stefania
    http://www.thecherryjam.com