Catania: laddove Buddha e Allah smettono di bisticciare

Catania: laddove Buddha e Allah smettono di bisticciare

Ma chi se ne frega dei luoghi comuni. Quando dicono che al Sud si mangia bene è vero, quando dicono che al Sud s’ingrassa con la stessa rapidità in cui reciti tutto l’alfabeto a memoria una volta sola, non è affatto menzogna. Quando dicono che al Sud si gode più che al Nord è vero.

È stata la mia seconda volta a Catania, ed è stato come vedere un’altra città, che ne so, Scattania, giusto per inventare un nome, e fare una cosa a caso.
La prima volta mi c’era voluto un bel po’ per metabolizzare codesta città, così complicata, dicevo, un po’ come Atene, tanto complessa perché un ibrido, o meglio, sospesa tra mare e monti, tra l’incazzatura del vulcano e la pace del mare. Mi chiedevo: “ma Catania mi piace o non mi piace? Dove la colloco ‘sta città? Come funziona?” Solo dopo diversi giorni decisi che mi piaceva per il suo essere così ingarbugliata, come del resto mi garba pure il risotto mare e monti.
La seconda volta, messo piede in suolo siciliano, ho subito pensato: “Amen, sono a casa… ma no, questa non è la Toscana, è la Sicilia”.
E che diamine era successo per farmi esclamare ciò? Anche se dovreste, non chiedetelo a me.
Se prima mi ero sentita spaesata per la sua non comprensione, stavolta era successo per il motivo opposto: mi sentivo di capirla, e perfino di conoscerla fin troppo bene.

E appena sbarcata in Trinacria, ho avuto l’irresistibile voglia di mangiare quelle cose che solo lì trovi, che ti fanno godere da uno a dieci venticinque, che ti fanno chiudere gli occhi prima, per poi alzarli al cielo e sospirare, una volta finito il primo boccone, buttando fuori un lungi dall’essere erotico “mmmmm”. Odio le onomatopee, ma qui dovevo.
La brioche al pistacchio di Savia: là dove Buddha, Gesù Cristo e Allah s’incontrano, smettono di bisticciare, e decidono di unire le loro forze, tramutarle in crema, ambrosia verde sovrannaturale, per fare un regalo supremo a noi mortali.
Umani che sono diversi da quelli di qua: amano ostentare, i colori, gli ori, i velluti e i drappeggi, e poi se vedono te che ostenti in terra loro, storcono la testa, non capiscono, non gli torna. I siciliani sono il popolo più ospitale che ci sia, ma devi stare alle loro condizioni, accettare le loro regole; anzi, di base la regola è una: accettare, appunto. E non si fa certo fatica, perché è una reazione naturale. Con un siciliano non devi fare nulla, perché pensa a tutto lui, guai che sia il contrario; devi uscire da quella meravigliosa terra affermando che sia la più bella del mondo, che ci vuoi tornare presto, e che i siciliani sono fantastici. E non fai certo fatica a tirare queste somme.

Certo, è un altro mondo: là è freddo se ci sono 15 gradi, qui freddo sono -2, là ci sono regole “di forma” da rispettare, qua ci sono, ad esempio, di strada, cioè il casco te lo devi mettere, là stanno fuori, qua si sta dentro, là se di leopardo ti vesti sei una un po’.. così, qua sei un milf, là non dici mai di no, non puoi, quindi se dici di sì devi stare attento alla fregatura, là tutti parlano con te, qua o tu parli con tutti, o tutti si fanno i fatti loro.

In genere quando faccio post di viaggi, cerco di mettere un minimo in ordine le foto, nel senso diurno/notturno, e città visitate. Qua non l’ho fatto, ho lasciato che Catania di giorno si mescolasse a Catania di notte, e che a sua volta, si mescesse al tripudio cromatico e all’irresistibile fascino storico di Taormina, che sarà pure una località da turista, come fatta apposta per Instagram, come lo è Venezia, ma chi se ne frega, è bella.
La bellezza non conosce turismo, o meglio, lo conosce eccome, ma conosce prima gli occhi, di autoctoni, estranei o chicchessia. È bello ciò che è bello, e Taormina è tale.
Insomma, non ho messo in ordine le foto perché per me così è la Sicilia, quella che ho visto, s’intende, un caos in cui alla fine trovi sempre un capo e una coda, senza stare a cercare troppo, viene tutto così da sé.
Un caos che comprende il vecchio, una sempiterna tradizione religiosa, “bottegaiola” e architettonica, che limona con tutto ciò che è moda, i locali dove per entrare si è disposti a fare file chilometriche, vedi Fud, catena di ristoranti che avrei voluto inventare io, o dove si va per farsi vedere, ma anche per mangiare arancini al burro che difficilmente ti scordi; un bordello che mette in fila palazzi (meravigliosamente) decadenti, ma che se ci entri dentro nascondono un’ordinata opulenza, una pulita sicilianità e un gusto impeccabile, una fortissima tavolozza di colori, altro che sbiadita, vedi il bed & breakfast dove ho alloggiato, I Mori Maison de Charme, che consiglio di cuore; una libertà estrema che fa agganciare mani dello stesso sesso, che alza gli scudi contro chi glie le vuole strecciare. Un caos inquieto, che come in tutte le città, da Nord a Sud, trova in qualche modo la sua coerenza, calma o meno che sia.

Alla fine Catania è come una signora che all’inizio borbotta accigliata, ma che poi si calma perché capisce che non c’è proprio nulla da borbottare, ma solo da godere.

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  1. Madame La Gruccia

    27 January 2016 at 19:46

    Credo di non aver mai goduto tanto quanto l’istante in cui ho assaggiato la mia prima granita con la panna. Al fico d’india. E poi alla mandorla. A Panarea.

    Mi commuovo solo a ripensarci.

    Baci,
    Ang
    http://www.madamelagruccia.blogspot.it