La “fantasy-wishlist”, che esiste solo in teoria

La “fantasy-wishlist”, che esiste solo in teoria

io

Quest’anno cambio, in parte. Oltre ad una wishlist più o meno reale, ne scrivo una fantastica, fatta tuttavia di cose che vorrei per davvero, di cui veramente avrei bisogno per il mio benessere personale. Peccato appunto siano impossibili, ma le esplicito lo stesso, forse un giorno qualcheduna mi si materializza, anche nei sogni andrebbe bene.

Innanzitutto, superficialmente parlando, vorrei essere un misto tra Lauren Bacall, Monica Vitti e Faye Dunaway, bella come loro, all’epoca di quando il botulino poteva essere solo un nome di un crème-caramel, e le mise solo ed esclusivamente chic. Nessuno prima era tamarro o alternativo nel senso più volgare del termine, nessuna aveva orecchini al naso come mucche o ciocche di capelli fucsia attaccati al capo, avevano anzi tutte delle magnifiche onde nei capelli, nessuna era o aveva la mira di essere Miley Cyrus.

Vorrei arrabbiarmi meno, avere meno senso della giustizia sarebbe più salutare, credo.

Vorrei occupare il mio condominio con biciclette, tantissime e infinite, un po’ come fa Charles Petillon con i suoi palloncini bianchi. Le farei straboccare da qualsiasi casa del palazzo, cantina e cortile. Così imparerebbero i miei carissimi vicini di casa a spostarmi la bicicletta dal mio cortile nel giardino fuori di casa, così lontano dal cancello che arrivo in fondo con le Miu Miu glitterate lerce di fango, e senza saper mai se tornerò o meno da quel buco nero, dato che il giardino è totalmente buio. E quando dico buio intendo nero, total black. Ecco, per tutti questi rompipalle gratuiti ed ecologisti per nulla convinti, pregherei che la mattina di Natale si svegliassero con la casa occupata da ruote, manubri di pregio e miriadi di sellini Brooks.

Sogno un mondo in cui le calze lunghe mi possano resistere almeno due, e ripeto due, giorni di fila. Assieme alle pizzette dell’Esselunga, incidono sul mio PIL, prodotto interno lordo annuo, in maniera direi cospicua.

Vorrei avere l’opportunità di avere a volte i capelli rossi come la Sirenetta, ad uno schiocco particolare di dita, e sempre a volte, vorrei potere stare sott’acqua senza morire, scorazzando per il mare con una conchiglia per tetta, e avere come migliore amico Mago Merlino, fratello Atreiu e poter accedere serenamente nella Fantasia liberata, con una sola parola d’ordine: Lina.

Vorrei che i librai delle librerie di Arezzo, tutte tranne una, dove non ho trovato il mio libro, pensino un attimo al valore della parola “concittadina”. Ma che ci pensino bene. E che non mi facciano sapere, grazie.

Vorrei avere la voglia e il coraggio di fare la travel blogger, ovvero di stalkerare tutti gli uffici stampa del turismo ed enti affini per elemosinare viaggi gratis. Con tanto di accompagnatore o accompagnatrice fotografa ovviamente, perché io faccio foto carine, vero, ma “a me le foto chi le fa poi?”

Vorrei almeno 3K in più su Instagram, così la gente la smetterebbe forse di rompermi le palle sul fato che abbia pochi fan (8K) “per essere una blogger”, anche se i 50K sono i nuovi 10K, e anche se forse sono gli altri ad avere troppi fan per essere dei truffatori che si comprano anche la mamma online, tra poco.

Non l’avrei mai detto, ma vorrei il mare a Milano, da quando ho conosciuto le onde, ragiono in base a loro.

Vorrei una casetta fuori Italia, per potere andarci quando la Luna mi consiglierebbe di farlo.

Vorrei una Baby Mia, così quando andrei in giro per Arezzo probabilmente smetterebbero di stressarmi sul fattore figli. Perché Arezzo è la città dei passeggini e dei nonni.
“Come sta?”, chiedo.
“Insomma, si tira avanti…” – risponde la nonna –  meno male ho un nipotino che mi tiene viva”(Mi tocco le palle)
Silenzio.
“E te?”, ribatte.
E io ora ho una Baby Mia. Santiddio.

Vorrei una fattoria degli animali, una vigna e un uliveto, una moto e una piscina.

Vorrei vendere casa mia e cercarne una più grande che non costi quanto tutto il Qatar, vorrei non subire più lo stalking da parte di quei delinquenti di agenti immobiliari, me li trovo anche a casa.

Vorrei una legge che tuteli i liberi professionisti, quelli a partita Iva per intenderci, vorrei non sentirmi più derisa dalle aziende, dopo aver chiesto pagamenti anticipati, non vorrei più spendere un’ora al giorno a fare mente locale incrociando fatture, giorni, 90, 120, 160, e conto in banca, per poi chiedere i soldi che mi spettano.

Vorrei far finta che non fossimo nella Terza Guerra Mondiale, e pensare che ci siamo da quel famoso 11 settembre.

Vorrei vestirmi con uniformi e grembiuli, fare la spesa da “La Casa del Camice”, senza dovermi giustificare sul fatto che io compro divise per me, non per la mia servitù (che non ho), e nemmeno per i miei figli che vanno a scuola (non ho manco quelli).

Vorrei fare due film, uno divertente e uno drammatico, per poter dire questo: “è molto più difficile far ridere che fare piangere”.

Vorrei non combattere per far credere agli altri che il mondo di Amelie esiste davvero, e che anche se è un cliché non mi interessa, che tuffare la mano in un sacco di legumi è strabiliante, che rompere la crosta della creme brulè lo è ancora di più. Ah, quanto darei per una leccata ai lecca lecca di Pierrot Gourmand, e una ciucciata al gelato alle mandorle di Marillon.

Vorrei un canale televisivo con solo cose vecchie, film vecchi, documentari vecchi, vecchi, programmi di case talmente tanto vecchie da essere abbandonate.

Voglio che la borsa di Mary Poppins non sia solo la borsa magica di un film. Anche una Mary Poppins che mi pulisca casa, tanto che ci siamo.

Vorrei non essere costretta a sorbirmi i discorsi sulle diete. Tutti sono a dieta, tutti negano, nessuno che aggiunge, e se lo fanno si sentono in colpa. Tutti che ti guardano con gli occhi del diavolo se mangi un cannolo. Tutti tranne che mamma e papà. Quando muovere più il culo sarebbe la soluzione perfetta.

Vorrei non dover rispondere a tutte le domande che mi vengono poste, domande personali, perché ho già tutta la vita in piazza, almeno quelle due o tre cose preferisco rimangano per me. Ma capisco anche che non rispondendo crei più curiosità e gossip. Quindi forse dovrei dire cazzate.

Vorrei esistesse una Canon estensione del mio dito, una “Finganon”, a volte è davvero una rottura portarsi dietro la macchina fotografica, ma non ne posso fare a meno. Che facesse “click” al mio strizzare d’occhio.

Vorrei che il karma a volte mi prendesse meno per il culo, ma forse alla fine ti rende giustizia quando meno te l’aspetti, ci voglio credere.

E adesso sì che vorrei davvero la pace nel mondo.

Comments are closed.
  1. laura

    15 December 2015 at 16:21

    l’estensione del dito a macchina fotografica è una figata!!!
    ahahahah
    bel post!
    http://www.agoprime.it

  2. moniquette

    16 December 2015 at 2:37

    Oh miss Lucia, mi hai conquistata!