Luca Cava non è un santo

Luca Cava non è un santo

A volte penso l’Italia sia bella per il suo essere una e trina, e quindi a suo modo perfetta. Non era il tre il numero perfetto, no? Non sono brava in queste cose di numeri, credenze, superstizioni, oroscopi… so solo che il segno dei Gemelli nell’uomo è il male, e che il tre dovrebbe essere un “buon” numero.
Trina perché è divisa in tre: Nord, Centro e Sud. Il Nord mi da grinta (e anche stress), il Centro mi rallenta e mi mette a sedere a rimirar colline, il Sud mi ingrassa di chili e di “diversa bellezza”.
E si ha sempre bisogno di tutta l’Italia, perché si ha sempre bisogno di grinta, calma e diversità.
Io vivo al Nord, nella “capitale della grinta”, ma sono “lenta dentro”, dato che vengo dalla Toscana, mix perfetto, credo, per me che sto a Milano, così me la vivo più con calma.

La Toscana è una massaggiatrice professionista che ti impasta ben bene dalla fronte alla punta dei piedi, e che quando ti fa rialzare, a seduta finita, tu cammini ancora ad occhi chiusi. Questo è l’effetto che ti fa la mia terra, t’abbatte i nervi e ti stordisce d’ozio.
Quando posso, molto poco, torno ad Arezzo, la mia città, una di quelle che non conosce nessuno. Che quando capiscono che sei toscana fanno il lotto di capoluoghi, ma Arezzo, poverina, rimane sempre o in fondo o dimenticata. Eppure abbiamo Piero della Francesca, Guido D’Arezzo, il Saracino (per chi non la conoscesse è una manifestazione medioevale che divide la città in quattro quartieri e quindi quattro fazioni), la Fiera dell’Antiquariato, per esempio.


Ecco, appunto. Ogni primi sabato e domenica di ogni mese c’è la Fiera, che per me non è solo una fiera di cose vecchie, ma un mercato immaginario zeppo di vecchi ricordi, della mini me dopo la Messa in giro per chincaglierie con il panino al tonno del Bar Cristallo alla mano (mai più trovato un panino al tonno così buono), della sfilata di signore con le pellicce più lunghe del creato, del banchino di cappelli, è sempre stato il mio preferito, dei mille “ciao con tre ‘o’ di fila, come stai?”, delle calze bianche luccicanti, dei turisti avvistati con lampade giganti sul groppone, e così via.
Ecco, quelle poche volte che vado ad Arezzo, cerco di andarci i primi del mese, e poi di guidare fino al mio paesello preferito, paesello che avrà forse venti anime, ma che è un’istituzione, mi piace avere delle routine nella mia vita, io che ne ho così poche.
Di San Gusmé poi te ne ricordi per forza: è un paesino in vetta ad una collina che ti da l’accoglienza con un omino che fa la pipì, il Signor Luca Cava, una statuetta messa lì per indicare che era ben accetto fare i propri bisogni in quella zona, per, diciamo, rendere più fertili gli orti. Negli anni Quaranta la statua fu distrutta proprio dagli abitanti di San Gusmè, perché erano stanchi di essere presi in giro per la statuetta, ma poi ricostruita, grazie al cielo, ed ora eccola lì che te ne fa varcare la sua soglia con un bel sorriso.
Per girare il paese ci metti quattro minuti in tutto, ed è questo il suo bello: quattro minuti di poesia, tradizione, spontaneità e toscanità.


L’ultima volta mi sono imbattuta in una divertente discussione tra un gatto e una vecchietta: la vecchietta stava litigando con un gatto che voleva seguirla al cimitero: “Tu non puoi venire al cimitero – la vecchietta alla gatta – aspettami qui che tanto torno subito!”.
Tutto ciò dopo aver salutato l’unico ospite del ristorante che era seduto a mangiare accanto a me, con la testa un po’ indietro e gli occhi socchiusi per godere meglio degli ultimi raggi caldi e della prima fetta di finocchiona.
Il ristorante “Sira e Remino”: là dove il formaggio sa di vero formaggio e il pane con l’olio ti pare un dono degli dei. Là dove tra te e te ti ricordi di come (bene) ti nutrivi prima e di come sia possibile che là ti paia di mangiare in maniera così “genuina” e dove abiti tu no. Tappa obbligatoria, insomma.

A San Gusmé, oltre ad una mini chiesetta, una mini piazza e tanti panni stesi fuori, c’è perfino un cartello stradale che indica la presenza di un bancomat. Questa cosa mi stupisce così tanto ogni volta come se vedessi un asino volare. Come mi stupisce il fatto che a dare il saluto agli ospiti del paese non sia un santo ma un uomo che sta pure facendo la pipì. Nel suo piccolo, San Gusmé è un villaggio rivoluzionario.
Ultimamente nel mio giretto sporadico di routine ogni volta faccio tappa pure a Gaiole in Chianti, anche perché ho scoperto un negozietto “La Bottega”, che per gli amanti della bicicletta e dell’abbigliamento retrò da bicicletta è il paradiso, e poi mi piace fermarmi in quei baretti dove tutti si conoscono e tu sei la forestiera vestita sempre troppo strana, dove tutti bevono il caffè con un occhio pure dietro la testa per cercare di squadrarti anche quanti peli hai nel naso.
Penso alle volte ci riescano pure.

 

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