ΚΥΜΑΤΑ και ΣΑΓΑΝΑΚΙ

ΚΥΜΑΤΑ και ΣΑΓΑΝΑΚΙ


Questo è davvero un “lost and found”, un post/bozza di più di un anno fa, pieno solo di poche foto di un mare leggermente arrabbiato. Un mare bellissimo che però presagiva una cosa lì per lì bruttissima, in prospettiva un po’ meno. Questo è uno di quei post/bozza che riguardi bene, vai in sù e in giù con il mouse manco fossi un imbianchino esperto, che ci pensi bene prima di pubblicarlo o no, non perché abbia foto “strane”, ma perché ha immagini che sono chiuse in ampolle di vetro con dentro pezzettini di glitter, che shakerandoli insieme fanno un superficiale effetto tanto bello. Superficiale, ho detto, perché tutto e tutti abbiamo una maschera, anche il mare.
Questo è uno di quei post/bozza che ti pare appartenere ad una vita passata, quando tu eri un’altra persona, quando credevi non saresti mai cambiata, quando vedevi la tua vita come tanto tranquilla e come tanto burrascosa allo stesso tempo. Lo sapevi, e forse avresti avuto ragione, se. “Se” e basta. E anche adesso me la vedo così, ma in maniera diversa, non so se mi spiego. Se no, mi spiace.
Quello era uno di quei momenti in cui vedevo persone surfare e m’immaginavo un ditino piccolo piccolo che mi bussava sulla spalla e che mi diceva: “Lucia, ma cosa aspetti?”
Quello era uno di quei momenti in cui ho cominciato davvero a capire il mare, a non relegarlo con un bel fiocchetto rosso solo ad una via d’uscita estiva, ma ad una barca e panchina allo stesso tempo, per inverno, estate, autunno e primavera. A non vederlo come un sudato regalo degno d’essere ricevuto solo una volta all’anno, ma come una conquista meritata ogni volta che io decida di vincere. Perché si decide sempre se vincere o meno, chissà perché questo non lo sa quasi nessuno.
È stato là che ho pensato che io potrei tranquillamente vivere anche al mare, prima non pensavo fosse nelle mie corde. Ed effettivamente lì ho capito che le mie corde sono davvero tanto colorate, un po’ dolci e un po’ salate, un po’ amare e un po’ acide, e che per farmele suonare come dio comanda, io ho bisogno un po’ di tutto, di tutti i sapori, di tutti gli umori. Come di quelli pacifici e turbolenti del mare, e di quelli pazzeschi e adrenalinici della città.

SAMSUNG CSC

Questo è uno di quei post/bozza appartenenti a un periodo in cui mi ricordo bene avevo deciso di non essere più sicura se vincere o meno, ma ancora non avevo ben scelto. Perché perdere non è sempre una sconfitta, (oddio, il perdere cheespie e saganaki, ah il σαγανάκι, un po’ sì), anzi. Quelle onde invece no, quelle κύματα ce l’ho sempre dentro, non le ho mai perse e mai le perderò, ogni tanto galleggiano piano, ogni tanto forte, certe altre non galleggiano. Quelle κύματα sono bei ricordi che ho vinto, e tutti voi sapete quanto mi piacciano i ricordi.
Quel giorno lì faceva freddo, fuori e dentro. Io ero come quell’ampolla piena di glitter, in fondo mi piace essere così, ridere sempre senza che nessuno debba sapere se rido davvero o meno, se quei glitter sono veri o apparenti.
C’era una stufina dentro il furgone, mi/ci scaldai un po’ mentre mi rintanavo il collo nella giacca come a cercare chissà quale calore, e chissà, forse fu quella che m’accese anche una lampada dentro.
Fu lì che capì che forse era necessario perdessi.
E così fu.
Che poi certe volte perdere è come vincere, alle volte lo credi per comodità, certe altre è proprio vero.

  
  
Comments are closed.